Ha ragione Salvini quando dice che gli altri stati Ue non fanno la loro parte nell’accoglienza dei rifugiati? Non proprio: se le domande d’asilo fossero ripartite in base al Pil, l’Italia dovrebbe accettarne più di quanto non abbia fatto finora.
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Il fact-checking de lavoce.info passa al setaccio le dichiarazioni di politici, imprenditori e sindacalisti per stabilire, con numeri e fatti, se hanno detto il vero o il falso. Questa volta tocca alle affermazioni di Matteo Salvini e Giorgia Meloni sulla sentenza della Cedu nei confronti della nave Sea Watch 3.
La nostra nuova classe dominante ha messo in moto un circolo vizioso sull’immigrazione. Chi ha a cuore la tenuta dei nostri conti pubblici e delle nostre pensioni, dovrebbe temere che gli immigrati e con loro molti giovani italiani se ne vadano dall’Italia invece del contrario.
I politici imprenditori della paura hanno costruito una barriera tra realtà e percezione dell’immigrazione e convinto gli italiani che gli stranieri rubano loro il lavoro, sfruttano il loro welfare, portano malattie e criminalità. Non è così: una migrazione governata crea lavoro, più servizi, meno debiti pro capite. E può finanziare il nostro stato sociale. Di globalizzazione e nazionalismi si è parlato al Festival dell’Economia di Trento, che ha visto una bella partecipazione anche ai Forum organizzati da lavoce.info. Ne proponiamo i video.
La bassa crescita dell’Italia è cominciata oltre 20 anni fa e, a questo punto, fare più debiti peggiora soltanto i conti pubblici. Lo ha detto nelle sue “considerazioni finali” il governatore di Bankitalia. Aggiungendo che, non potendo fare a meno dell’Europa, dovremmo contribuire a farla funzionare meglio.
Dopo il boom dell’anno scorso, i fondi Pir – piani individuali di risparmio – creati per far arrivare i soldi delle famiglie alle Pmi in cambio di vantaggi fiscali, hanno subito una battuta d’arresto. A causa di nuovi paletti inseriti nell’ultima legge di bilancio che li rende più rischiosi e meno attraenti. Ma forse ora potranno ripartire.
Se il governo vuole essere “del cambiamento”, un terreno per dimostrarlo è quello della amministrazione fiscale. Ma il nuovo non arriva con la “pace fiscale”, cioè facendo passare il debitore di imposte come un perseguitato e chi deve riscuotere le tasse per la collettività come un vampiro succhiasangue.
Nella guerra commerciale Usa-Cina con la contesa Google-Huawei entrano la geopolitica e la tecnologia. Dall’America si vuole frenare il quasi-monopolio cinese nelle “terre rare” indispensabili per produrre parti di hardware ma anche il vantaggio sviluppato dalla società cinese sul nuovo standard di comunicazione 5G.
Scucendo 330 milioni di euro per meno del 10 per cento di Prosiebensat1, Mediaset diventa primo azionista di una delle maggiori tv tedesche. Un’operazione difficile e rischiosa ma con un obiettivo ambizioso: sedere a pieno titolo al tavolo con i nuovi grandi e consolidati operatori globali.
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Sull’immigrazione, il contratto di governo tra Lega e M5s conteneva due impegni: superamento del trattato di Dublino e rimpatrio di cinquecentomila “clandestini”. Nessuno dei due è stato raggiunto. Però si è creato un clima di ostilità verso gli stranieri.
Il contratto del “governo del cambiamento” aveva obiettivi ambiziosi in politica estera. Un anno dopo, non ne è stato raggiunto alcuno. I risultati migliori li ha ottenuti il ministro dell’Economia. E ora c’è da affrontare il rinnovo della Commissione Ue.
Gli immigrati hanno salari e redditi più bassi degli italiani. Per questo rappresentano una componente rilevante tra coloro che ricevono sussidi contro la povertà. La soluzione migliore è costruire efficaci politiche del lavoro e per l’integrazione.
Approvato ad aprile, il decreto flussi 2019 conferma la mancanza di una strategia di ampio respiro nelle politiche dell’Italia sull’immigrazione. Si guarda quasi solo al lavoro stagionale, senza una adeguata lettura delle esigenze di manodopera del nostro paese.
Il mancato sostegno all’Italia sull’immigrazione è uno degli elementi chiave per capire la disaffezione degli italiani verso l’Europa. Vanno però distinte le responsabilità delle istituzioni comunitarie da quelle, più gravi, degli stati membri.
Lo storico “multiculturalismo” britannico garantisce e protegge l’identità culturale degli immigrati e delle loro comunità, il cui peso politico non è di poco conto. Questo aiuta a spiegare l’importanza dei flussi migratori nel dibattito sulla Brexit.