Finora i costi della guerra commerciale tra Usa e Cina sono stati pagati dalle famiglie e imprese statunitensi. Perché allora Trump persevera? Perché trae conclusioni sbagliate dai dati, ma anche per calcolo elettorale. Intanto, però, le borse calano.
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La politica commerciale aggressiva degli Stati Uniti potrebbe far avvicinare Europa e Cina. Ma allo stesso tempo mette in luce la necessità di riaprire la discussione in sede Wto sul tema della concorrenza e con meno ipocrisie rispetto al passato.
La firma italiana al Memorandum of Understanding con la Cina ha mosso le acque anche in Europa. Si intravede ora la possibilità di quella posizione comune che finora è mancata, ma che è l’unica strada per ottenere risultati concreti e duraturi.
Donald Trump minaccia di alzare notevolmente i dazi sulle importazioni negli Usa di auto tedesche. Lo fa forse per imporre alla UE la firma al Ttip. Ma se le tariffe entrassero davvero in vigore le conseguenze sarebbero enormi per tutti, Italia compresa.
La crescita cinese si ferma al 6,5 per cento nel 2018. E gli effetti della guerra commerciale non si sono ancora fatti sentire. Il vero nodo sono gli alti livelli di indebitamento delle imprese. Ma le autorità non sembrano avere soluzioni adeguate.
Al G20 di Buenos Aires Usa e Cina hanno raggiunto un’intesa di massima per fermare l’escalation della guerra commerciale. È un accordo positivo nella forma e nella sostanza. Ma occorre proseguire e ridare un ruolo centrale alle istituzioni multilaterali.
All’indomani del 7° Forum sulla cooperazione sino-africana, la Cina estende il suo peso in Africa, attraverso finanziamenti destinati a infrastrutture e attività estrattive. Il rapporto diventa così ancora più sbilanciato, a favore del gigante asiatico.
Dopo i dazi sulle importazioni dalla Cina, Trump va all’attacco del Nafta. La revisione del trattato danneggerà certamente i consumatori Usa, senza garantire una crescita dell’occupazione. Però il presidente guadagnerà consenso tra i suoi elettori.
La guerra commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina è alla fine iniziata. Porta con sé grandi rischi di un’escalation che potrebbe rallentare tutta l’economia mondiale. Non ci sarà un vincitore, ma è già chiaro chi pagherà il conto dell’azzardo di Trump.
Lo yuan si è indebolito dalla seconda metà di aprile e da inizio giugno ha perso sul dollaro il 3 per cento. Ma non è la banca centrale cinese a orchestrare la svalutazione. Anzi le autorità di Pechino hanno molti motivi per preferire una moneta forte.