I pedaggi dovrebbero servire a coprire i costi degli investimenti e della gestione delle autostrade. Se rimangono invariati anche quando l’arteria è pienamente ammortizzata, siamo di fronte a una imposta sul transito. Che dovrebbe essere votata dal parlamento e non semplicemente decisa dal governo.
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Prosegue il balletto delle proroghe delle concessioni autostradali. Lo Stato rinuncia così ai proventi delle gare. Ma non si preoccupa neanche di stabilire l’effettiva utilità delle nuove tratte che giustificano quei prolungamenti. Tanto a pagare sono gli automobilisti, con l’aumento dei pedaggi.
Dopo un lungo braccio di ferro, il rinnovo della concessione per l’Autobrennero è vicino. A vincere sono i politici del Trentino Alto Adige, che si sono sempre opposti alla gara. Ma dar loro ragione costituisce un pessimo precedente. Introiti per lo Stato e razionalizzazione del sistema autostrade.
Una concessione dovrebbe implicare il trasferimento al concessionario di un rischio operativo. In Italia non è mai stato così per le autostrade. Ora il sistema rischia di estendersi alle infrastrutture ferroviarie. Eccesso di investimenti, direttiva Recast e la potente lobby ferroviaria europea.
Finalmente abbiamo un testo e i numeri della legge di Stabilità. Rispetto alle variopinte slides renziane, parecchie sorprese. A partire dal disavanzo aggiuntivo, appena sopra 7 miliardi anziché 11 miliardi. La decontribuzione per i nuovi assunti, poi, ci sarà soltanto per il 2015. Altra sorpresa: le entrate arrivano a 10 miliardi grazie alla previsione di 2,5 miliardi in arrivo dalla tassazione del Tfr in busta paga. Infine, i comuni, a differenza di Regioni e Province, hanno un saldo solo leggermente negativo con lo sblocco di 3,3 miliardi del Patto di stabilità interno.
Meglio investire sui nidi per l’infanzia -che sono frequentati solo dal 17 per cento dei bambini- piuttosto che distribuire sussidi come il bonus bebè. Per molti buoni motivi. Spiegati in un nuovo Dossier sul tema.
Demandare allo statuto delle piccole-medie imprese quotate la fissazione delle soglie dell’Opa obbligatoria -come stabilito nel decreto “Competitività”- ha varie controindicazioni. Prima fra tutte: ve li immaginate gli investitori stranieri che setacciano gli statuti per capire dove conviene investire?
Va nella direzione giusta il decreto sulla giustizia civile che vuole diffondere forme alternative di risoluzione delle controversie come mediazione e arbitrato. Improbabili, però, gli effetti positivi nell’alleggerire i tribunali perché mancano incentivi e stimoli a ricorrere a questi istituti.
Stiamo per fare enormi regali alle concessionarie autostradali con le proroghe fino a oltre il 2043 previste dal decreto “Sblocca Italia” su cui si chiede il voto di fiducia. Nella pressoché totale indifferenza di opinione pubblica e Parlamento. Sarebbe il caso di fare una seria analisi costi-benefici e di sentire il parere degli utenti.
Gestire un’autostrada è attività molto semplice e senza rischi imprenditoriali. Tutti gli interventi sono stati finanziati a debito e i debiti ripagati con i pedaggi. Eppure, attraverso le proroghe si perpetuano le rendite per le società concessionarie. Investimenti pagati due volte dai cittadini.
In pochi giorni la legge di stabilità di Renzi, abbozzata come una manovrina, è diventata una manovrona da 36 miliardi, con tagli di spesa di 15 miliardi e peggioramento del deficit di bilancio. Forse è la scossa che ci voleva, ma con molti rischi. Che non arrivano tanto dal vaglio di Bruxelles (dove si potrà trovare un accordo) quanto dalla sua credibilità sui mercati internazionali e fra gli italiani. Speriamo che non avvertano lo stesso senso di provvisorietà che avvertiamo noi leggendo la manovra. In questi giorni abbiamo avuto un assaggio della tempesta che ci aspetta se l’Europa continua a latitare, prigioniera di governi nazionali che danno una risposta disordinata alla crisi e perseguono i propri interessi elettorali di breve periodo.
Dall’Iraq alla Siria, i paesi del petrolio medio-orientale sono un campo di battaglia percorso dalle scorrerie dell’Isis. Eppure il prezzo dell’oro nero tende a ridursi. Cerchiamo di spiegare questa contraddizione.
A confronto due grandi monopolisti: Ferrovie dello Stato e Autostrade per l’Italia. Hanno un potere politico ed economico enorme che nessuno sembra intenzionato a intaccare. Anche a livello europeo, un timido tentativo di liberalizzazione del settore ferroviario è stato bocciato dal Parlamento di Strasburgo.
Un commento di Umberto Lebruto, direttore produzione Rfi, e Marco Caposciutti, direttore tecnico di Trenitalia all’articolo di Ivan Beltramba “Quando il treno è inaccessibile”
Ferrovie e autostrade sono monopoli naturali regolati. Con molte similitudini. A partire dal fatto che sembra mancare la volontà politica di intaccarne il potere monopolistico. Permettendo così a Fsi di bloccare qualsiasi reale apertura alla concorrenza o ipotesi di riduzione dei sussidi pubblici.
Il Jobs act prevede l’introduzione in Italia di un salario minimo. Ma non può circoscriverne l’applicazione ai settori non coperti dalla contrattazione collettiva perché, così facendo, lo renderebbe del tutto inefficace. Bene, invece, discutere il livello a cui fissare il compenso minimo, le modalità di regolazione e aggiustamento nel tempo e, infine, la copertura e la vigilanza.
Se il governo Renzi vuole davvero combattere le lobby, dovrebbe mettere fine al sistema delle concessioni autostradali praticamente perpetue, con tariffe opache, rendite d’oro e rischio d’impresa quasi zero. Tre sono scadute e altre quattro sono vicine al termine. Invece il decreto Sblocca Italia prevede l’accorpamento di concessioni con proroga alle scadenze più lontane, oltre i 20 anni.
Sul mercato dell’energia elettrica italiano si può arrivare presto a prezzi negativi. Come già succede nei maggiori paesi europei se si verificano bassa domanda ed eccesso di offerta. Vediamo quando e a chi conviene vendere la propria produzione pagando il compratore.
Di quanto l’aumento dell’immigrazione sposta l’elettorato verso i partiti di destra? Uno studio dice che per ogni punto percentuale di crescita degli stranieri in Italia, le coalizioni favorevoli alla restrizione dei flussi guadagnano l’1,3 per cento.
Si fa presto a dire che gli strumenti chiave per la disciplina europea di bilancio sono il saldo strutturale e il cosiddetto output gap. In realtà si tratta di stime complesse e tutt’altro che univoche, oltre che di regole di quasi impossibile comprensione per un cittadino di media cultura. Entriamo in questo rompicapo. Avvertenza: se non capite, non siete stupidi; forse stupide sono queste regole di Bruxelles.