Lavoce.info

Categoria: Scuola, università e ricerca Pagina 59 di 72

IL MAESTRO UNICO? NON TORNI PER DECRETO

La controriforma proposta dal ministro Gelmini con il maestro unico, è meritevole di una discussione non preconcetta. Soprattutto, ricordando che del tutto inadeguata fu invece la riflessione sui costi e benefici della riforma introdotta con la legge 148/90, essenzialmente per motivi occupazionali. Nulla giustifica, tuttavia, il ricorso al decreto legge.

ELEMENTARE, GELMINI!

Pedagogisti e scienziati dell’educazione discutono da decenni vantaggi e svantaggi del maestro unico. Ed è vero, come dice Bossi, che “Se c’è un solo insegnante è più facile che si rovini il bambino”. Ma sulla scuola bisogna comunque rifiutare l’immobilismo e intervenire per migliorarla. Tenendo conto del livello qualitativo attuale. Ecco in che modo.

COME DARE RISORSE AI MIGLIORI

Dalla premessa condivisibile che l’università italiana disperde risorse preziose e le utilizza in modo inefficiente, avrebbe dovuto seguire un piano per stimolare l’impegno dei docenti e istituire incentivi adeguati. Invece, ancora una volta si è deciso di distribuire i tagli in modo uniforme tra tutti gli atenei. Ecco alcune proposte concrete per incidere sul potere delle lobby accademiche. Se attuate, darebbero almeno la speranza che in futuro la distribuzione delle risorse premierà il merito.

QUANDO SI TAGLIA LA SPESA DELLE UNIVERSITÀ

La manovra economica del governo ha ridotto il Fondo di finanziamento ordinario delle università del 19,7 per cento in cinque anni. Le strategie che gli atenei potranno adottare per sopperire alla diminuzione delle risorse avranno ripercussioni sull’accesso agli studi universitari e sulla ricerca. Se l’obiettivo era limitare la spesa per il personale, si poteva intervenire solo sulle sedi che ne hanno in eccesso. Nel frattempo, l’annuncio dei tagli ha provocato una vera e propria corsa alla spesa.

I NUMERI DELL’UNIVERSITA’ DI MASSA

In quarant’anni il rapporto tra laureati e coetanei è passato in Italia dal 5,7 al 40,6 per cento. Aumentato in assoluto e ancor più in rapporto alle coorti di popolazione di pari età il numero di coloro che conseguono la maturità. Mentre la quota di maturi che si iscrive all’università non cambia molto nel tempo. La quota di matricole che consegue la laurea si avvicina oggi al 73 per cento. Un ruolo fondamentale l’hanno avuto le evoluzioni dell’offerta universitaria. E sistemi di finanziamento legati al numero di iscritti e laureati. Ora è tempo di pensare alla qualità.

LA SCUOLA ITALIANA TRA NOSTALGIE E CRISI DI IDENTITÀ

Grazie a un editoriale di Ernesto Galli della Loggia sulla crisi di identità della scuola italiana e a un dibattito apertosi sulle colonne del Corriere della Sera, sappiamo finalmente quali siano i piani del governo sulla scuola italiana. Non che siano particolarmente promettenti. Oscillano tra passatismo e irrilevanza. Speriamo in qualche ripensamento. Senza dimenticare che una società che risparmia sull’investimento nella scuola è una società che sta rinunciando al suo futuro.

 

IL COMMENTO DI UN RAPPRESENTANTE DEGLI STUDENTI

Mi ricollego a quanto finora commentato. Premetto che come ex-rappresentante in Consiglio degli Studenti e nell’ente per il diritto allo studio, insieme a pochi altri miei colleghi, ho espresso fin da subito perplessità su questa riforma.
Pur considerando il modello molto affascinante, e sicuramente innovativo, individuo alcune criticità. Dato il contesto in cui scrivo, ometterò quelle strettamente legate all’Ateneo di Trento.

A) Pagare il merito.

Il problema di base è la bassa considerazione che alcuni studenti hanno per l’Università. Quella che una volta era considerata una straordinaria opportunità per crescere culturalmente ed "elevare" la propria condizione sociale, è diventata adesso una fisiologica e automatica prosecuzione degli studi superiori.
Il modello cerca di aumentare l’attenzione degli studenti da un lato rendendo più cara la loro iscrizione all’Università, dall’altro premiandoli se seguono dei percorsi considerati virtuosi dall’Ateneo.
Il limite di questa impostazione, a mio modo di vedere, sta nell’idea stessa di far amare lo studio pagandolo.
L’ente per il diritto allo studio di Trento (Opera Universitaria) ha pure predisposto degli incentivi, che però vanno a premiare la regolarità. Lo studente studia perché vuole farlo. L’essere regolare gli consente di avere una borsa più alta. Si supera così la dimensione meramente assistenziale, introducendo piccoli incentivi economici per chi ne ha bisogno.
Gli incentivi per chi non avrebbe bisogni economici, dovrebbero essere non monetari: più punti per il voto finale, corsie preferenziali nel Job Placement, maggior coinvolgimento nella didattica d’Ateneo, etc.

B) Il premio finale.

Il premio finale comporta un maggiore impatto sullo studente: fino a 5000€!!
Tuttavia è fortemente penalizzante, soprattutto per le fasce medio-basse. E’ lontano nel tempo rispetto al merito (fino a due anni dalla laurea). E’ lontano nel tempo rispetto all’incremento della tassazione (fino a cinque anni dalla prima rata per le lauree triennali).
Se proprio andava inserito, sarebbe stato piuttosto preferibile un sistema di premi annuali che andavano a ridurre l’importo delle tasse da pagare.

C) Il merito.

Tutti vogliono il merito, nessuno sa che cosa sia il merito. Per valutare economicamente il merito è necessario quantificarlo. Non si parla quindi genericamente di "merito", ma di una serie di indici che vanno a qualificare il percorso dello studente come "meritevole". Poiché si tratta di valutare il percorso di 15mila studenti, gli indici devono essere oggettivi, privi cioè di valutazioni discrezionali (ancorché tecniche) da parte di un’eventuale commissione. Basta un software, neanche troppo sofisticato, a individuare chi è bravo e chi non lo è. La soluzione dovrebbe limitare il contenzioso, ma premia davvero il merito? Premia piuttosto "il merito", quello stabilito dall’Ateneo (anche se con il coinvolgimento formale dei rappresentanti degli studenti).

D) Il rapporto con il sistema di diritto allo studio.

Come rappresentante all’Opera Universitaria vedo in questo punto la critica più forte. Chi prende la borsa di studio, per legge, non paga le tasse universitarie. Il sistema di tassazione progressiva, anche se astrattamente dovrebbe partire dalle fasce di reddito più basse, di fatto parte da chi, anche per un centesimo, non riesce a prendere la borsa di studio.
Prendendo in esame due studenti provenienti da famiglie di tre persone che si iscrivono alla laurea specialistica, avremo:
ICEF € 30mila: + 2350 (borsa di studio+esonero tasse)
ICEF € 30mila/01: – 1304,62 (importo tasse della prima fascia)
Il sistema crea uno scalone molto ampio tra chi è dentro i parametri ICEF dell’Opera e chi ne è fuori.
Le fasce andavano piuttosto parametrate agli interventi dell’Opera Universitaria, prevedendo un’area senza borsa e senza tasse (esonero totale) e un’area con tasse ridotte (esonero parziale).
Ad esempio:
ICEF € 30mila: + 2350€
ICEF € 30mila/01-32mila: 0
ICEF € 32mila/01-35mila: -700€
ICEF € 35mila/01-40mila: -1500€

Conclusioni.

Se un sistema che "premia il merito" è necessario, all’atto pratico questo sistema dovrebbe tener conto di diversi trade off:
A) premio in denaro/premio in reputazione;
B) vantaggio complessivo/esigenze del breve periodo;
C) merito rigido/merito flessibile;

Ma soprattutto dovrebbe tener conto del contesto istituzionale nel quale si inserisce, per evitare le iniquità di cui al punto D).

Valerio Scollo
Rappresentante degli studenti in Consiglio di Amministrazione dell’Opera Universitaria
Consiglio di Facoltà di Giurisprudenza
Ex-rappresentante degli studenti in Consiglio degli Studenti

IL BRAVO STUDENTE NON PAGA LE TASSE

Riconoscere il merito nell’ambito della formazione universitaria rappresenta un passaggio  quasi irrinunciabile, in un contesto in cui l’80 per cento circa dei diplomati si iscrive a una facoltà. Per questo l’università di Trento ha introdotto la borsa di merito. In generale, gli importi delle tasse universitarie sono stati aumentati di circa il 50 per cento. Però, per i singoli studenti varieranno sia in base alla condizione economica del nucleo familiare che ai risultati raggiunti. I maggiori proventi serviranno poi a finanziare altre iniziative per combattere l’abbandono.

PAURA DELLA MATEMATICA

I dati sui test di matematica dell’indagine Pisa sono impietosi per gli studenti quindicenni italiani. Solo il Nord-Est è in media europea, con punte di eccellenza nei licei. Sud e Isole hanno punteggi da paese in via di sviluppo. La situazione è ancora peggiore se si considerano gli iscritti agli istituti regionali di formazione professionale, che invece sono sottorappresentati nel campione. Ma per essere efficace nel risollevare lo scarso livello di competenze una azione di monitoraggio deve concentrare l’attenzione sulle scuole con i risultati peggiori.

E’ GIUSTO PUBBLICARE I VOTI DEGLI STUDENTI AI PROFESSORI?

NO, NON E’ GIUSTO PUBBLICARLI

Recentemente, come riportato anche da Repubblica (edizione milanese) alcune organizzazioni studentesche della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Statale di Milano, hanno richiesto la pubblicazione  delle valutazioni espresse dagli studenti sui loro Professori. Nel campo favorevole a questa proposta si distinguono due argomentazioni reiteratamente espresse: i docenti che vengono valutati male avranno un incentivo a migliorare; i docenti che praticano l’assenteismo saranno smascherati. Non voglio,qui, entrare nel merito della validità di queste specifiche motivazioni, riservandomi di farlo altrove. Piuttosto, mi preme esprimere alcune considerazioni di carattere etico-politico.
Credo che sia un dovere di ciascuno avere ben chiaro quali siano i limiti che un’organizzazione, come l’Università, lo Stato, o anche un’impresa, sia essa pubblica o privata, deve porsi nella ricerca di strumenti di controllo e di stimolo della produttività. Una volta fissati tali limiti è lecito cercare il modus operandi più efficace. Il provvedimento in questione è, chiaramente, fondato sull’idea seguente: un docente che privatamente prenda visione della bassa valutazione da parte dei suoi studenti non ha un incentivo sufficiente a  migliorarsi, mentre se la sua posizione relativa, sottolineo, relativa, rispetto al resto del corpo docente è resa pubblica, il suo atteggiamento cambierà. Sarebbe quindi la vergogna di essere stato esposto come meno abile a fungere da stimolo. Può darsi che, a mio avviso imprudentemente, la pubblicazione dei voti avvenga in alcune Facoltà in Italia (a me non risulta), ma ciò non dovrebbe indurre all’imitazione.
Sottolineo che, naturalmente, è il provvedimento che va rifiutato, non l’intenzione di migliorare l’efficienza dei docenti. In un approccio di Economia Politica è ben noto che il raggiungimento dell’efficienza, talora, è in conflitto con altre considerazioni, quali l’equità o la morale. Per fare un esempio estremo: la legge, rispettando la visione morale prevalente nella società, per fortuna, vieta che i donatori di organi siano pagati, eppure il mercato dei trapianti di reni potrebbe funzionare in modo più efficace se i donatori venissero compensati pecuniariamente (l’equilibrio sul mercato porterebbe a un prezzo che uguaglia domanda e offerta). Questo è un caso in cui l’efficienza, giustamente, viene sacrificata alla morale.
Nel caso della pubblicazione dei voti ai docenti vi è un serissimo, seppur meno tragico ed eclatante, problema morale di salvaguardia della dignità umana, di quella sfera di riservatezza e, oserei dire, di fragilità della persona umana. Credo che il rispetto della persona sia un punto fermo della nostra legislazione proprio perché i cittadini hanno diritto a non vedere invase certe sfere che possono fare della loro fragilità uno strumento di abuso, ricatto, pressione, sofferenza psichica.
Purtroppo duole constatare che proprio su queste leve fa perno l’idea che la pubblicazione dei voti possa migliorare l’efficienza dell’insegnamento.
A mio avviso, questo provvedimento è, in un Paese sempre più “borderline” come il nostro, uno di quei distratti passi verso la barbarie che è necessario a tutti i costi evitare.
Che si usino strumenti accurati di valutazione del rendimento individuale è una necessità oramai acclarata e imprescindibile in tutte le Istituzioni che servono interessi pubblici, necessità sulla quale concordo pienamente. Nessuno è intoccabile e non devono esistere caste privilegiate né dentro né fuori delle Università. Ma, mentre la valutazione dell’istituzione o delle sue articolazioni può, come avviene sempre più di frequente, essere resa pubblica, quella individuale deve restare “ad uso interno”. Naturalmente facendo in modo che questo “uso interno” ci sia davvero e sia efficace. Che tutti debbano essere messi alla gogna affinché gli scansafatiche siano smascherati è un procedere incivile, con un costo sociale (il costo sociale è la somma di tutti i costi privati) che supera di gran lunga i benefici. E’ auspicabile che si cerchino strade meno rozze per risolvere un problema così rilevante.
Naturalmente, immagino che chi è favorevole alla pubblicazione abbia un punto di vista etico diverso da quello qui espresso. Favorirebbe il dibattito vederne articolate le argomentazioni per poterle apprezzare.

Paolo Garella

PERCHE’ E’ NECESSARIO PUBBLICARLI

Raccolgo l’invito del Signor Garella ad argomentare alcune ragioni a favore del provvedimento. Non essendo un esperto del settore, mi è difficile trovare dati aggiornati, perciò faccio quello che posso con numeri che dovrebbero essere a sfavore della mia tesi (divertente che quando uno cita dei numeri un altro riesca sempre a dimostrare che sono sbagliati). La retribuzione media dei lavoratori italiani è pari a circa 22000 EUR (anno 2007, da varie fonti che citano un rapporto Eurispes), mentre la retribuzione dei professori universitari italiani (di seguito PUI) al livello piú basso (anno 2004, [1]) è pari a circa 47600 EUR, per la prima fascia, e circa 36000 EUR per la seconda; spero di non sbagliare i calcoli ma: 47600/22000 = 2.16… e 36000/22000 = 1.63… [1] A fianco di questo confronto osservo che non mi risultano: un numero di incidenti sul lavoro dei PUI significativo rispetto a quello di altre categorie; PUI in cassa integrazione, in mobilità o in esubero; PUI costretti riqualificarsi completamente; PUI licenziati perché l’ateneo è in crisi finanziaria; PUI licenziati perché l’ateneo viene acquistato, svuotato del valore, infine lasciato fallire; PUI licenziati perché l’ateneo ristruttura e taglia cinquantenni e sessantenni. In piú, i PUI possono continuare l’attività fino a 70 anni godendo della massima retribuzione nell’ultimo periodo (forse non il piú produttivo). I PUI di prima fascia vivono un oggettivo potere nell’ambiente lavorativo, che consente loro un certo agio nell’affrontare le proprie "sofferenze psichiche". Accoglierò volentieri delle smentite. Nel complesso il trattamento dei PUI è non male per un’istituzione che deve "porsi dei limiti". Mettere nella stessa pentola della trasparenza delle prestazioni istituzioni pubbliche e aziende private è fuori luogo; l’Università, poi, è proprio un’altra categoria. Chiedo: qual’è il ruolo dell’Università a finanziamento pubblico? La mia opinione: quello che non può essere ricoperto dai privati, vincolati a seguire il mercato reale: creare e difendere un ambiente in cui le idee circolino liberamente e che ponga al centro di tutto la competizione libera e onesta sulla materia. Il lavoro dell’universitario a finanziamento pubblico deve essere di tipo imprenditoriale in uno speciale mercato a parte: si concede a una persona la possibilità, per un numero di anni non infinito, di sviluppare e trasmettere le proprie idee, finché è in grado di farlo con qualità comprovata. Le prestazioni sul "mercato" si manifestano in tre modi principali: qualità delle pubblicazioni, quantità di finanziamenti privati raccolti, valutazione della didattica. Questo mercato deve essere presente ovunque, tra gli atenei e all’interno dello stesso ateneo; il buon universitario deve essere disposto alla competizione aperta su tutto. La classificazione "università di ricerca" e "università di insegnamento" non può essere presente (in Italia) se il finanziamento è pubblico; lo dimostrano vicende di splendore assoluto come quella di Sviluppo Italia. Ciò deve valere anche per gli studenti: essere studente universitario significa vivere il diritto/dovere di competere onestamente sulla materia, esporre coraggiosamente le proprie idee originali, dimostrando ciò che si è capaci di fare. Una didattica di scarsa qualità è un impedimento enorme alla propria capacità di competere. Chi cerca di dimostrare le proprie capacità, implicitamente si mette in competizione con tutti; i PUI come accolgono il confronto? Heh… che differenza con quanto scrisse il Professor Rota[2], al punto che l’impostazione stessa del rapporto PUI/studenti è un falso ideologico; e non è un problema di soldi. [2] La pubblicazione delle valutazioni degli studenti è uno dei pochi strumenti, complementare alla formazione di un piano degli studi personalizzato, a disposizione per difendere la propria capacità di competere; si deve almeno sapere chi insegna male, chi è poco in aula e si fa sostituire da dottorandi e assegnisti impreparati, chi non accetta il confronto su approcci alternativi alla materia. Invece di secretare i risultati della valutazione, essa dovrebbe essere estesa in modo da essere maggiormente centrata su competenze e autonomia raggiunte al termine del corso. In piú occorrerebbe la possibilità di partecipare, anche negli anni successivi e post-laurea, a un dibattito sulla formazione dei programmi dei corsi, per poter dire la propria su quanto gli argomenti svolti si siano dimostrati validi o meno. Servono altri strumenti nello stesso spirito: se un barbiere mi taglia male i capelli: vado da un altro; se un professore insegna male: perché, una volta scelto un indirizzo di laurea, sono costretto a seguire il suo corso quando nello stesso ateneo quel corso è offerto anche da altri docenti? Chi insegna male deve restare senza studenti, non ci devono essere quote garantite. E chi decide quali corsi sono retribuiti? Il rifiuto della pubblicazione delle valutazioni rientra nell’ottica: non si deve sapere perché cosí chiudiamo la porta e aggiustiamo le cose tra di noi. Questa è la negazione della competizione aperta e onesta. Purtroppo, in conseguenza di un costume che nei fatti è principio di non responsabilità, gli studenti possono trovarsi in situazioni di vulnerabilità che diventano "uno strumento di abuso, ricatto, pressione"; situazioni che possono invadere la vita privata (!) e quindi diventare un "problema morale di salvaguardia della dignità umana, di quella sfera di riservatezza e, oserei dire, di fragilità della persona umana." Chiedo perdono per l’esposizione rozza: gli studenti pagano le tasse; i PUI mangiano (anche) con quei soldi. Allora perché uno studente deve svolgere lavoro nero? Ad esempio redazione ed editoria elettronica per pubblicazioni, didattiche e non, che alla fine vedranno il nome del PUI sulla prima pagina? E chi resta a rispondere al telefono del Dipartimento in Agosto? Mh, non c’è un tesista? La proposta di pubblicazione delle valutazioni è stata avanzata anche nella recente campagna elettorale studentesca al Politecnico di Milano; si vedrà se le intenzioni dichiarate diventeranno azioni…

Marco Maggi

* Ex studente Politecnico di Milano

Pagina 59 di 72

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén