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Quel che rimane del duale

La governance duale traspone sul piano della democrazia societaria i principi di una moderna repubblica parlamentare. Peccato che ne abbia mutuato anche i principali difetti. Adesione formale al Codice di autodisciplina della Borsa e debolezze da sanare per la tutela degli interessi assembleari.
DEMOCRAZIA SOCIETARIA
L’allontanamento dell’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Enrico Cucchiani, ha riacceso i riflettori sul modello di governance dualistico. (1) Questo prevede un consiglio di sorveglianza (che agisce per conto dell’assemblea approvando il bilancio e nominando i manager, oltre ad assumere i compiti tradizionalmente assolti dal collegio sindacale) e un consiglio di gestione (cui fa capo la vera e propria conduzione del business). Il modello, originariamente adottato in alcune grandi fusioni bancarie, viene talvolta visto come un mero accidente storico, un espediente temporaneo che ha consentito di moltiplicare le poltrone accontentando gli appetiti degli azionisti coinvolti e che ora può essere rimosso senza eccessivi rimpianti. (2)
Il duale possiede, in realtà, alcuni tratti positivi e utili. In particolare appare interessante la scelta di far rappresentare l’assemblea da un Cds che agisce con maggiore continuità (rispetto alle adunanze annuali dei soci) e caratura tecnica (è composto, almeno in teoria, da esponenti adeguatamente attrezzati sul piano professionale, come mostra questo articolo). In questo modo le ragioni di tutti gli azionisti possono essere tutelate con maggiore efficacia, in particolare nelle società a capitale diffuso dove il singolo investitore è scarsamente qualificato o incentivato per il monitoraggio diretto dei manager. Parallelamente, proprio grazie a questa azione di vigilanza più stringente, diventa possibile valorizzare nel Cdg i manager interni, senza interferire nella amministrazione quotidiana degli affari, ma evitando pericolose deleghe in bianco.
Semplificando, potremmo dire che il duale traspone sul piano della democrazia societaria i principi di una moderna repubblica parlamentare, dove il corpo elettorale (l’assemblea) elegge un parlamento (il consiglio di sorveglianza), che nomina il governo (il consiglio di gestione) e quindi lo sottopone a vigilanza e verifica. Il parallelo è meno ardito di quanto non sembri a prima vista, visto che il duale ha mutuato dalla politica anche i suoi principali difetti: organi spesso pletorici e poco qualificati, sostanziale inamovibilità di alcuni “consiglieri di lungo corso” che attraversano indenni le legislature.
LE OMBRE DEL DUALE
Perché è andata diffondendosi la sensazione che questo schema di governance rappresenti un meccanismo farraginoso e antiquato, tanto che alcune grandi società quotate sono tornate al modello tradizionale? Probabilmente perché alcune sue prerogative si sono inceppate, a vantaggio di qualcuno e nel disinteresse di molti.
In primo luogo, va ricordato che il testo unico della finanza prevede sì la presenza di rappresentanti delle minoranze nel Cds, ma in misura per così dire “omeopatica”: un solo consigliere, cioè circa il 3-6 per cento del totale. (3) Alcune società quotate hanno spontaneamente introdotto nei propri statuti criteri di rappresentanza più corretti; ma lasciando comunque al socio di controllo un premio di maggioranza da far impallidire l’onorevole Roberto Calderoli e il suo porcellum.
Va detto poi che, soprattutto nelle realtà più complesse e delicate, il Cds lavora attraverso alcuni comitati, all’interno dei quali la legge non prevede una rappresentanza obbligatoria delle minoranze. Ciò rappresenta un problema, in particolare in materia di nomine e di controlli. Il comitato nomine dovrebbe, tra le altre cose, verificare che i componenti del “governo” siano professionalmente adeguati e non versino in confitto di interessi; ma è chiaro che rischia di non assolvere adeguatamente a questi compiti se risponde integralmente all’azionista di controllo. Il comitato controlli e rischi dovrebbe esercitare un’azione di “challenge” del top management (liberamente traducibile come “rottura di scatole”) che è mancata in vicende come Parmalat o Lehman Brothers. Ma se questa “commissione parlamentare di vigilanza” è integralmente nominata dalla maggioranza, siamo al più classico dei “quis custodiet custodes”. Ciò è tanto più vero per le banche (imprese maggiormente esposte a rischi e bisognose di controlli), visto che le disposizioni di vigilanza riservano al comitato controlli e rischi quei poteri ispettivi che, nelle restanti società, possono essere esercitati da ogni singolo consigliere, finendo involontariamente per porre la gestione al riparo da occhi troppo indiscreti. (4) Esiste, è vero, la possibilità per i singoli di richiedere informazioni direttamente al Cdg: ma si tratta di un espediente che scavalca il consiglio di sorveglianza e lo indebolisce anziché rafforzarlo.
Una più efficace partecipazione delle minoranze ai comitati potrebbe scaturire dall’applicazione del Codice di autodisciplina delle società quotate, promosso da Borsa italiana e adottato su base volontaria da una percentuale “bulgara” (circa il 95 per cento) di emittenti. (5) Ma questa adesione generalizzata è spesso meramente formale. E non sono mancate società che, mentre annunciavano al mercato di aver costituito i comitati previsti dal codice, non rispettavano le regole neppure sul piano letterale.
In queste condizioni, il duale cessa di essere uno strumento di tutela degli interessi assembleari e può diventare, paradossalmente, una diga contro le norme di democrazia societaria previste dal Tuf. Infatti, mentre nel modello tradizionale la legge assicura alle minoranze l’accesso al consiglio di amministrazione, cioè la possibilità di esercitare un controllo de visu sulla gestione degli affari correnti, nel duale il consiglio di gestione può essere per intero espressione della sola maggioranza, che in questo modo pone i centri decisionali al riparo da occhi e orecchie indiscreti.
Va registrato infine che il duale in Italia non è mai stato utilizzato per realizzare forme di compartecipazione dei lavoratori alla sorveglianza dell’impresa (“Mitbestimmung”) largamente diffuse nel contesto tedesco. Ed è un peccato anche perché un simile canale di rappresentanza, se trasparente e aperto a tutti i dipendenti, avrebbe aiutato a depotenziare altri circuiti di potere, ben più opachi e pericolosi, che hanno visto – anche in tempi recenti – le singole organizzazioni sindacali schierarsi al fianco del top management di alcune grandi cooperative.
Se simili debolezze non verranno sanate, la sopravvivenza del duale acquisterà il sapore di un costoso accanimento terapeutico. O meglio: di un singolare accanimento che condanna il paziente a sopravvivere senza somministrargli le necessarie terapie, invero non difficili da individuare.
(1) Vedi ad esempio Marco Ferrando “Intesa, Cucchiani resta altri sei mesi per maturare la pensione. Le deleghe a Carlo Messina”, Il Sole 24 Ore.com, 29 settembre 2013 (http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2013-09-29/intesa-fondazioni-laddio-duale-084304.shtml?uuid=AbKFvQfI).
(2) Vedi ad esempio Giuliano Segre, “L’abbandono della governance duale? Meglio tardi che mai!”, MF/il quotidiano dei mercati finanziari, 2 ottobre 2013, p. 3.
(3) Decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (“Testo Unico della Finanza”), art. 147 ter.
(4) Banca d’Italia, Istruzioni di vigilanza in materia di organizzazione e controllo delle banche, marzo 2008.
(5) Vedi rispettivamente Borsa italiana, Codice di autodisciplina, dicembre 2011 (http://www.borsaitaliana.it/borsaitaliana/regolamenti/corporategovernance/codicecorpgov2011clean_pdf.htm); M. Bianchi e M. Bianco, “Italian corporate governance in the last 15 years: from pyramids to coalitions?”, ECGI Finance Working Paper 144, November 2006 (http://w3.uniroma1.it/miceli/Corsi-web/Miceli_EOI_Web/MgdaBianco-SSRN-id952147.pdf).

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  1. marco

    caro professore, ricordo di averti detto un giorno che “il Consiglio di Gestione racconta al Consiglio di Sorveglianza quello che vuole, quando vuole e come vuole”. Direi che dal tuo articolo traspare la correttezza della mia vecchia opinione.

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