Sulla base di stime macroeconomiche, le misure che la legge Finanziaria ha previsto a compensazione delle imprese per la perdita del Tfr sembrano più che adeguate. La soglia dei 50 addetti non sembrerebbe configurarsi, almeno dal mero punto di vista contabile, come un ulteriore vincolo alla crescita dimensionale. Il settore pubblico resta l’unico attore che potrebbe essere interessato a un andamento lento della previdenza integrativa, confermando l’esistenza di un “conflitto di interessi” su questo tema.
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Benché le storie contributive dei lavoratori siano molto diverse tra loro, abbiamo tentato una valutazione di convenienza relativa delle alternative a disposizione di chi si trova di fronte alla scelta se lasciare il futuro Tfr in azienda oppure conferirlo a un fondo pensione. Il montante derivante da un fondo chiuso, a parità di contribuzione, è sempre preferibile al Tfr, particolarmente per orizzonti temporali lunghi. Per i fondi aperti, i risultati sono più incerti, perché si ha maggiore volatilità e maggiori costi di gestione. Gli effetti della diversa tassazione.
Aggiornare annualmente i coefficienti di conversione, come in Svezia, è il minimo che si possa fare per garantire il principio di corrispettività. Occorrono però ulteriori correttivi senza i quali i coefficienti resterebbero sopravvalutati. Per gli errori che derivano dal ritardo con cui sono approntate le tavole di sopravvivenza e dagli assestamenti cui sono soggette, le soluzioni sono da ricercare in collaborazione con l’Istat. L’errore da calcolo backward looking si elimina solo prevedendo in modo attendibile la sopravvivenza di ogni coorte.
L’idea di introdurre tetti demografici per indurre un ricambio generazionale che altrimenti non arriva mai è semplice e affronta un problema diffuso. Ma l’esperienza finlandese ci insegna che l’invecchiamento è una questione seria per le imprese solo nell’high-tech. E deriva dall’inamovibilità, non dall’età avanzata, dei lavoratori. Nell’economia globalizzata, riesce a stare sul mercato del lavoro chi sa accettare il cambiamento, giovane o anziano che sia. Quali politiche per migliorare le opportunità occupazionali degli “over 50”.
L’analisi dei bilanci degli ultimi anni del Gruppo Autostrade mostra che il fatturato netto è in costante crescita, il rapporto tra valore aggiunto e fatturato netto è abnorme, la redditività delle vendite è decisamente elevata, così come quella del capitale di rischio. Cala solo il Roi, a causa dell’incorporazione nella molto indebitata NewCo28. Ma proprio questo è il dato utilizzato dal Nars per valutare gli adeguamenti dei pedaggi. Alla fine saranno dunque gli utenti a sostenere il costo di tutta l’operazione? L’Authority per i trasporti è sempre più urgente.
Condivido la sostanza della proposta formulata da Tito Boeri e Pietro Garibaldi per una “mini Finanziaria”. Per quanto concerne la “pars destruens”, metterei in rilievo che il problema non è solo, o forse non è tanto, quello di contenere gli emendamenti parlamentari, ma di impedire che lo stesso governo, raccogliendo le più diverse sollecitazioni interne ed esterne, infili nella Finanziaria qualunque cosa. Di fatto, oggi le Camere esercitano assai poco il loro potere di emendamento, visto che in commissione non si riesce nemmeno a esaurire l’esame di tutto il progetto, che il maxiemendamento è elaborato in sede governativa, accogliendo discrezionalmente anche eventuali proposte venute dal Parlamento, ma senza nessuna vera discussione, e che in aula l’unico voto è un “prendere o lasciare”. La prassi di oggi svuota il potere deliberante del Parlamento assai più di quello del governo. Effetti giuridici rinviati Sono d’accordo che escludere del tutto la possibilità di emendamenti parlamentari alla legge Finanziaria non sarebbe oggi possibile, dal momento che occorrerebbe una modifica costituzionale dell’articolo 81. Adesso, però, l’opposizione non ha di fatto alcun potere reale di proporre emendamenti, e quindi dovrebbe salutare con favore una procedura che limiti il voto sulla Finanziaria ai grandi aggregati riservando a un vero esame parlamentare la successiva legislazione di dettaglio. Un proposito reiterato Il proposito di una Finanziaria “snella” compare periodicamente, e si ritrova anche nella legge di contabilità n. 468 del 1978, allarticolo 11, ammorbidito però dalle modifiche del 1999 e del 2002: il problema è come attuarlo e garantirlo.
Il nodo sta nel fatto che le grandi aggregazioni di entrata e di spesa dipendono in parte dalla legislazione fiscale e di spesa già in vigore – il bilancio a legislazione invariata – e in parte dalle scelte legislative di entrata e di spesa che si fanno appunto con la Finanziaria. Se ci si limitasse a indicare stanziamenti e coperture senza però disporre le misure legislative specifiche che sorreggono gli uni e le altre, gli effetti giuridici della manovra sarebbero rinviati allapprovazione dei provvedimenti collegati.
Il fondamento economico delle variazioni di entrata e di spesa previste dal governo può essere verificato, come dicono gli autori, da un organo tecnico. Da questo punto di vista, avere un servizio bilancio delle Camere autorevole e politicamente “neutrale” sarebbe una innovazione importante e utile. Ma il fondamento “giuridico” di quelle variazioni non può stare che in misure legislative, adottate contestualmente o previste e programmate. Forse, si dovrebbero includere nella Finanziaria le decisioni legislative principali che danno corpo alla manovra: aumenti o rimodulazioni di entrate, soppressioni o riduzioni di spese, decisioni “macro” di allocazione delle risorse fra i diversi comparti e obiettivi. Quanto agli enti diversi dallo Stato, andrebbero incluse solo le decisioni relative ai vincoli generali – i saldi del patto di stabilità -, ai trasferimenti non discrezionali dal bilancio dello Stato e alle eventuali modifiche dei poteri fiscali.
Rimarrebbero ampi spazi di allocazione specifica della spesa all’interno dei vari comparti e obiettivi, che potrebbero essere rimessi a decisioni successive, senza più possibilità però di alterare il quadro generale. In questo modo si potrebbe ottenere che leventuale il voto di fiducia investa solo le scelte politiche generali del governo. Tuttavia, potrebbero essere necessari più articoli e quindi più voti: per esempio, modifiche ai vari tributi, soppressione di singole categorie di spesa.
Le singole “intenzioni” di spesa, o di minori entrate come le esenzioni fiscali varie, non tradotte già in decisioni legislative specifiche, costituirebbero degli “accantonamenti”, quantitativamente delimitati, utilizzabili per la copertura delle misure di spesa successivamente deliberate specificamente: è il meccanismo dei cosiddetti fondi speciali delineato allarticolo 11-bis della legge n. 468/1978. In sede di Finanziaria, però, non si deciderebbe più, per esempio, se e quale contributo di rottamazione o se e quale esenzione dalla tassa di circolazione concedere (comma 225, comma 235 dellattuale finanziaria), o se e quale somma destinare a una campagna di informazione del ministero dell’Istruzione (comma 52). Tanto meno si deciderebbero misure che non hanno a che vedere direttamente con le e entrate e le spese.
Fino a quando non si attui una modifica costituzionale, che sarebbe allora vincolante per tutti, e tenendo conto che vincoli posti da una legge ordinaria al contenuto di leggi ordinarie successive sono di per sé poco o per nulla efficaci (almeno nel senso di condizionare la validità di decisioni legislative successive in contrasto con essi), ci si dovrebbe affidare in primo luogo ad una forte volontà politica dellesecutivo, che si manifesti in una decisione preliminare adottata dal Consiglio dei Ministri e che sia fatta rispettare nei confronti sia dei singoli ministri, cui non dovrebbe essere consentito proporre per la finanziaria contenuti difformi, sia nei confronti dei parlamentari (anche e soprattutto della maggioranza), i cui eventuali emendamenti difformi da queste regole non dovrebbero mai avere il parere favorevole del governo. Ovviamente il governo dovrebbe attenersi a sua volta dal proporre in Parlamento emendamenti siffatti.
Un ruolo importante potrebbe essere svolto, in secondo luogo, dalle presidenze delle camere, cui sono affidati poteri di decisione sulla ammissibilità degli emendamenti e del contenuto dello stesso disegno di legge finanziaria, sulla base delle norme dei regolamenti parlamentari (artt. 120, comma 2, e 121, comma 5, reg. camera; artt. 126, comma 3, e 128, comma 6, reg. senato), che a loro volta rinviano alle leggi “di ordinamento”.
Il recente rialzo dei tassi di interesse da parte della Banca centrale europea è stato molto criticato, soprattutto dai politici. Ma l’aspetto cruciale è capire come la banca centrale gestisce le aspettative di inflazione. Se la Bce avesse affrontato lo shock petrolifero annunciando già nel dicembre 2005 che da lì in poi si sarebbero rialzati i tassi per un certo periodo di tempo, i vantaggi sotto questo profilo sarebbero stati significativi. E non avrebbe finito per danneggiare di fatto le prospettive di crescita. Il confronto con la Fed.
Levasione e la pressione fiscale (il rapporto delle entrate pubbliche sul Pil) sono da sempre ingredienti fondamentali della politica economica. Le discussioni inerenti la legge Finanziaria, tanto per citare lattualità, non fanno altro che ribadire il concetto. Daltronde, limportanza attribuita dal legislatore a questi indicatori è ben meritata e si vuole qui porre laccento su certe loro interrelazioni che potrebbero aiutare a chiarire alcuni dei temi di politica fiscale sul tappeto. La pressione fiscale a carico degli “onesti” Il primo tratto comune che viene in mente è che le attività non dichiarate al fisco incidono su entrambi i fattori della pressione fiscale, poiché riducono sia il gettito sia il Pil (o, quantomeno, riducono laffidabilità della stima del Pil). La pressione consueta deriva dalla divisione del gettito incassato dalla pubblica amministrazione per il Pil complessivo. Per spiegare gli altri due indici, va detto che lIstat pubblica due diverse stime dellevasione: una minima, laltra massima. Questultima comprende, oltre allevasione minima, anche una somma che potrebbe non essere collegata a redditi irregolari. (2) Orbene, il denominatore delle misure “media” e “massima” è, rispettivamente, il Pil complessivo al netto della versione minima e massima della stima dellevasione. Chiaramente, a parità di Pil totale, il Pil regolare più basso è quello connesso allevasione massima e, altrettanto ovviamente, esso genera laliquota massima poiché il gettito è uguale per tutti gli indici. In altre parole, nellevento banale e limite in cui non esistesse evasione, allora sia il rapporto massimo che quello medio collasserebbero al valore consueto. Una crescita senza ostacoli Nella tabella 2 riporto i tassi di variazione del gettito e dellevasione (nelle due versioni, massima e minima, dellIstat). Scorrendo le colonne (b) e (c) ci si rende conto che, nonostante gli interventi e la tolleranza zero, la crescita dellevasione ha trovato pochi intralci. Non solo. La crescita complessiva (vedi ultima riga) ci informa che, negli ultimi dieci anni, una delle “industrie” trainanti del nostro sistema economico è stata proprio levasione fiscale; specie quella che, secondo lIstat, è certamente evasione. Vedasi la colonna (c). Confrontando evasione e gettito (colonne (a-b) e (a-c)), risulta che i primi anni Novanta sembrano essere stati un periodo particolarmente drammatico: levasione aumentava e il gettito non riusciva a tenerne il ritmo. In seguito qualcosa è migliorato, anche se il risultato consolidato nel corso del decennio permane negativo. La correlazione tra la crescita del gettito e quella dellevasione è positiva (molto, 65 per cento, nel caso dellevasione massima; poco, 19 per cento, nel caso dellevasione minima), il che a parole vuol dire che è risultato difficile implementare politiche in grado di perseguire, contestualmente, aumenti di gettito e riduzioni dellevasione. (1) Per saperne di più, cfr. Maurizio Bovi (2006), “Evasione e sommerso nella Contabilità nazionale”, in Guerra M.C. e A. Zanardi, Rapporto di Finanza Pubblica. Bologna, il Mulino.
Merita qui di essere ricordato che lIstat corregge il Pil aumentandolo dellevasione fiscale che, con varie tecniche, riesce a quantificare. (1) Cioè, il Pil ufficiale (che è anche una somma di redditi) contiene anche i redditi non dichiarati. Viceversa, i conti pubblici non sono corretti per levasione, per cui la pressione fiscale comunemente riportata e commentata (chiamiamola “consueta”), potrebbe non essere quella “vera”.
Questultima è molto probabilmente superiore a quella solitamente discussa poiché, evidentemente, le tasse sono pagate solamente dai redditi emersi. LIstat pubblica i dati del Pil dichiarato e non, può essere interessante perciò chiedersi qual è la pressione fiscale a carico dei contribuenti onesti. Loperazione è assai semplice: il gettito va diviso per il solo Pil regolare. La tabella 1 dà conto dei risultati, affiancando tre tipi di pressione fiscale.
Si può anche osservare che variazioni di gettito per motivi del tipo “aumento/diminuzione del senso civico” (nel secondo caso si può pensare alleffetto di condoni reiterati), dovrebbero impattare meno sul quoziente massimo che su quello consueto: a parità di mutamenti negli incassi fiscali, il denominatore “tutto dentro” di questultimo resta relativamente più stabile. Va poi considerato che i valori di cui alle colonne (b) e (c) sono una sovrastima dellaliquota “vera” poiché è più facile nascondere il reddito che il consumo. Cioè, parte delle imposte indirette è pagata dai redditi irregolari. In questo caso lindicatore consueto, tenendo conto anche dei redditi evasi, è meno impreciso degli altri due.
Ancor più singolare è limpatto sulla pressione fiscale dei redditi provenienti dalle attività illegali. Da un lato, vengono (almeno in parte) spesi nel circuito legale, in ciò incrementando le entrate pubbliche mentre, dallaltro, non entrano nel Pil totale stimato dallIstat. In entrambi i casi, leffetto è una sovrastima della pressione fiscale: una parte degli incassi della pubblica amministrazione deriva da redditi non conteggiati nel Pil ufficiale. Comunque, tutto considerato, è probabile che la percentuale “vera” sia situata allinterno dei due valori estremi riportati nella tabella 1 la quale, anche perciò, appare generosa di utili indicazioni.
Entrando nel merito delle cifre, sembra che il 1997 sia stato, fiscalmente parlando, un annus horribilis : tutti i valori segnano un massimo. Daltronde, quello, era lanno delleurotassa.
Forse ancora più intenso è limpatto, anche emozionale, dellaliquota che storicamente grava sui redditi dichiarati al fisco: non di rado si è superato il 50 per cento anche nella versione più conservativa di cui alla colonna (c). Infine, losservazione dei valori del decennio suggerisce che la pressione fiscale, specie nelle due versioni non consuete, è maggiore negli anni più recenti che nei primi anni Novanta.
Evidentemente, ed è la speranza di molti, non è detto che la storia debba per forza ripetersi. Tuttavia, in base a queste informazioni, si possono tentare due considerazioni di politica fiscale.
La prima riguarda i condoni degli ultimi anni che, se fatti con lintenzione di far emergere base imponibile in modo permanente, avrebbero dovuto produrre sia maggior gettito sia minore evasione. Nei dati aggregati qui analizzati, simili dinamiche non trovano riscontri.
La seconda interpretazione normativa è che in Italia la gestione delle entrate pubbliche appare particolarmente complicata. Dal lato emerso, devono confrontarsi con rigidi vincoli sovranazionali, con un debito abnorme, con una spesa (nel breve termine) sempre meno comprimibile e (nel lungo termine) sempre più decentrata; dal lato sommerso, sembrano subire vigorose reazioni ai tentativi di reperire incassi aggiuntivi.
Insomma, il quadro prospettato dovrebbe far intuire perché, nei dibattiti di politica fiscale, si sente spesso dire che i) la (più che trentennale) “stagione” dei condoni è ormai finita e che ii) la lotta allevasione fiscale è un prerequisito per la riduzione della pressione fiscale.
* Le opinioni qui espresse sono personali e non necessariamente impegnano lIsae.
(2) Il fatto è che lIstat non è in grado di discriminarne la parte che, con maggiore certezza, proviene da attività sommerse.
Il problema dell’Italia non è la sostanziale equivalenza in termini di consenso delle due coalizioni. Anzi, significa che il sistema politico italiano ha ormai trovato un suo schema bipolare e competitivo. La questione è invece la legge elettorale, che va cambiata. Il maggioritario a doppio turno, già utilizzato nell’elezione dei sindaci, unisce due pregi: limita la capacità di ricatto dei partiti estremisti e consolida gli incentivi all’aggregazione tra le forze politiche in due schieramenti contrapposti. E va abbandonato il bicameralismo perfetto.
Nell’ultimo anno i prezzi dei carburanti sono notevolmente aumentati. All’origine dei rincari vi sono l’aumento delle quotazioni del greggio e le strozzature nella raffinazione. Ma sui prezzi alla pompa del gasolio si è scaricato anche un sensibile aumento del margine di distribuzione, destinato a remunerare la compagnia petrolifera e la distribuzione al dettaglio. E’ cresciuto di circa il 30 per cento. Le compagnie e i distributori finali potrebbero aver compensato la discesa dei volumi di vendita di benzina con un aumento dei margini unitari sul gasolio.