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2017, Odissea euroscettica nell’Unione Europea

La probabilità che il prossimo anno un grande paese dell’Unione Europea sia governato da una formazione euroscettica o che vi si svolga un referendum sull’euro è significativa. I cittadini continuano ad apprezzare la moneta unica, ma le istituzioni europee vanno riformate in senso democratico.

Elezioni in quattro paesi

Il 2017 sarà un altro anno difficile per l’Unione Europea: fra marzo e settembre si svolgeranno le elezioni parlamentari in tre stati cruciali (Paesi Bassi, Francia e Germania) e quelle presidenziali in Francia. Anche in Italia è molto probabile che tra aprile e giugno si ritorni alle urne per eleggere Camera e Senato. Ognuno di questi appuntamenti risulta insidioso per la forte presenza di partiti euroscettici (tavola1).

Tavola 1 – Calendario delle elezioni nei principali paesi dell’Unione europea

tavola 1

In Italia i sondaggi danno il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo in testa con circa il 30 per cento dei voti, mentre la Lega di Matteo Salvini potrebbe raccoglie oltre il 13 per cento dei consensi. In Francia Marine Le Pen, leader del Fronte nazionale, sarà molto probabilmente l’avversario che Fronçois Fillon, leader del centro destra, dovrà sconfiggere. In Olanda, secondo gli ultimi sondaggi, il Partito della libertà (Pvv), guidato dallo xenofobo e antieuropeista Geert Wilders, è il primo per consensi, in un paese dove un sistema proporzionale puro porta all’estrema frammentazione politica. In Germania, poi, il compito di fermare Alternativa per la Germania, fondato da Bernd Lucke, è ancora una volta affidato ad Angela Merkel, attentati terroristici permettendo.
Pure nelle loro diversità, tutti questi partiti presentano i tre caratteri comuni ai movimenti populisti:

  1. anti-establishment: propugnano una forte critica alle autorità esistenti, ai politici, ai media, all’élite, agli esperti, alle multinazionali, alle banche, genericamente considerati corrotti. Ai poteri forti viene contrapposta l’onestà delle persone ordinarie, che sono viste in maniera omogenea e positiva.
  2. autoritarismo: sono guidati da un leader forte e carismatico, che favorisce la rappresentanza diretta, i referendum, i plebisciti. Molto criticate invece sono le istituzioni democratiche a rappresentanza indiretta e le strutture burocratiche amministrative.
  3. nazionalismo e xenofobia: il mono-culturalismo, la difesa degli interessi nazionali rispetto alla cooperazione internazionale, il razzismo, la chiusura dei confini sono poi tratti salienti del moderno populismo.
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Non a caso tutti i leader politici dei partiti populisti europei chiedono a gran voce di indire un referendum sull’euro, che vorrebbero trasformare in una sorta di Nexit, Frexit, Dexit e Itexit. D’altra parte è del tutto evidente che l’uscita anche di un solo di questi paesi dalla moneta unica metterebbe in crisi, forse definitiva, la stessa Unione europea così come l’abbiamo conosciuta.

Le probabilità di un governo euroscettico

Qual è la probabilità che un simile scenario si verifichi? Assumendo che in ognuno di questi paesi il partito o i partiti populisti abbiano, ad esempio, anche solo il 10 per cento di probabilità di ottenere un buon risultato, tanto da risultare determinati nella formazione di un governo, la probabilità che fra un anno almeno uno sia governato da un partito o una coalizione che include un partito euroscettico è pari al 34 per cento. Non è poco.
In questo caso, è probabile che nel corso del 2017, o al massimo nel 2018, in un grande paese dell’Eurozona si svolga un referendum, anche solo consultivo, sull’euro. Con quali risultati? I sondaggi semestrali svolti per conto della Commissione europea (Eurobarometro) mostrano come il gradimento dell’euro da parte dei cittadini europei rimanga ancora piuttosto alto: in media il 58 per cento nella UE e il 70 per cento nella zona euro. In particolare, in Germania l’81 per cento della popolazione è favorevole alla moneta unica, in Olanda il 77 per cento, in Francia il 68 per cento. In Italia, invece, solo il 53 per cento degli intervistati vede con favore la moneta europea (grafico 1).
In conclusione, questi numeri mostrano, da un lato, la relativa fragilità della costruzione europea, dall’altro, come l’Italia, un tempo tra i paesi più europeisti, sia divenuto l’anello debole della catena. Di qui l’assoluta necessità di riavviare il processo di crescita, a riprova che la moneta comune non è fonte di squilibri e arretratezze. Tuttavia è anche fondamentale cambiare nel profondo e in senso democratico il funzionamento delle istituzioni europee: tutta la letteratura politico-economica ci mostra come un giusto sviluppo economico e un adeguato disegno istituzionale siano i migliori antidoti alle derive populiste.

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Grafico 1 – Favorevoli e contrari all’Unione monetaria e all’euro

Fonte: Eurobarometro, autunno 2016

Fonte: Eurobarometro, autunno 2016

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Più rischi che benefici dai piani individuali di risparmio

  1. Amegighi

    Perfettamente daccordo. Non dobbiamo distruggere sull’onda delle reazioni isteriche le numerose positività dell’UE.
    Sono uno scienziato. Stiamo progressivamente e lentamente arrivando ad un modello di ricerca (e sviluppo) europeo integrato, con un sistema centrale di ripartizione dei fondi di ricerca (ERC) per progetto anche integrato tra laboratori europei. Cioè si sta arrivando ad una visione comune di questo settore strategico sulla scia del sistema americano (NSF o NIH). Prima si ragionava di più su tematiche portate avanti da cordate transnazionali. I ricercatori girano da un laboratorio all’altro. Ciò, a lungo termine dovrebbe portare giovamento in un settore fondamentale per l’economia UE (maggiore mercato mondiale). Ricordo che la Cina è diventato il secondo paese con il maggior numero di lavori scientifici pubblicati su riviste specializzate e peer reviewed, dopo gli USA e li supererà nel 2020 (fonte NSF). Sommando i principali paesi europei saremmo noi europei i primi, a riprova dell’enorme potenziale che abbiamo e di cui non ci rendiamo conto. Dividere tutto in 28 pezzi più o meno comunicanti sarebbe veramente disastroso e svantaggioso per tutti, compresa la Germania. Perdere il primato nel campo della ricerca e dello sviluppo è un solo esempio, ma ci sono altri campi in cui il nostro potenziale, se uniti, è veramente notevole (penso alle politiche nel campo delle energie rinnovabili, ad es.). Dobbiamo tuttavia liberare il sistema dai lacci burocratici e snellirlo.

  2. Massimo Matteoli

    L’autore sottolinea giustamente l’assoluta necessità di riavviare il processo di crescita, a riprova che la moneta comune non è fonte di squilibri e arretratezze e di cambiare nel profondo e in senso democratico il funzionamento delle istituzioni europee:
    Il fatto che queste osservazioni, sostanzialmente il “minimo sindacale”, siano poco meno che rivoluzionarie dimostra la gravità della situazione attuale e le enormi responsabilità dei Governi europei.
    Sono loro, infatti, i primi responsabili dei limiti di funzionamento delle istituzioni e delle politiche europee e della conseguente crescita dei “populismi”.
    Sono loro i veri alleati degli “antieuropeisti”.

  3. Interessante e condivisibile. Perché l’UK ha voluto la Brexit, l’evento più sconvolgente assieme all’elezione di Trump dopo la crisi scoppiata nel 2008? In un articolo di LIMES 3/2016 un esperto tedesco prevedeva che le decisioni (titubanti, non immediate) della cancelliera che hanno provocato una massiccia migrazione attraverso i Balcani potevano diventare il fattore determinante di un voto a favore della Brexit. Adesso in un intervista sul TIMES, discussa sul GUARDIAN, Trump dà ex post la stessa interpretazione. Mentre questo succedeva, Orban criticato da tutti ha utilizzato parole e maniere forti per riparare il suo paese contro i rischi dell’immigrazione massiccia e incontrollata; alle frontiere settentrionali dell’Italia si sono formati tappi di immigrati in viaggio verso il Nord; a Calais il governo francese faceva fatica a gestire un gigantesco campo di migranti, smontato solo quando l’UK aveva già votato. La dimensione che forse manca nell’analisi è l’elemento dinamico del voto. Votare non è classificare gli elettori in categorie, ma decidere, in ultima analisi con la pancia. Gli elettori sperano di influenzare le decisioni future, non si fidano di chi propone di continuare come prima, rivendicano proposte all’altezza delle sfide, prima nei singoli paesi, poi nell’UE. Il rischio è immenso. La questione è se l’Europa è solo “un’espressione geografica” o qualcosa di più, un attore, l’unica via che non riduce i cittadini a qualcosa di vegetativo, a schiavi di altri.

  4. Rick

    L’autore dimentica la facilità con la quale – tramite internet – è possibile oggi distorcere e manipolare l’opinione pubblica.
    Un referendum contro l’euro a seguito di una mirata campagna di disinformazione mediatica è più che probabile che riesca.
    Sul Guardian ci sono moltissimi contributi sulla post-verità (post-truth) e sulle implicazioni che ciò porta in una società democratica. Sono cose che andrebbero considerate.

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