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Occupazione senza crescita, il puzzle del 2023

La crescita dell’occupazione in un periodo di rallentamento dell’economia ha varie spiegazioni. Un ruolo ha svolto la politica economica, che però in Italia ha sostenuto soprattutto gli investimenti in costruzioni. Ora però ci sono segnali di cambiamento.

Domanda e offerta di lavoro

Negli ultimi tre anni l’occupazione in Italia è andata bene. Non solo è aumentato il numero di occupati, ma vi sono anche aspetti relativi alla qualità dell’occupazione, che ne hanno caratterizzato ulteriormente l’andamento: in particolare, gli incrementi hanno interessato soprattutto la fascia di lavoratori con contratto a tempo indeterminato. Un altro aspetto significativo è che l’occupazione è aumentata nelle regioni del Mezzogiorno più che nelle altre ripartizioni territoriali.

Questo andamento si è protratto per un periodo esteso, mettendo così a dura prova diverse chiavi di lettura che sono state proposte negli ultimi anni per descrivere i tratti del mercato del lavoro italiano, enfatizzando la scarsa propensione dell’offerta di lavoro potenziale a proporsi sul mercato, specialmente al Sud.

Di fatto, al costo di un eccesso di semplificazione, i dati suggeriscono che da quando la domanda di lavoro ha preso ad aumentare anche l’offerta si è proposta sul mercato.

Figura 1

Se questi sono i trend di fondo, è anche vero che la lettura delle tendenze del mercato del lavoro è diventata più difficile nel corso dell’ultimo anno e mezzo, considerando che la crescita dell’occupazione si è protratta in una fase di decisa decelerazione della crescita dell’economia.

Tre elementi per risolvere il puzzle

Il puzzle dell’occupazione senza crescita ha attirato l’attenzione di molti commentatori. Nel dibattito recente sono stati evidenziati almeno tre aspetti significativi che avrebbero favorito la crescita dell’occupazione anche in una fase di frenata dell’economia.

Innanzitutto, la composizione settoriale della recente fase di crescita dell’economia, spostata sul recupero delle attività dei servizi, ad esempio nelle attività legate al turismo, caratterizzate da un livello del valore aggiunto per occupato mediamente basso.

In secondo luogo, vanno ricordate le difficoltà del periodo post-pandemico, che avevano reso difficile il reperimento di lavoratori per molte aziende, tanto da portare a un aumento del numero dei posti vacanti. Dopo un lungo periodo di difficoltà nel trovare mano d’opera, le imprese sarebbero adesso restie a ridimensionare gli organici nella fase di frenata dell’economia. Proprio per evitare di incorrere nei costi di selezione del personale nella successiva fase di ripresa, le imprese avrebbero adottato strategie di “labour hoarding”, per cui anche nei settori in difficoltà si sarebbero osservate pochissime riduzioni degli organici.

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Un terzo aspetto è la fase di eccezionale moderazione salariale pur di fronte agli aumenti significativi dei prezzi, che avrebbe modificato le convenienze relative, favorendo la tenuta della domanda di lavoro.

Oltre a questi elementi, evidenziati di frequente nel dibattito, vi sono altri due punti che è utile sottolineare per completare la lettura degli andamenti in corso.

I dati italiani e quelli degli altri paesi europei

Innanzitutto, quanto abbiamo visto accadere in Italia non è certamente un tratto peculiare del nostro paese. Limitandoci a un confronto con i maggiori partner europei, Francia e Germania, l’aumento dell’occupazione in Italia supera non di molto quello della Germania, mentre è decisamente inferiore a quello della Francia. Utilizzando i dati del terzo trimestre, si ricava che tra il 2019 e il 2023 gli occupati sono cresciuti dell’1,4 per cento in Italia, dello 0,6 per cento in Germania e del 5,2 per cento in Francia.

Anche se si ragiona in termini di produttività del lavoro, i dati italiani non evidenziano un andamento peculiare rispetto ai nostri maggiori partner europei. Dalla figura 2, che illustra l’andamento del Pil rapportato al monte ore lavorate, emerge soprattutto la decisa contrazione dell’economia francese. Va comunque ricordato che in Francia è in corso un dibattito sugli effetti del cosiddetto “contrat d’apprentissage”, una misura che ha riscosso notevole successo negli anni scorsi. Uno dei problemi è che i lavoratori con contratti di apprendistato in Francia sono contabilizzati dall’Insee, l’ufficio nazionale di statistica, come lavoratori a tempo pieno, nonostante una parte del loro tempo sia dedicata ad attività di formazione. Secondo alcuni economisti francesi, una parte della contrazione della produttività in Francia sarebbe da ricondurre quindi a questo effetto.

Figura 2

Il ruolo della domanda pubblica

Un ultimo aspetto significativo per spiegare lo scollamento fra andamento del numero di occupati e crescita dell’economia nella fase di rallentamento è rappresentato dalla composizione settoriale dell’aumento dell’occupazione. Confrontando di nuovo il terzo trimestre del 2023 con l’analogo periodo del 2019, nella figura 3 si descrive il contributo fornito da ciascun settore alla variazione percentuale dell’occupazione in Italia e nell’area euro (la somma dei contributi è pari alla variazione percentuale dell’occupazione totale nel periodo).

Nell’area euro i principali contributi positivi alla crescita dell’occupazione provengono dalla sanità, dal turismo e dalla ristorazione, dal commercio, dai servizi legati all’informatica (che tendenzialmente registrano da diversi anni una buona performance e seguono prevalentemente un percorso di cambiamento di carattere strutturale, legato all’introduzione di nuove tecnologie), dall’istruzione e dalla pubblica amministrazione.

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Il fatto che i settori a elevata incidenza del pubblico abbiano fornito un contributo rilevante alla crescita dell’occupazione è un segnale dell’indirizzo seguito negli ultimi anni dalle politiche nei paesi europei, anche a seguito della percezione emersa con la pandemia di dover rafforzare i sistemi sanitari nazionali. La domanda pubblica è in generale slegata dall’andamento del ciclo economico e questo contribuisce a spiegare la crescita occupazionale anche in una fase di decelerazione dell’economia.

Il caso italiano si è differenziato da quello dell’area euro in termini di composizione settoriale degli incrementi occupazionali. Difatti anche da noi il ruolo delle politiche di bilancio è stato significativo; tuttavia, mentre i programmi di aumento degli organici della pubblica amministrazione sono in ritardo, la politica economica negli anni scorsi ha agito soprattutto sostenendo gli investimenti in costruzioni attraverso gli incentivi del superbonus. Il settore delle costruzioni ha avuto quindi un ruolo determinante nel sostenere la crescita dell’occupazione in Italia. Dato che anche in questo caso la crescita dell’occupazione è stata finanziata dalla politica di bilancio, non sorprende che l’andamento sia stato disallineato dal quadro economico complessivo.

Guardando ai dati più recenti, nel corso dell’ultimo anno (quindi confrontando il terzo trimestre 2023 con l’analogo periodo del 2022), l’occupazione in Italia ha invece frenato soprattutto nelle costruzioni. Il trend positivo del mondo dell’edilizia si sta esaurendo.

Allo stesso modo, il recupero dell’ultimo anno ha registrato l’apporto significativo delle attività legate al turismo, in linea con il completamento delle riaperture, e anche in questo caso la spinta ha probabilmente raggiunto il massimo.

Significativo, comunque, che anche da noi stiano emergendo alcuni primi segnali nei settori a domanda pubblica, come Pa, sanità e istruzione. Il pubblico ha necessità di ampliare e ringiovanire gli organici, anche per sostenere gli ambiziosi programmi di digitalizzazione e rafforzamento infrastrutturale del paese. 

Figura 3

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Il Punto

  1. Ezio Pacchiardo

    Negli USA, dove in genere i fenomeni socio-economici precedono quelli che poi si verificano da noi, molte grandi società stanno riducendo le loro forze lavoro dal 7% al 10%.
    E’ molto probabile che da noi ed in UE il problema non si sia ancora presentato in tutta la sua gravità grazie ai programmi di protezione e di cassa integrazione. Ma la contrazione dell’economia tedesca e degli altri paesi UE, Italia inclusa, non lascia a ben sperare.

  2. Savino

    In tutto questo, ci siamo dimenticati che lo sviluppo economico e l’occupazione non ci possono essere senza i settori primario e secondario. Anche durante la pandemia si sono forgiate in prevalenza attività d’impresa non strategiche in chiave macroeconomica.

  3. Gianpaolo

    Magari un grafico incrociato tra andamento occupati e ore lavorate ci darebbe qualche chiave di lettura.

  4. Attilio Pasetto

    Merito principale dell’articolo è quello di far capire come nel mercato del lavoro siano in corso cambiamenti strutturali che inducono a guardare al rapporto tra occupazione e crescita con occhi diversi dal passato, non legati soltanto all’evoluzione congiunturale. La crisi demografica comincia a mordere, le imprese faticano a trovare personale sia nei settori a basso valore aggiunto, come turismo e ristorazione, sia in quelli hi-tech, dove mancano risorse qualificate, che spesso vanno all’estero perchè pagate di più. Anche il fenomeno del labour hoarding è importante. Resta il problema, più tipicamente italiano, dei bassi salari, legato a sua volta a quello della produttività. Ciò significa che, per contrastarli, dobbiamo puntare a una crescita migliore dal punto di vista qualitativo, non meramente quantitativo.

  5. Antonio

    Come già suggerito (Gianpaolo), sarebbe importante trasformare i posti di lavoro in Unità di Lavoro Equivalenti; se fossero aumentati in prevalenza i lavori part time, il giudizio sarebbe meno positivo.
    Inoltre sarebbe importante conoscere i settori trainanti. Come noto la produttività nei servizi è più bassa che nell’industria per cui un aumento del Valore Aggiunto nei servizi crea un aumento dell’occupazione più che proporzionale.
    P.S.: Anche nell’articolo si continua a confondere il concetto di Valore Aggiunto con quello di produttività! Non è vero che il settore del Turismo è a basso valore aggiunto (il costo del lavoro è parte del V.A.) ma è un settore a bassa produttività (fatturato/costo del lavoro).

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