Tra Usa e Cina non è in atto una disputa commerciale, ma una rivalità totale. I dazi potrebbero essere un mezzo di pressione per arrivare alla riforma delle regole del commercio che l’Omc non è stato capace di fare. Ma l’Occidente deve cambiare attitudine.
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Con un’Europa titubante, un’America nel migliore dei casi assente e una Cina assertiva, è difficile aspettarsi risultati storici dalla Cop30 che si apre a fine mese in Brasile. Molte discussioni ruoteranno probabilmente proprio attorno al ruolo di Pechino.
C’era anche l’India all’incontro della Shanghai Cooperation Organization. Ma New Delhi fa parte anche di altri gruppi di cooperazione, come i Brics, in funzione anticinese. Dietro il suo multi-allineamento motivi strategici e necessità tattiche.
Le valute digitali non sono semplicemente la versione smaterializzata del contante, ma introducono un nuovo tipo di moneta, che potrebbe far concorrenza a quella bancaria. Le tre grandi aree economiche – Usa, Cina e Eurozona – perseguono strategie diverse.
Il confucianesimo non ha ostacolato lo sviluppo economico cinese, come aveva ipotizzato Max Weber. Oggi rimane una lente importante per capire i punti di forza e debolezza di Pechino. E perché è un punto di forza del programma “Made in China 2025”.
Stati Uniti e Cina cercano di disinnescare la guerra commerciale in corso: hanno annullato alcuni dazi punitivi reciproci e sospeso altri per novanta giorni. Ma cosa significa per il resto del mondo l’accordo tra le due maggiori economie?
Benché abbia una forte capacità innovativa, l’Europa è in ritardo rispetto a Usa e Cina in campo tecnologico. Perché investe poco sulle prime fasi di sviluppo delle idee. Per i progetti ad alto rischio e lunga gestazione è cruciale il sostegno pubblico.
Canada, Messico e Cina sono i primi destinatari dei dazi promessi dal presidente Usa. Ma le tariffe non daranno i risultati economici sbandierati. Perché sono soprattutto uno strumento di pressione. La reazione però potrebbe essere diversa da quella voluta.
Aumentano i prestiti cinesi ai paesi africani. Per lo più, servono a finanziare progetti infrastrutturali. Facilitano così la partecipazione alle catene globali del valore, contribuendo alla crescita delle esportazioni e al miglioramento della produttività.