Quale è stato limpatto dei buoni scuola introdotti in Lombardia nei primi anni di applicazione ? I dati suggeriscono che il numero degli iscritti nelle scuole private sia diminuito nonostante una riduzione del prezzo netto pagato dalle famiglie. Questo significa che per ogni euro speso dalla Amministrazione Regionale, solo 17 centesimi sono finiti alle scuole private, mentre il restante è consistito in una redistribuzione a beneficio delle famiglie. Più ricche.
Categoria: Scuola, università e ricerca Pagina 66 di 70
Per aumentare la retribuzione d’ingresso dei giovani ricercatori universitari, il Consiglio dei ministri ha approvato una norma che prevede che la loro conferma in ruolo possa avvenire non più dopo tre anni, ma dopo un solo anno di servizio. Lo scopo, del tutto condivisibile, si sarebbe potuto raggiungere molto meglio adeguando direttamente le retribuzioni di ingresso senza abolire di fatto le procedure di valutazione. Con buona pace delle dichiarazioni sulla necessità di introdurre valutazione, concorrenza e qualche incentivo di merito nell’università.
L’università italiana sta fallendo non perché manchino i fondi, ma perché chi vi opera non ha la responsabilità delle proprie azioni: non vi sono disincentivi per chi la usa per scopi clientelari, né incentivi per chi tenta di far ricerca ad alto livello. Nonostante alcune buone idee, la riforma proposta dal ministro Moratti non apporta su questo punto innovazioni di rilievo, come si vede dallanalisi delle principali novità. Fallirà, dunque. Ma non perché avrà cambiato troppo, come sostengono i suoi critici. Bensì per non aver osato abbastanza.
Tra breve saranno pubblicati i risultati di Pisa 2003, lo studio comparativo internazionale sul rendimento scolastico dei quindicenni. Probabile che si riproponga uno scenario già visto: mentre nel mondo accenderà discussioni, analisi e interventi per migliorare i sistemi scolastici, in Italia l’indagine sarà accolta con fastidio e scarsamente pubblicizzata. Per una antica e generale sottovalutazione della ricerca educativa, ma anche perché evidenzia che la scuola italiana post-riforma va controcorrente rispetto a quanto avviene negli altri paesi economicamente avanzati.
In Italia difficile da sempre, la transizione scuolalavoro ha oggi aspetti nuovi. Con i cambiamenti demografici e della struttura produttiva, più che l’ingresso nel mondo del lavoro, sono problematici i percorsi di valorizzazione e stabilizzazione. Anche perché mancano gli incentivi ad hoc. Gli effetti della nuova regolazione del mercato del lavoro sono per il momento marginali. E la difficoltà di adattamento dellofferta alla domanda sembra quasi “scontata” in anticipo, al momento della scelta del percorso di studio.
La transizione dalla scuola al lavoro è certamente uno dei problemi più gravi dell’Italia. Ma oggi ci sono nuovi strumenti per affrontarla. Capisaldi sono l’istituzione del diritto-dovere a istruzione e formazione fino alla maggiore età e la diversificazione e razionalizzazione dell’offerta di istruzione secondaria. Affiancano quanto previsto dalla legge Biagi sulla disciplina del nuovo apprendistato e sul ruolo assegnato a istituti scolastici e università per garantire il collocamento nel mercato del lavoro.
Il crescente utilizzo dei contratti di apprendistato è da attribuire principalmente alla possibilità per le imprese di assumere personale a costo ridotto, godendo di forti sgravi contributivi, e non alla volontà di investire in formazione. Mancano infatti gli incentivi adeguati per realizzare una attività formativa non cosmetica. Una situazione che non muta neanche con le nuove norme, che mantengono le ambiguità sulla durata del rapporto tra azienda e lavoratore coinvolto nel processo di formazione e sulla certificazione delle competenze acquisite.
Oltre un terzo dei laureati italiani dichiara di essere occupato in un lavoro per il quale la laurea non è necessaria. I dati su iscritti alle università e piani di assunzione delle imprese mettono in luce uno squilibrio complessivo tra domanda e offerta e una differenza nella distribuzione delle competenze. Perché allora i giovani continuano a fare scelte sbagliate? E perché il sistema scolastico non cerca di contrastare gli squilibri? In realtà, proprio l’organizzazione della scuola e dell’università sono parte del problema.
Gli studenti che, in mancanza di altri mezzi, si affidano ai contatti personali o alle agenzie rischiano di trovare un lavoro al di sotto delle loro competenze. Mentre quelli che accedono a un’occupazione tramite un tirocinio o grazie a una segnalazione da parte dell’università hanno una migliore probabilità di essere inseriti a un livello professionale adeguato. E’ quindi necessario rendere più fluido e trasparente il mercato del lavoro, affinché la carenza di informazione non vada a colpire i soggetti più deboli.
Prima di rifinanziare i progetti di incentivazione alla diffusione della cultura informatica tra i giovani italiani, andrebbero valutati i risultati ottenuti con le iniziative già attuate. L’effetto di alfabetizzazione addizionale sembra infatti aver riguardato solo il 3 per cento dei sedicenni. Se invece gli incentivi fossero assegnati casualmente a persone “simili”, non solo per età, ma anche per background familiare e livello di istruzione, l’eventuale variazione delle abilità informatiche potrebbe essere ascritta più rigorosamente alla partecipazione al programma.