L’Inps aveva aggiornato i requisiti di pensionamento sulla base dei nuovi dati demografici dell’Istat. Ne sono nate polemiche che hanno indotto l’Istituto a ritirare la correzione. Ma è un errore: si tratta di un dato tecnico e non politico.
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I dati mostrano un bilancio dell’andamento dell’occupazione nel 2023 sostanzialmente positivo, grazie anche ai buoni risultati delle imprese. Quanto alle prospettive future, occorre eliminare gli ostacoli all’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
“Opzione donna” ha rappresentato uno dei pochi strumenti di autentica flessibilità in uscita che un sistema contributivo ben disegnato dovrebbe avere. L’aver reso molto difficile l’accesso alla misura risponde solo a ragioni di contenimento della spesa.
I giornali hanno ripreso una ricerca sui salari in alcune province. I numeri sono spropositati, ma non c’è stato alcun controllo con fonti più affidabili. Produzione e recezione acritica di statistiche come queste non aiutano nell’analisi dei problemi.
Per garantire flessibilità in uscita dal lavoro, si discute di un’estensione di Opzione donna a tutti i lavoratori. La penalizzazione che deriverebbe dal ricalcolo con il metodo contributivo, però, è molto elevata. I limiti della proposta e una possibile alternativa.
Il Movimento 5 Stelle propone nel proprio programma di rendere strutturale Decontribuzione Sud, una politica per la riduzione del costo del lavoro nel Mezzogiorno. Nel 2021 è costata tre miliardi di euro, ma dai dati a disposizione non sembra aver funzionato a dovere.
Il superamento di “quota 102” deve essere l’occasione per rimediare alle inaccettabili disparità che discriminano i lavoratori entrati in assicurazione entro il 1995 da quelli entrati dopo. A tutti occorre garantire la stessa flessibilità in uscita.
Bassa natalità e scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro caratterizzano da anni il nostro paese, mentre in altre nazioni europee a un’alta fecondità corrisponde un’alta occupazione delle donne. Per l’Italia il problema è anche culturale.
Il divario di genere sul mercato del lavoro ha pesanti conseguenze anche al momento della pensione. Le donne si ritrovano spesso con assegni insufficienti e devono fare affidamento sul partner, con conseguenze sulla propria indipendenza.
La cassa privata dei giornalisti ha garantito per anni pensioni più alte a parità di carriera e retribuzione rispetto agli altri lavoratori. Una nota Inps conferma l’esistenza e la non sostenibilità di questi trattamenti privilegiati.