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Cosa serve all’Italia per contare di più tra i grandi paesi

Quale sarà il ruolo dell’Italia nel G20 di fine giugno in Giappone? In base all’esperienza, per ottenere risultati abbiamo bisogno di una buona immagine del nostro paese nel mondo e un presidente del Consiglio autorevole. E ci serve un alleato potente.

Il Punto

Cosa pensano i parlamentari di tre paesi della Ue dei grandi temi europei, dal completamento dell’Unione monetaria all’immigrazione? Un sondaggio mostra che i rappresentanti francesi e i nostri, nonostante le recenti frizioni tra governi, sono d’accordo su molte scelte, al contrario di populisti italiani e tedeschi. Aspettando l’8 marzo, guardiamo alla composizione per genere nei parlamenti nazionali e a Strasburgo. E perché c’è varietà di opinioni sulle quote rosa. Che da noi hanno funzionato nell’inserire una significativa componente femminile nei cda delle società quotate. Ora si può fare di più e meglio per aumentare la presenza di donne nel top management delle stesse aziende.
Una Brexit senza accordo tra Regno Unito e Ue a 27 sarà un lose-lose: perderanno tutti. Di più i britannici, perché sotto le regole del Wto sul loro import peseranno dazi fino al 17,5 per cento. Mentre le imprese continentali subiranno piccoli aggravi per le produzioni frammentate tra le due coste della Manica. Più seria per l’Europa, invece, la minaccia di barriere commerciali Usa sulle importazioni di auto e componenti provenienti dalla Germania. A pagare pegno non sarebbero solo i tedeschi ma tutta la filiera internazionale automobilistica, a cominciare dalle aziende italiane. Estendendo la guerra (commerciale) anche all’Europa Trump va oltre il suo obiettivo di mettere in riga la Cina per la sua concorrenza sleale e rischia di scardinare il sistema di scambi globali. Tra le due potenze, la frontiera di scontro più aspro è quella delle tecnologie, in particolare dell’intelligenza artificiale. Il cui impatto dirompente in tutti i settori riveste un’importanza geopolitica strategica. Dentro a questo quadro la Ue cerca con difficoltà di ritagliarsi uno spazio.

Quel trattato col Canada non è solo commerciale

L’accordo commerciale con il Canada è vantaggioso per le imprese italiane, specialmente quelle medio-piccole. L’ipotesi che il Parlamento possa non ratificarlo chiama in causa gli assetti istituzionali della UE e la necessità di maggiore integrazione.

Ma le guerre commerciali non prevedono il lieto fine

Oggi è difficile essere ottimisti su una risoluzione consensuale della controversia commerciale tra Usa e Cina. Ma se le sanzioni minacciate diventassero realtà, il gioco si farebbe davvero pericoloso, per i due paesi e per gli scambi internazionali.

Chi decide in Europa sugli accordi di libero scambio

La Corte di giustizia ha stabilito che negoziare e concludere accordi di libero scambio con paesi terzi è competenza esclusiva della Ue, con il controllo del parlamento europeo. Si rafforza l’impostazione attuale della politica commerciale comune.

I rischi del nuovo protezionismo americano

Apertura economica e commercio internazionale sono stati al centro della campagna elettorale Usa. E saranno temi importanti anche nell’Europa del 2017. Il protezionismo è oggi un’opzione politica allettante. Ma oltre a creare danni all’economia mondiale potrebbe alimentare tensioni geopolitiche.

Ceta, il bersaglio sbagliato

La Ue ha negoziato con il Canada l’apertura reciproca di gran parte degli scambi nel rispetto di standard elevati. Il Ceta è un’opportunità per l’Europa e dovrebbe essere un modello per altri trattati commerciali, a partire dal Ttip. Perché è stato osteggiato. Il potere di ricatto dei paesi.

Il Punto

Mentre nell’ingovernabile Spagna torna il “voto utile” e vanno in soffitta le aspirazioni di governo di Podemos, la slavina Brexit produce i suoi effetti. In Gran Bretagna – dove scozzesi, nordirlandesi e londinesi hanno per lo più scelto il Remain – incombe lo spettro del Regno Disunito. Ma l’opzione di rimanere nella Ue è giuridicamente possibile solo per la Scozia. Il referendum inglese ha anche diviso le generazioni. I giovani che hanno votato volevano restare in Europa. Ma più del 50 per cento di quelli sotto i 25 anni sono rimasti a casa. In campo economico, l’aumento delle barriere al commercio internazionale potrebbe costare alle famiglie britanniche tra 850 e 1.700 sterline all’anno. Ed è incerto il futuro della piazza finanziaria di Londra poiché gli operatori con base sulle rive del Tamigi perderanno l’accesso al mercato comunitario. E così Cameron auspica per il suo paese un’Europa à la carte che Bruxelles vede come il fumo negli occhi.
Intanto, visti i tempi eccezionali, tanti chiedono alla Bce una politica monetaria non convenzionale al cubo: distribuire denaro ai cittadini (“helicopter money”). Sostituendo, di fatto, i governi in un’azione di politica fiscale. Meglio valutare prima le possibili conseguenze. Chi certo non innaffia di soldi la clientela sono le banche che piazzano i fondi d’investimento. E anzi si inventano modi per mungere i risparmiatori sotto forma di occulte commissioni di collocamento incassate giorno per giorno per un totale pari a un terzo dei loro utili.
Contribuiscono alla deflazione i salari in diminuzione (-0,7 per cento, -1,4 nella sola industria, primo trimestre 2016 su 2015). Difficile aumentarli quando la produttività ristagna. Se non riducendo il cuneo fiscale.

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Dalla Brexit un conto salato per il commercio britannico

Dopo quarantatré anni, il Regno Unito esce dall’Unione Europea. I possibili scenari prevedono un aumento delle barriere al commercio internazionale del paese. L’uscita dal mercato unico costerebbe alle famiglie britanniche tra le 850 e le 1.700 sterline l’anno. E si tratta di stime prudenti.

Commercio europeo oltre l’orizzonte del Ttip

Se il negoziato sul Ttip andasse in porto, gli Stati Uniti diventerebbero il fulcro del commercio mondiale, grazie al parallelo accordo firmato con i paesi del Pacifico, Cina esclusa. Gli interessi dell’Europa e le misure da adottare per realizzare una politica commerciale pienamente federale.

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