I terreni dell’Expo di Milano dovevano essere venduti realizzando una ricca plusvalenza a beneficio dei contribuenti. Non se ne è fatto nulla e, dopo ipotesi varie e fantasiose, si è deciso per il progetto di un grande centro di ricerca scientifica per la salute. Ma ne vale la spesa?
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Senza investimenti niente crescita, ripetono spesso Renzi e Padoan. E a incoraggiare gli investimenti in nuove tecnologie è dedicato il piano Industria 4.0 del ministro Calenda. Ma non tutti gli incentivi vanno bene: servono se rimediano a indubbie insufficienze del settore privato. E per decidere, meglio lasciar da parte le “cabine di regia”. Un caso di sviluppo tecnologico a rischio è Human technopole, il centro di ricerca scientifica che sorgerà sull’area Expo di Milano. I terreni avrebbero dovuto fruttare una lauta plusvalenza per i contribuenti ma non sono stati venduti. Ora si mettono altri soldi pubblici per un progetto senza un’analisi costi-benefici che spieghi se ne vale la pena. Analisi che proviamo ad abbozzare noi, invece, su un’altra grande opera, il ponte sullo Stretto di Messina, riportato in auge dal premier, con la rosea prospettiva propagandistica di creare ben 100 mila nuovi posti di lavoro.
Offensive per le donne e inutili le quote rosa secondo Virginia Raggi, sindaca di Roma. Certo, in una società senza ostacoli per le carriere femminili non ce ne sarebbe bisogno. Intanto però si vede che le società quotate nei cui Cda cui sono state applicate si stanno affermando buone pratiche di governance.
Davvero i produttori di petrolio difenderanno i prezzi riducendo l’offerta, come deciso dall’Opec ad Algeri? Tanto per cambiare, dipenderà tutto dall’Arabia Saudita che – con un quarto delle riserve mondiali – difende le sue quote di mercato e non il prezzo, mentre adatta l’economia del paese alla nuova situazione.
Lento e modesto, l’aumento dell’occupazione lascia i giovani al palo. I dati Istat dicono che ad agosto il tasso di disoccupazione delle persone tra 15 e 24 anni si attesta al 38,8 per cento, appena sotto i picchi degli ultimi due anni. Il momento critico su cui agire è quello della transizione dall’istruzione al lavoro.
Dei 26 mila lobbisti che frequentano le istituzioni europee, poco più di un terzo è iscritto all’apposito registro della Ue creato per dare trasparenza a un’attività che non ama la luce del sole. La Commissione ora vuole rafforzare la credibilità di questo albo con nuove regole. Che potrebbero fare da esempio anche per l’Italia.