Dinamiche demografiche, precarietà lavorativa e limitata mobilità sociale rendono difficile l’inserimento dei giovani italiani nella società. Ma investire nelle nuove generazioni contribuisce a una crescita del paese più inclusiva e sostenibile.
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Nella prima ondata, il coronavirus è stato meno letale nei comuni dove il livello di istruzione è più alto. Forse in quelle zone le persone si sono protette meglio perché in grado di valutare l’attendibilità delle informazioni in circolazione.
Nel corso della pandemia, le regioni hanno deciso periodi più o meno lunghi di didattica a distanza. Le più penalizzate sono proprio le aree più deboli. Si accentuano così le già forti disparità territoriali nei livelli di apprendimento degli studenti.
Al prolungamento dell’anno scolastico proposto da Mario Draghi abbiamo rinunciato. Le scuole sono impegnate in un “Piano estate” che suscita dubbi per scelta dei destinatari, modalità organizzative e tempi. Però un buon risultato può raggiungerlo.
La chiusura delle scuole sembra destinata ad avere profonde ripercussioni sullo sviluppo emotivo e relazionale di bambini e ragazzi. Vanno contrastate con politiche che guardino al loro benessere psicologico complessivo. L’esempio del Regno Unito.
L’università di Modena e Reggio Emilia ha condotto un’indagine tra i suoi studenti per comprendere come il lockdown abbia cambiato lo studio e l’esperienza universitaria. I risultati offrono interessanti spunti di riflessione sul ruolo degli atenei.