I mercati dei capitali europei funzionano male. Ma finora non si è fatto molto per eliminare le barriere che impediscono una loro reale integrazione. Eppure si tratta di una pre-condizione per un maggiore coordinamento delle politiche fiscali e per la stabilità dell’Eurozona. Obiettivi della Cmu.
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L’attuazione degli impegni di deficit e debito assunti dal governo dipende molto da un solo numero: la crescita del Pil nel 2016. Le previsioni indicano cifre superiori all’1 per cento. Ma qualche conto basato sulla velocità della ripresa finora suggerisce che probabilmente ci aspetta un altro anno con lo zero virgola.
Il lutto per le 13 ragazze morte nell’incidente in Spagna non cancella il grande successo trentennale del programma Erasmus. Le ricerche condotte sui suoi effetti mostrano che gli studenti partecipanti hanno visto crescere in modo significativo le loro possibilità di trovare lavoro, anche fuori dal loro paese di origine.
Alla riunione annuale della Royal Economic Society si è parlato ovviamente di Brexit. Quasi tutti gli economisti inglesi sono contrari e – con poche eccezioni – prevedono che il Regno Unito non uscirà dalla Ue. Il racconto in una “Lettera da Londra” che spazia dai costi dell’eventuale uscita per le famiglie ai minori investimenti dell’Aston Martin.
Per realizzare un sistema di welfare europeo servirebbe una coesione sociale di cui non c’è traccia in un’Unione minata alle fondamenta dalla crescita dei movimenti nazionalisti e populisti. Ma non c’è alternativa: oltre che offrire un’unione economica, l’Europa deve anche far sentire i suoi cittadini socialmente al sicuro. Sono necessarie più coraggiose cessioni di sovranità degli stati. Che però da tempo sono assenti. C’è invece un’erosione dei margini di manovra dei governi nazionali e locali per i vincoli della Ue. A scapito del ruolo della politica.
Le norme dell’Unione Europea sul diritto d’asilo si sono dimostrate assolutamente inadeguate a gestire l’emergenza creata dal conflitto in Siria. Ora l’accordo con la Turchia sembra prefigurare una soluzione non solo illegittima, ma anche insensata.
Il trattato di libero scambio tra UE e Stati Uniti incontra una radicata opposizione, fondata su timori di standard igienico-sanitari meno stringenti, riduzione delle tutele per i lavoratori e indebolimento del processi democratici. L’unica soluzione è un dibattito più approfondito e trasparente.
Anche all’interno degli assetti attuali dell’unione monetaria è possibile concepire un meccanismo che permetta di trasferire risorse a paesi colpiti da una crisi, finalizzate a stabilizzare il ciclo economico. Un sussidio di disoccupazione europeo, per rafforzare la solidarietà tra i cittadini UE.
Proseguono i negoziati per il trattato transatlantico di libero scambio tra Unione Europea e Stati Uniti. Un accordo potrebbe avere rilevanti ricadute economiche e portare a standard normativi comuni. Ma non mancano i rischi. In primo luogo, per la sovranità nazionale e l’occupazione
Molto si è discusso dei ritardi nella spesa dei fondi europei. Poco invece della capacità di questi finanziamenti di incidere sulle prospettive economiche dei territori interessati. Uno studio suggerisce che negli ultimi anni il loro effetto è stato scarso.
L’Efsi diventerà operativo da giugno ed è il perno del piano Juncker. Ma è difficile che riesca a mobilitare i 305 miliardi di investimenti aggiuntivi. In più, c’è il rischio che a beneficiarne siano i paesi con i conti pubblici più in ordine.
Il secondo intervento della guida alle regole europee in materia di bilancio si concentra sull’Obiettivo di medio termine. Si calcola attraverso una formula complessa e ben poco intuiva. Per uscire dal vicolo cieco, l’Europa ha bisogno invece di semplificare e rendere trasparenti i suoi parametri.