La politica commerciale aggressiva degli Stati Uniti potrebbe far avvicinare Europa e Cina. Ma allo stesso tempo mette in luce la necessità di riaprire la discussione in sede Wto sul tema della concorrenza e con meno ipocrisie rispetto al passato.

Dazi come misure compensative

Il 9 aprile l’ufficio del rappresentante per il commercio degli Stati Uniti ha annunciato possibili dazi su un elenco preliminare di importazioni dall’Unione Europea, per un valore totale di 11,2 miliardi di dollari. Potrebbe essere colpita la componentistica del settore aerospaziale che l’Europa esporta negli Stati Uniti, insieme a molti prodotti alimentari europei che hanno un grande mercato oltre Atlantico, come prosecco, pecorino, Emmental, cheddar, yogurt, burro, vini, agrumi, olio d’oliva, marmellata.

Nonostante lo stile battagliero del presidente Trump abbia reso estremamente teso il clima sul fronte commerciale internazionale, l’annuncio non rappresenta un nuovo episodio della guerra commerciale iniziata dall’amministrazione americana contro la Cina prima, e l’Europa poi. Si tratta invece del protrarsi di una disputa giuridica tra Stati Uniti e Unione Europea presso il Wto (Organizzazione mondiale del commercio), iniziata nel lontano 2004: i possibili nuovi dazi, sulla cui legittimità il Wto si pronuncerà entro la fine di quest’anno, sono l’equivalente stimato delle misure compensative per gli aiuti di stato che, secondo l’accusa di Washington, Airbus avrebbe ricevuto illegittimamente negli ultimi quindici anni.

Tuttavia, il momento e il contenuto dell’annuncio da parte dell’ufficio di Robert Lighthizer fanno pensare che esso si innesti ad arte in un momento difficile per l’amministrazione statunitense della gestione delle relazioni con i suoi due principali partner commerciali, Europa e Cina. Da un lato, mette in luce i pericoli della politica unilaterale di Trump e al contempo suggerisce una possibile soluzione.

Le relazioni Europa-Cina

Innanzitutto, l’annuncio è avvenuto nello stesso giorno in cui a Bruxelles il 21° summit tra Unione Europea e Cina ha finalmente dato segnali concreti di cooperazione bilaterale in materia di reciprocità negli investimenti diretti e nell’accesso al mercato. Dopo le reiterate vane promesse di Pechino sulle riforme nei settori ancora esclusi dagli accordi firmati in occasione dell’ingresso della Cina nel Wto nel 2001 – public procurement, apertura alle imprese estere nel settore finanziario, protezione della proprietà intellettuale – il comunicato congiunto impegna le parti a giungere ad accordi, entro il 2020, per quanto riguarda gli investimenti diretti (di cui beneficeranno in gran parte le imprese europee che in Cina trovano ancora barriere e ostacoli, cui fa da contraltare un’apertura finora incondizionata agli investimenti cinesi in Europa). Inoltre, il summit è stato preceduto da due importanti visite di Stato del presidente Xi, prima in Italia, poi in Francia, durante le quali le relazioni bilaterali hanno subito un’accelerazione in parte inattesa. L’Italia, oltre ad alcuni accordi per l’esportazione di alcuni prodotti agroalimentari in Cina, ha firmato un Memorandum of Understanding che sancisce la cooperazione di Roma nella realizzazione della Belt and Road Initiative (il progetto di stato volto all’espansione economica, commerciale, culturale, digitale e finanziaria della Cina nel mondo). La Francia ha concluso una serie di accordi e contratti, tra cui una commessa cinese per Airbus da 30 miliardi di dollari. Dopo anni di stallo, la possibilità concreta che tra Ue e Cina possa iniziare davvero una distensione nelle dispute commerciali e una cooperazione bilaterale e nei paesi terzi prepara una convergenza di interessi tra Bruxelles e Pechino che oggi sembra impossibile per la rivalità strategica tra le parti, ma che potrebbe svilupparsi con l’emergere di un colosso economico eurasiatico (che lega Cina, Russia e Asia centrale fino alle porte meridionali e orientali dell’Europa).

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In questo contesto, l’annuncio Usa rende espliciti gli effetti negativi permanenti, sul sistema multilaterale del commercio, determinati dalla politica poco accorta e poco lungimirante di Donald Trump nei confronti dell’ascesa cinese: invece di isolare la Cina e di spaventare l’Europa, spinge le due ad avvicinarsi sempre di più.

Una disputa lunga quindici anni

L’annuncio di Lighthizer riapre anche un’altra questione di vecchia data: la riforma del Wto riguardo alle politiche per la difesa della concorrenza. La disputa tra Stati Uniti ed Europa presso il Wto è la più costosa nella storia dell’organizzazione e ha mostrato che sia Airbus sia Boeing hanno ricevuto aiuti non legittimi secondo le regole del Wto. Entrambi i contendenti – Stati Uniti ed Europa – hanno dunque violato le regole del Wto, ma nessuno dei due intende cedere per primo e interrompere i sostegni al settore aeronautico.

La disputa è iniziata nell’anno in cui gli Stati Uniti sono usciti unilateralmente dall’accordo sul Trade in large civil aircraft (Tlca), che regolava gli aiuti ai produttori americani ed europei di grandi aeromobili civili, fissando il limite massimo al 33 per cento dei costi totali di sviluppo per il sostegno diretto e al 3 per cento del fatturato annuo di ciascun settore per il sostegno indiretto. Guarda caso il 2004 è stato l’anno in cui Airbus lanciava A380 e A350, potenziali concorrenti dei velivoli Boeing con oltre cento passeggeri. Da allora, la battaglia tra due colossi di un settore di dimensione globale – e con una crescita attesa a oltre 3 mila miliardi di dollari sulla base di stime che prevedono un raddoppio del traffico aereo civile entro il 2028 – è diventata una disputa giuridica costosissima. E anche inefficace, perché insieme ad altre, rende il Wto un tribunale più che un foro di dialogo e di negoziazione per far progredire il sistema mondiale degli scambi.

Oggi, di fronte alla concorrenza di produttori finanziati dallo stato in Cina, Russia e Giappone, è evidente che la soluzione migliore risiede in un accordo internazionale per il settore. Potrebbe essere l’occasione per affrontare il tema della concorrenza nell’ambito del Wto in un modo più realistico e meno ipocrita di quanto non sia stato finora: le grandi imprese sono naturali in alcuni settori caratterizzati da elevate economie di scala e la Cina è stata ammessa nel Wto senza condizioni sulla dimensione delle sue imprese e sugli aiuti pubblici che ricevono da sempre.

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