Il Pnrr doveva essere l’occasione per risolvere alcune problematiche del servizio idrico, soprattutto a Sud e a partire da perdite di rete e depurazione acque reflue. A pochi mesi dalla scadenza del Piano, è ancora in collaudo il 51 per cento delle opere.
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Se vorrà essere “l’avvocato difensore del popolo italiano”, il premier incaricato Giuseppe Conte dovrà individuare bene quali sono le minacce. Non quelle dei comizi elettorali (Ue, euro, Germania, Cina) ma piuttosto quelle vere: bassa produttività, poca innovazione, rischio paese sui mercati internazionali. E non creare un bilancio insostenibile per mantenere promesse azzardate. Nel frattempo, malgrado un breve accenno polemico contro il Jobs act, il contratto M5s-Lega sul tema lavoro è in continuità con le politiche degli ultimi 25 anni. Scomparsa anche la resurrezione dell’articolo 18, promessa dal partito di Di Maio sotto elezioni. In prima fila, tra i nemici dei (buoni) cittadini che Conte dovrà combattere c’è l’evasione fiscale. Al recupero di essa è affidata (con ottimismo) la copertura dei costi delle riforme promesse. Senza una parallela individuazione degli strumenti per realizzarla. Semmai, con la “pacificazione fiscale” arriverebbe un condono.
Sempre nel Contratto c’è un capitolo dedicato all’acqua pubblica. Con imprecisioni, dimenticanze e alcuni buoni propositi. Decenni di incuria hanno ridotto a un colabrodo la rete idrica italiana, tanto che il 41,4 per cento dell’acqua immessa si perde per strada. Ci vogliono ingenti investimenti per rimodernarla e di conseguenza mettiamoci il cuore in pace: bisogna alzare le tariffe, oggi tra le più basse d’Europa.
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Secondo l’Istat, si perde per strada il 41,4 per cento dell’acqua immessa nella rete idrica italiana. Che sconta decenni di manutenzioni mancate, scarsi investimenti e basse tariffe. Solo destinando più risorse si può pensare di cambiare la situazione.