La “traiettoria tecnica” di aggiustamento indicata a ciascun paese dalla Commissione europea si basa sull’analisi di sostenibilità del debito. È la novità principale della proposta di riforma del Patto di Stabilità, ma ne determina anche la fragilità e la rischiosità.
I tre stadi della nuova procedura
Il principale vantaggio del nuovo Patto di Stabilità proposto dalla Commissione europea dovrebbe essere la maggiore “ownership” di cui godrebbero i paesi membri nel definire le loro politiche di bilancio in funzione delle specifiche condizioni economiche. Non vi è più un insieme di regole uguali per tutti, ma percorsi di risanamento ritagliati su misura.
Da una analisi attenta non sembra tuttavia che i governi nazionali riescano a ottenere maggiori gradi di libertà. Al contrario, sembra più probabile il risultato opposto, ossia che le procedure risultino ancor più rigide che nel sistema precedente.
Andiamo con ordine, esaminando la nuova procedura nei tre stadi previsti.
1° stadio: la Commissione europea definisce, per i paesi ad altro debito, una “traiettoria tecnica” per la spesa pubblica (al netto degli interessi sul debito e delle componenti cicliche), coerente con una riduzione del debito ritenuta “plausibile” nell’arco di 4-7 anni;
2° stadio: in base a tale traiettoria, i governi predispongono piani pluriennali di bilancio e di riforme strutturali da sottoporre alla Commissione europea per validazione;
3° stadio: si avvia un negoziato tra ciascun governo e la Commissione per verificare la coerenza tra i piani nazionali e le rispettive traiettorie. In caso di disaccordo, prevale la traiettoria tecnica predisposta dalla Commissione europea (articolo 18 della proposta) e il paese deve sottoporre un nuovo piano.
Le difficili previsioni sul debito
Per valutare gli effetti della nuova procedura è necessario capire che la principale novità della proposta di riforma del Patto consiste nello spostamento di enfasi dal saldo di bilancio pubblico al livello del debito. La nuova procedura non ha più come principale parametro di riferimento il livello del disavanzo pubblico (al netto degli effetti del ciclo economico) bensì il percorso di riduzione del debito pubblico, valutato in base alla cosiddetta Debt Sustainability Analysis. Il cambiamento di impostazione produce effetti rilevanti, per almeno tre motivi.
Primo, il debito pubblico è una variabile molto sensibile per i mercati finanziari, che tendono a reagire in modo imprevedibile e talvolta erratico non solo all’evoluzione delle variabili macroeconomiche che vi incidono, ma anche a dichiarazioni pubbliche che riguardano il debito.
Secondo, è molto difficile fare previsioni sull’evoluzione del debito, poiché dipendono da ipotesi pluriennali sulla crescita, i tassi d’interesse, i saldi di bilancio e sull’effetto delle politiche economiche sulla crescita e su tali saldi.
Terzo, le analisi sulla sostenibilità del debito svolte dagli economisti, istituzioni, società di rating non necessariamente coincidono con quelle dei mercati finanziari, che spesso le smentiscono. È il motivo per cui la sostenibilità del debito pubblico è raramente oggetto di valutazione e di dichiarazioni da parte delle istituzioni pubbliche.
I tre aspetti di cui sopra sono fondamentali perché la “traiettoria tecnica” fornita a ciascun paese dalla Commissione europea si basa proprio sull’analisi di sostenibilità del debito. È la principale novità della proposta, che ne determina tuttavia anche la fragilità e la rischiosità.
Non è un caso che lo strumento venga usato da istituzioni pubbliche, come il Fondo monetario internazionale principalmente per valutare la plausibilità di scenari alternativi. In casi di crisi finanziaria, l’analisi di sostenibilità viene usata per determinare il coinvolgimento del settore privato nella eventuale ristrutturazione del debito. Non viene invece usato in modo normativo, per fare raccomandazioni specifiche di politica economica, in particolare sul percorso di risanamento finanziario da seguire. In sintesi, si tratta di uno strumento che viene usato ex post, in caso di crisi, e con molta cautela, piuttosto che ex-ante.
Quali margini per i paesi?
Mettendo l’analisi di sostenibilità del debito al centro del nuovo Patto, si rischia di generare almeno tre tipi di distorsioni.
Innanzitutto, per quel che riguarda la definizione della traiettoria tecnica, che è il primo stadio della nuova procedura, l’incentivo della Commissione è inevitabilmente quello di adottare parametri molto restrittivi, per evitare di essere smentita sia da previsioni economiche che potrebbero rivelarsi col senno di poi troppo ottimistiche, sia dai mercati finanziari che potrebbero successivamente mettere in dubbio la sostenibilità della traiettoria stessa. Si tratta di un incentivo comprensibile, peraltro coerente con le critiche rivolte ripetutamente dall’European Fiscal Board alla Commissione europea per l’eccesso di flessibilità garantito in passato ai paesi membri – in particolare all’Italia – nei programmi di risanamento delle finanze pubbliche.
Inoltre, riguardo ai programmi pluriennali di bilancio e di riforme che i paesi dovranno sottoporre al vaglio della Commissione europea, c’è da chiedersi quanto potranno deviare dalla traiettoria tecnica iniziale. Un eventuale scostamento potrebbe essere interpretato in modo negativo dai mercati finanziari, soprattutto per i paesi ad alto debito, perché non coerente con i criteri di sostenibilità definiti dalla Commissione. Ciò rischia di innescare un circuito perverso di aspettative sui mercati finanziari, che potrebbe auto-alimentarsi se venisse messa in dubbio la disponibilità della Banca centrale europea a intervenire, nell’ambito del suo Transmission protection instrument che dipende proprio dalla valutazione sulla sostenibilità del debito.
Infine, nel terzo stadio della procedura, che riguarda il negoziato tra il governo del paese ad alto debito e la Commissione, ci si può chiedere quali incentivi può avere quest’ultima di essere flessibile, sapendo che, in caso di disaccordo, comunque prevale la sua traiettoria tecnica. C’è peraltro da notare che il negoziato non riguarda solo l’aggiustamento fiscale, ma anche le riforme strutturali che diventano parte integrante del processo.
Si potrebbe ovviare ad alcuni problemi evidenziati sopra eliminando il primo stadio della procedura prevista, ossia la definizione della traiettoria tecnica da parte della Commissione. Si potrebbe in particolare lasciare al paese l’onere iniziale di definire la propria traiettoria di riduzione del debito e sottoporla successivamente al vaglio della Commissione. In teoria, ciò dovrebbe dare al paese una maggiore responsabilità nel processo e ridurre alcuni incentivi perversi dell’attuale proposta.
Tuttavia, i principali difetti della proposta rimarrebbero immutati anche in questa versione. Il problema dipende infatti dal ruolo centrale che la riforma del Patto attribuisce al criterio della sostenibilità del debito. Un paese che si inoltrasse in lunghi negoziati con la Commissione europea, anche se confidenziali, rischierebbe di essere considerato a rischio dai mercati finanziari. Il mancato accordo con la Commissione verrebbe interpretato come l’espressione di dubbi sulla sostenibilità della proposta stessa. Peraltro, la Commissione europea continuerebbe ad avere lo stesso incentivo a valutare la sostenibilità del debito in modo estremamente restrittivo, per evitare di essere smentita dai mercati finanziari e di perdere credibilità.
Lo spostamento di enfasi sul debito pubblico rischia dunque di produrre il risultato opposto a quello dichiarato, ossia rischia di ridurre il grado di “ownership” delle politiche di bilancio dei paesi membri e di aumentare il grado di rigidità della procedura. Di fatto sarà molto difficile per un paese ad alto debito come l’Italia scostarsi dalla traiettoria tecnica fornita dalla Commissione europea, e mettere in atto politiche di bilancio e di riforme strutturali diverse da quelle implicite in tale traiettoria.
In sintesi, la riforma del Patto riduce l’“ownership” dei governi e aumenta la rigidità del sistema. L’opposto di quanto intendeva fare. Le conseguenze economiche e politiche non possono essere ignorate. Ciò richiede una riflessione più ampia e più approfondita su tutti gli aspetti previsti dalla proposta.
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Firmin
Qualcuno mi spieghi quale sarebbe il cambiamento epocale nel passaggio da piani di riduzione del disavanzo (che è l’aggregato che guida aritmeticamente lo stock del debito) a programmi che fissano la traiettoria delle sole spese (che ovviamente producono variazioni del debito diverse a seconda dell’andamento delle entrate). Neanche il Principe di Salina in persona avrebbe potuto proporre una misura così gattopardesca…a meno che il vero obiettivo della riforma sia quello di tagliare il welfare più velocemente di qualsiasi riduzione delle imposte. Tuttavia, se l’Europa vuole davvero imitare il modello americano credo che sia necessario qualche passaggio elettorale esplicito prima di attuarlo con un pugno di regolamenti.