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QUANTI RISCHI NELLA RINUNCIA AL TEMPO PIENO

Tra fine marzo e aprile si decide il numero di insegnanti assegnati a ciascuna scuola. Si capirà dunque qual è il futuro del tempo pieno, al di là del gran numero di famiglie che continua a sceglierlo. La riduzione di questo modello di organizzazione scolastica ha conseguenze importanti. Non solo il probabile peggioramento della qualità dell’insegnamento e una minore capacità di recupero degli svantaggi sociali. Ma anche un ostacolo all’occupazione femminile e un passo indietro nel percorso verso il superamento della divisione dei ruoli all’interno della famiglia.

In questo periodo è d’obbligo tornare a riflettere sul futuro della scuola materna e della scuola primaria e sulle conseguenze della riforma contenuta nel decreto legge Gelmini. (1)Tra fine marzo e aprile infatti si decide il numero di insegnanti assegnati a ciascuna scuola. Da questo numero dipende il futuro del tempo pieno.

ALL’INSEGNA DELL’INCERTEZZA

Sul tempo pieno dominano la confusione e l’incertezza, in particolare per i genitori dei bambini che nell’anno scolastico 2009-2010 inizieranno la scuola primaria. Il decreto prevede la sostituzione dei tradizionali tempi scuola, finora articolati in orari di 27, 30 e 40 ore, con l’opzione delle 24 ore settimanali, da svolgersi nella sola mattinata e con la figura dell’insegnante unico. In assenza dei decreti attuativi che chiariscano il futuro del tempo pieno, i numeri che escono in questi giorni dalle segreterie delle scuole sembrano andare nella direzione opposta rispetto a quella intrapresa dal ministro. Secondo lo stesso ministero dell’Istruzione, solo il 3 per cento dei genitori, infatti, ha scelto le 24 ore come modello di scuola primaria per i propri figli, contro il 7 per cento che ha optato per le 27 ore, e il 56 per cento e il 34 per cento a favore, invece, delle 30 e 40 ore, rispettivamente. La possibilità di soddisfare l’elevato numero di adesioni agli ultimi due modelli, tuttavia, rimane vincolata alla disponibilità di organico delle scuole, che sarà decisa nelle prossime settimane. Se consideriamo anche la necessità di attuare i tagli previsti dal decreto legge 112/2008, che prevede 87.400 insegnanti in meno in tre anni, il futuro del tempo pieno è seriamente a rischio. Meno opzioni tra cui scegliere e meno tempo pieno sembrano essere gli esiti più temuti, ma purtroppo anche più scontati, nonostante le rassicurazioni in proposito del governo.

TRE RISCHI

Sono almeno tre i seri rischi che si prospettano. In primo luogo, il tempo pieno organizzato sulle 40 ore con due insegnanti corresponsabili rispondeva a un’esigenza di migliore qualità dell’insegnamento, di arricchimento dell’offerta formativa e di recupero degli svantaggi, funzione essenziale della scuola primaria. La ribadita garanzia del tempo pieno non rassicura invece sulle attività che verranno svolte e le modalità attraverso cui troveranno attuazione, e quindi sulla capacità di questo istituto di ridurre il divario esistente tra famiglie con redditi diversi.
In secondo luogo, la riduzione dell’opzione del tempo pieno può rappresentare un ostacolo all’occupazione femminile. Se consideriamo che molte donne lasciano il lavoro in seguito alla nascita dei figli, e se aggiungiamo che i servizi alla prima infanzia sono particolarmente carenti nel nostro paese, il tempo pieno alla scuola materna e primaria è uno dei pochi istituti a favore della conciliazione tra cura dei figli e lavoro. Peraltro, è diffuso per lo più al Nord, mentre ce ne sarebbe gran bisogno anche al Sud, dove l’occupazione femminile è molto più limitata. Inoltre, il lavoro femminile soffre di un problema di selezione accentuato: le donne con bassi livelli di istruzione sono quelle che partecipano meno al mercato del lavoro. Il tasso di occupazione femminile per le donne tra i 15 e 64 anni con titolo di studio di scuola primaria o secondaria è circa il 30 per cento, mentre è quasi il 60 per cento per le diplomate e il 70 per cento per le laureate. Per le lavoratrici con bassi livelli di istruzione e bassi salari diventerà particolarmente difficile un’organizzazione alternativa al tempo pieno, con il rischio di aggravare il fenomeno della selezione. Senza dimenticare che il fenomeno spiega anche gli elevati differenziali salariali per genere del nostro paese.

FAMIGLIE “ASIMMETRICHE”

La riduzione del tempo pieno scolastico rappresenta una minaccia per l’attuale tendenza a una maggiore simmetria tra i genitori e un passo indietro nel percorso verso il superamento della divisione dei ruoli all’interno della famiglia, già lenta a decollare nel nostro paese.
Le stime di Burda, Hamermesh e Weil ci dicono che, in Italia, nonostante la bassa occupazione femminile sul mercato, se consideriamo sia il lavoro domestico sia il lavoro per il mercato, le donne lavorano complessivamente di più degli uomini, perché dedicano molto più tempo al lavoro domestico. (2) L’accentuato differenziale di genere nell’allocazione del tempo tra lavoro domestico e lavoro sul mercato è un segnale che la divisione del lavoro all’interno della famiglia, la cosiddetta specializzazione, è ancora molto radicata e che stentiamo ad avviarci verso un equilibrio ungendered, cioè senza differenziali di genere di partecipazione e di salari e con divisione egualitaria del lavoro domestico nella coppia. Una recente letteratura economica ha dimostrato che equilibri ungendered possono essere superiori dal punto di vista del welfare agli equilibri con specializzazione. (3)
La divisione paritaria del lavoro domestico è certamente più compatibile con un modello scolastico che vede i bambini impegnati a scuola per tempi più lunghi. L’alternativa invece incentiva alla specializzazione. Puntare sulla carriera di uno solo dei due genitori, tipicamente il padre, può comportare maggiori rischi, occupazionali, familiari, spesso addirittura di povertà. Senza considerare che le donne che rinunciano alla propria carriera per la cura dei bambini hanno rischi di povertà in età anziana molto più elevati, dovendo gestire la loro maggiore longevità con pensioni sempre meno generose.

 

(1) È il decreto legge n. 137 dell’1/9/2008.
(2) Burda, Hamermesh e Weil “Total work, gender and social norms”, 2007, NBER w.p. 13000.
(3) De la Rica, Dolado, Garcia-Peñalosa 2008 "On Gender Wage and Participation Gaps: Theory, Policies and Some Empirical Evidence".

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

14 commenti

  1. Mario Giaccone

    Condivido il timore per una regressione della posizione della donna nella società italiana insiti nella riduzione del tempo pieno, fino a ri-segregarla in casa o al più nel lavoro nero, aggravando i dualismi esistenti. Faccio notare che nel tempo pieno delle elementari su 40 ore di presenza a scuola solo 30 sono di didattica (come nel "modulo rinforzato") e 10 sono pasti e ricreazione, dove le attività di sorveglianza dipendono esclusivamente dalla buona volontà degli insegnanti: questi pertanto hanno un’attività didattica effettiva di 18 ore contro le 24 dei loro colleghi non a tempo pieno. E’ una palese disparità innanzi tutto fra colleghi e quindi verso gli/le altri/e lavoratori/trici, ai/lle quali la pausa pranzo è pagata solo per turni non inferiori alle 8 ore. Non pretendo che venga integralmente espunto dall’orario essendoci comunque una responsabilità dell’insegnante, ma può essere forfettizzato in altro modo, rendendo disponibili ulteriori ore per l’insegnamento e per un tempo pieno vero, senza scaricare su terzi (insegnanti di sostegno) o rimandando alle famiglie le situazioni di svantaggio. Si guadagnerebbe così in qualità risparmiando costi.

  2. renzo pagliari

    Il problema del tempo pieno nella scuola dell’obbligo, ove considerato solo dal punto di vista dei genitori, appare mal posto. Esso infatti deve in primis essere considerato da quello dei giovani allievi. Se cioè favorisca una maggiore o una minore capacità di apprendimento da parte di essi. E’ opinione diffusa in moltissimi insegnanti, attenti più al rendimento degli allievi ed alle loro performance future, negli studi e nel lavoro, che alle opinini politically correct, che gli alunni con il tempo pieno non imparano/imparano poco a studiare e a lavorare sodo per ottenere risultati. Ciò unito alla tendenza a trascurare l’apprendimento di elementi concreti precisi, considerati nozionistici, fà si che i nostri giovani siano privi di fondamentali punti di riferimento in cui inquadrare le informazioni, anche molto numerose, con cui vengono in contatto. Questo risultato, che si traduce in una inferiore formazione finale non è desiderabile in un epoca di competizione globale. Forse il tempo normale nella scuola dell’obbligo provoca problemi ai genitori oggi, ma sicuramente ne risparmierà molto più gravi a tutti nel momento dell’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.

  3. rosario nicoletti

    Le considerazioni degli autori sono tutte largamente condivisibili: sarebbe tuttavia molto opportuno chiarire la natura del cosidetto tempo pieno. La mia esperienza (necessariamente puntiforme e riferita alle classi elementari) corrisponde ad un orario scolastico di 4-5 ore "spalmato" su otto ore (oltre tre ore vengono utilizzate tra refezione e ricreazioni). I bambini rientrano a casa alle diciassette circa e dovrebbero cominciare a fare "i compiti". Così il risultato didattico è pessimo: può soddisfare quei genitori che considerano la scuola un baby parking, ma non quelli che si aspettano l’istruzione dei propri figli.

  4. mara morandini

    Parlando di scuola non dimentichiamo che i moduli coprono anche diversi pomeriggi, due o tre la settimana, e quindi questi, come il tempo pieno del resto, oltre a costituire tempo scuola sono servizi di appoggio alla famiglia. E’ stato poco sottolineato che i moduli oltre a prevedere alcune ore di compresenza allungano il tempo scuola a più pomeriggi la settimana. Venendo meno i moduli, non garantendo il tempo pieno per tutte le famiglie che lo richiedono si crea una nuova domanda di servizi da parte delle famiglie a soggetti diversi, enti locali o privato sociale, e là dove sarà possibile accogliere queste domande si creeranno situazioni di doposcuola vari (una volta si parlava di parcheggi) con operatori precarissimi senza diritti. Chi pagherà questi nuovi servizi? Gli enti locali e le famiglie se potranno. Il prezzo è altissimo e non solo in termini monetari. Chi ci guadagnerà: le scuole o parcheggi privati.

  5. gdv

    Avete mai sentito parlare di lavoro part-time e tele-lavoro? Nella maggior parte dei paesi avanzati tantissime donne optano per queste possibilita’ nei primi anni dell’eta’ scolare dei figli anche per poterli seguire meglio e ritornano al lavoro a tempo pieno in seguito. Inoltre il vostro articolo e’ quanto mai parziale e sbilanciato. 80,000 insegnanti in meno vuol dire un risparmio per le casse dello stato di almeno 3mld di euro a regime. Non poco per le disastrate casse dello stato e per i contribuenti italiani se si pensa che il modello dell’insegnante unico e’ quello preferito dalla maggioranza dei pedagogisti. La vostra e’ sola disinformazione.

  6. Luca Melindo

    Stupisce davvero lo stupore di tutti i commentatori progressisti, così come, peraltro, quello di moltissimi genitori! Che la Riforma (?) Gelmini fosse pessima lo si poteva già intuire dal fatto che non rispondeva ad alcuna esigenza didattico-pedogogica o sociale ma esclusivamente dall’esigenza di fare "cassa". Però quel che stupisce davvero è constatare che gli italiani non faranno seguire ai lamenti i fatti, ovvero continueranno imperterriti a votare massicciamente per questa maggioranza, nei fatti dando per l’ennesima volta ragione all’Unto del Signore: "Ricordatevi che i nostri elettori hanno fatto la scuola dell’obbligo e non erano certamente i primi della classe…". Chi è causa dei propri mali, pianga se stesso!

  7. Alberto Castelnuovo

    Temo che i validissimi argomenti proposti dagli autori siano vanificati da quella che mi appare come principale (unica?) motivazione della "riforma contenuta nel decreto legge Gelmini": fare un regalo alle scuole private, che infatti già vedono crescere le proprie iscrizioni. Ad ogni modo, pur con la triste consapevolezza che è arduo contrastare le "ragioni" del portafoglio e dell’ideologia privatistico-cattolica con argomentazioni scientifiche, sarebbe ingiusto tacere o abbassare il livello della discussione: tutto il mio incoraggiamento agli autori e a chi ha ancora a cuore il futuro della Società. Bravi, avanti così.

  8. adriano

    Francamente resto stupito a leggere commenti come quello dove si rammenta l’esistenza del part time e del telelavoro come risorsa da utilizzare per seguire meglio la famiglia. Al riguardo, è bene tenere a mente che: 1) se si lavora in due, nella maggior parte dei casi, è perchè servono due salari pieni; 2) se si lavora in telelavoro bisogna produrre un ‘tot’ e, non so se le sia mai capitato di stare a casa con un bimbo malato, seguire qualcuno e lavorare vuol dire spezzare continuamente l’attività, con ovvio calo di rendimento; 3) ottenere il part time o il telelavoro non è proprio così facile in Italia; 4) lo stato, liberandosi di 80.000 insegnanti riparmierà certamente, ma quanto diventerà il calo del gettito se 1.600.000 genitori si mettono a lavorare part time? 5) La figura dell’insegnante unico non è nemmeno contemplata dalle teorie più attuali di pedagogia; a questo punto, non è meglio togliere le sovvenzioni (incostituzionali) alle scuole private?

  9. lucia sironi

    Anche io volevo complimentarmi con voi per non aver abbassato la guardia sulla questione della riforma delle scuole primarie. Volevo, inoltre, fare due precisazioni riguardanti altri commenti: 1) il lavoro a distanza in Italia praticamente non esiste. Quindi prima di proporlo come opzione e’ necessario informarsi e non dare per scontato che siano le mamme e non i papa’ dei bambini piccoli a dover ridurre il proprio lavoro; 2) secondo autorevoli rilevazioni internazionali la preparazione dei bambini delle scuole primarie italiane si colloca tra le piu’ elevate al mondo: ergo le considerazioni sulla presunta incapacita’ di studiare dei bambini che frequentano il tempo pieno possiamo considerarla una mera impressione personale dell’autore.

  10. Michele Donnanno

    L’unico aspetto didattico cui l’articolo fa cenno riguarda la funzione che il tempo pieno ha nel recupero degli alunni svantaggiati. Io non ho dati che lo confermino, ma anche in questo caso andrebbe fatta una analisi dei costi e dei benefici. Per il resto è un susseguirsi di argomenti che con la scuola e con il suo compito (l’istruzione) non hanno niente a che fare! Se la funzione della scuola si riduce a tenere i figli delle mamme che devono lavorare, allora la scuola può proporre alle famiglie gli orari i più strani (8 ore a scuola e i compiti a casa!) e senza nessun riscontro pedagogico e didattico. Col grande risultato però che la scuola non fa più la scuola e perciò si può tagliare senza che dal punto di vista sociale nessuno ne avverta il danno. Come dire: con argomenti come questi la Gelmini ha vinto in partenza.

  11. FULVIA ROSSINI

    Dall’articolo di Berzoni e Profeta e da vari commenti su di esso mi sembra di capire che la maggior parte delle persone vede questa "riforma" in un unica direzione: il tempo pieno va bene perchè da la possibilità alle madri di lavorare e di conseguenza fa cadere la divisione dei ruoli all’interno della famiglia! A mio parere questa è una visione un pò utopistica della realtà! In questo momento di crisi globale (o forse non ve ne siete accorti?) il lavoro manca per i padri, figuriamoci per la madri! E poi siamo proprio sicuri del fatto che se la donna lavora l’uomo italiano farà la sua parte nelle faccende domestiche? La scuola bisogna pensarla in funzione degli alunni. Loro fanno la scuola. E a mio parere i bambini non hanno bisogno del tempo pieno che li rinchiude tutto il giorno nell’edificio scolastico ma anche di giocare, di passare del tempo con i genitori, con i nonni e di vedere ciò che li circonda. Valori che sono scomparsi con il consumismo che sta facendo crollare tutto inesorabilmente!

  12. THE DOCTOR

    La riforma della scuola è da tutti ritenuta necessaria (destra, sinistra, sopra, sotto, e via dicendo). Un governo riformista e di legislatura deve poter avere e dare ampio respiro alle riforme. Partire dalla scuola elementare (e su tematiche tipicamente di contrazione della spesa con pochissimo contenuto innovatore e tanto meno risolutore) sà un po’ di presa in giro, visto che tutti i giudizi, internazionali e non, danno dalla scuola media in su la nascita dei problemi della scuola italica. Mentre invece la scuola elementare, pur con migliorie possibili e inefficienze varie ovviamente, rappresenta comunque uno step al momento non in crisi e tanto meno da attirare l’attenzione. Pertanto lo spirito riformatore non si avverte minimamente in queste azioni. Potete pure perdervi in mille rivoli (tempo pieno, 24 o 40 ore, mamme lavoratrivci e scuole parcheggio). La realtà è che la Gelmini non ci sta capendo nulla. Di visione strategia nemmeno l’ombra con il risultato di arrivare alla fine di questi 5 anni e non aver fatto nulla sui problemi che contano. Grazie Gelmini!

  13. Ale

    E’ giusto che un bambino rimanga 8 ora dentro un edificio? O dovrebbe essere libero di fare uno sport, uscire sotto casa con gli amici, imparare a suonare uno strumento, gestire le sue ore di studio secondo le proprie capacità/interessi… insomma ad avere dei ritmi di vita naturali.. Adesso lavoro senza difficoltà per 11 ore al giorno, ma se al tempo della scuola mi avessero costretto a rimanere dopo le 13 sarebbe stato a dir poco traumatico… La parità uomo-donna non significa dover lavorare entrambi, ma scegliere con serenità chi deve rimanere a casa….

  14. MARIO LORENZINI

    Ormai è fatta. Franceschini è arrivato ora a parlare di scuola, a chiedere cose che non potrà avere. Il PD ormai sulla scuola è alla frutta. Giorni fa a Roma si sono riuniti in un albergo per parlare di scuola. I più hanno contestato i dirigenti. C’era aria di delusione, hanno detto chi ha partecipato. Fra pochi giorni i genitori saranno informati e staremo a vedere le reazioni.

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