La nuova contabilità ci regala qualche miliardo di Pil in più, che arriva soprattutto dalle costruzioni. La nota positiva è il miglioramento dell’andamento della produttività del lavoro. Aumenta la domanda di lavoro, ma la caduta dei salari reali è forte.
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Il 2024 non è un anno favorevole per l’industria europea, penalizzata da fattori di natura congiunturale e problemi più strutturali. Se la Germania soffre più di tutti, in Italia ci sono differenze significative fra settori, con qualche segnale di ripresa.
Negli ultimi tre anni i contratti collettivi non sono riusciti a proteggerli i salari reali dall’inflazione. Fra i settori le differenze sono ampie e solo in alcuni le componenti di secondo livello hanno compensato in parte le perdite di potere d’acquisto.
L’ipotesi di un rientro soft dall’inflazione, in alternativa a una recessione, non è ancora un fatto scontato. Molto dipenderà dalle politiche monetarie del 2024, che a loro volta saranno condizionate dall’andamento dei prezzi e dalle dinamiche salariali.
I dati degli ultimi mesi hanno mostrato un peggioramento dell’attività industriale a livello internazionale. Anche in Italia i numeri indicano ora un arretramento della produzione della manifattura. E non si prevede un rafforzamento in tempi brevi.
Nel 2022 i profitti unitari delle imprese nell’area euro sono aumentati, contribuendo a quasi tre punti percentuali di maggiore inflazione. In Italia il fenomeno è meno forte: salgono i profitti del settore energia, a spese delle produzioni made in Italy.
Negli ultimi mesi l’inflazione negli Stati Uniti è passata dall’1 al 5 per cento. La lettura prevalente è che si tratti di aumenti di carattere transitorio e reversibili. I paesi europei possono imparare qualche lezione dall’esperienza Usa?