Dal 2010 le scuole del Regno Unito possono diventare autonome dal governo. La loro esperienza mostra che per migliorare la qualità dell’istruzione più dell’indipendenza conta il modello di governance adottato. La Buona scuola dovrebbe tenerne conto.
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Gli esercizi di valutazione della ricerca, e i ranking che ne derivano, possono influenzare le scelte di iscrizione degli studenti. E così determinare un aumento delle disuguaglianze. Specialmente se non si danno agli atenei gli strumenti per migliorare.
C’è molto entusiasmo intorno agli Its, la prima esperienza italiana di offerta formativa terziaria professionalizzante. Forse ingiustificato a guardare i dati occupazionali a un anno dal diploma. Servirebbe più formazione in entrata nelle aziende.
I professori in sciopero, il primo ministro che dubita dell’utilità della laurea, una burocrazia sempre più ossessiva. Nel Regno Unito le torri d’avorio universitarie sono in stato di assedio. E se niente cambia, si avviano verso un inevitabile declino.
Basta far parlare i dati per scoprire che il trasferimento di risorse agli studenti universitari proposto
da Liberi e Uguali non è una misura perversa sotto il profilo redistributivo, sebbene essa possa non essere ottimale in termini di efficacia.
Il nuovo contratto degli insegnanti prevede un aumento salario medio di 85 euro al mese, che non basta a colmare il divario con i paesi europei. Ma quello che manca davvero è un sistema coerente di valutazione e formazione in servizio dei docenti.
Il Consiglio di stato ribadisce il divieto di istituire interi corsi in inglese, impedendo alle università italiane di competere a livello internazionale. Così le famiglie italiane spenderanno all’estero, ma gli studenti stranieri non verranno in Italia.
L’alternanza scuola-lavoro può essere un grande vantaggio per imprese e studenti. Serve però un investimento di tutti gli attori in campo per renderla davvero efficace. A partire dalle risorse per incentivi alle imprese e la formazione dei docenti.
Il calo del numero di scuole paritarie in Italia non è dovuto a una diminuzione delle risorse statali destinate al settore. Conta invece il posizionamento del privato ai due estremi nella distribuzione degli studenti per livelli di abilità degli studenti.
Come reagire ai cambiamenti determinati nel lavoro dalle nuove tecnologie? La formazione teorica non basta più. Occorre invece “imparare facendo”, attraverso il coinvolgimento di università, imprese e governo. E lo strumento è il dottorato industriale.