Il mancato sviluppo dei paesi africani e’ forse il principale fallimento dell’intera comunità internazionale. Lo ha ricordato anche la recente manifestazione di Roma, che ha chiesto soluzioni non utopiche, ma razionali, in grado almeno di migliorare la situazione attuale del continente. Anche sotto il profilo economico appare possibile aderire a tre richieste principali, da tempo in discussione: cancellazione del debito, sospensione dei brevetti sui medicinali, divieto di vendita delle armi.
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L’Ocse rimprovera alla comunita’ internazionale ritardi e limiti nelle politiche di cooperazione allo sviluppo. Ma l’esperienza del paese africano, uno dei piu’ poveri al mondo e per dieci anni devastato da una guerra civile, dimostra le potenzialita’ e i limiti della “generosita’” dei paesi ricchi verso le nazioni piu’ povere. Spesso il problema non e’ la disponibilita’ di risorse finanziarie quanto la capacita’ di assorbirle e la volonta’ politica di farne un uso efficiente ed equo.
Ancora su inflazione reale e percepita. Cercando di calcolare tassi differenziati per verificare se laumento del costo della vita ha colpito alcune famiglie più di altre, modificando così la distribuzione del reddito. Il tasso di inflazione incide in misura leggermente superiore sulle famiglie più ricche, ma le differenze sono piuttosto contenute. E se basata sui prezzi dei beni che pesano maggiormente nei rispettivi panieri, limpressione di rincari generalizzati consistenti vale per le classi di reddito più alte come per le più basse.
Al di là dei dati, che pure sembrano segnalare un abbassamento del tenore di vita medio, condizione oggettiva e percezione soggettiva di povertà non sempre coincidono. Vale soprattutto per i lavoratori a reddito fisso. Per loro diminuisce il potere di acquisto degli stipendi, ma anche la speranza di un miglioramento delle condizioni di vita per sé o per i propri figli. Tanto più quando la stessa laurea non è garanzia di mobilità sociale.
I dati statistici confermano che nellultimo biennio le retribuzioni lorde nel settore privato sono cresciute meno dellinflazione. Per quelle nette, ovvero la remunerazione che i lavoratori dipendenti possono effettivamente spendere, la stagnazione dura ancora da più tempo. E il confronto con la crescita dei redditi in termini reali negli altri paesi europei evidenzia un notevole divario. Il modello di relazioni industriali definito nel 1993 non può non risentirne.
La sensazione di un paese non solo fermo, ma che va indietro, trova ragione nell’accresciuta variabilità nel tempo dei redditi familiari di una popolazione più vecchia, dunque più avversa al rischio. Diminuisce il benessere, non il reddito medio degli italiani, aumenta il disagio, non la povertà. Questo il messaggio principale che emerge dall’ultima indagine Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane.
Si chiamano matrici di transizione. Guardandole si capiscono molte cose su quanto è successo alle famiglie italiane negli ultimi tre anni.
La promessa di portare tutte le pensioni basse ad almeno un milione al mese rischia di rivelarsi un boomerang per migliaia di pensionati. E molti altri, pur poveri, non possono ottenere lintegrazione. Qui si mostra come lassenza di un approccio sistematico e non categoriale ai problemi della povertà crei nuove divisioni e nuove ingiustizie.
Complessivamente le famiglie povere in Lombardia sono la metà di quelle sotto la soglia più bassa in Basilicata. E anche se si registrano importanti differenze allinterno di ciascun raggruppamento di Regioni, resta evidente il dualismo economico tra Centro Nord e Mezzogiorno. In particolare, al Sud la più elevata incidenza della povertà è sistematicamente accompagnata da una maggiore intensità. Per portare tutti alla linea di povertà relativa servirebbero 6,6 miliardi. Ma la Finanziaria ha solo vaghe parole sul reddito di ultima istanza.
È legge il premio di mille euro per il secondo figlio. Solo però per i bambini nati fino al 31 dicembre 2004. E per un solo anno. Non serve certo a coprire i costi: calcoli riportati dallo stesso ministero del Welfare indicano che sarebbe necessario un aumento del reddito del 18-30 per cento per garantire alla famiglia lo stesso tenore di vita precedente alla nascita del secondo bambino. Meglio sarebbe offrire servizi allinfanzia, come dimostra lesperienza dei paesi scandinavi.