Sono i paesi già più competitivi a beneficiare di più del Next Generation EU. Se non si comprendono gli effetti sulle dinamiche territoriali, insistere sul modello Pnrr può portare ad aggravare i divari già esistenti, abbandonando gli obiettivi di coesione.
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		Un’immigrazione ben gestita e regolata può aiutare ad arginare il calo demografico. I lavoratori stranieri restano però confinati in lavori a bassa qualificazione. Se fossero più valorizzati, ci sarebbero vantaggi per Pil, consumi ed entrate statali.
 
			
		Il governo continua a ripetere che la pressione fiscale è salita nel 2024 perché è aumentata l’occupazione. Come già chiarito su lavoce.info, la spiegazione va cercata altrove ed è molto meno positiva: è legata a un sistema fiscale mal disegnato.
 
			
		Difficile capire le prospettive future della nostra economia dal Documento programmatico. Nella prima parte si prospetta un paese da crescita zero, nella seconda si dice il contrario, tra Pnrr e aumenti di occupazione e investimenti. Confusione anche sulla difesa.
 
			
		Se tutte le leggi italiane fossero scritte con la stessa chiarezza della Costituzione, il Pil sarebbe più alto di quasi il 5 per cento. È infatti possibile stimare il costo di un quadro normativo poco chiaro, che riduce il potenziale produttivo del paese.
Il calo del Pil Usa nel primo trimestre è stato per lo più attribuito a un’impennata delle importazioni prima dell’arrivo dei dazi. Ma i dati devono essere interpretati con cautela perché soggetti a revisioni. Bisogna saper andare oltre la mera contabilità.
La riduzione del rapporto debito-Pil nel 2023 non è frutto di un cambiamento di regime nella gestione della finanza pubblica, ma di fattori congiunturali che difficilmente si ripeteranno. Realizzare le riforme strutturali resta ancora cruciale.
Benché lontano dai tassi di occupazione europei, il numero di occupati in Italia ha toccato livelli record nel terzo trimestre. Il Pil è però rimasto stabile. La crescita è quindi dovuta solo al lavoro povero? L’analisi dei dati smentisce questa ipotesi.
La presentazione del Piano strutturale di bilancio per i prossimi anni poteva essere l’occasione per una riflessione seria sui conti pubblici. Ma forse non ci sarà, anche per un testo scritto solo per addetti ai lavori. I problemi sono comunque impellenti.
Per la prima volta il governo italiano ha redatto il Piano strutturale di bilancio, un nuovo documento di finanza pubblica richiesto dalla recente riforma delle regole europee sui conti pubblici. Il piano si estende su un orizzonte di sette anni, dal 2023 al 2029, e offre una prospettiva più ampia rispetto ai documenti tradizionali.
In questa analisi, abbiamo mostrato alcune tendenze chiave. Innanzitutto le proiezioni di crescita del Pil reale, sia secondo le leggi vigenti sia nello scenario programmatico. Abbiamo poi preso in esame alcune variabili del bilancio dello stato, che mostrano una significativa normalizzazione dopo la pandemia e gli anni della crisi energetica e dell’inflazione: la riduzione prevista del deficit, il miglioramento del saldo primario, la dinamica del debito pubblico e della spesa per interessi. Infine abbiamo ricordato lo stato di avanzamento dei “milestone e target” del Pnrr, suddivisi in cinque grandi aree di riforma, evidenziando le differenze nei livelli di realizzazione degli obiettivi prefissati.
 
                