Il governo ha trasmesso al Parlamento la Relazione sullo stato di attuazione del Pnrr. Vi sono elencate le misure che incontrano più difficoltà nell’essere realizzate. Dalla Relazione si possono ricavare tre possibili linee di rimodulazione del Piano.
La Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione del Pnrr
Dopo lunga attesa, finalmente il 7 giugno il governo ha trasmesso al Parlamento la Relazione sullo stato di attuazione del Pnrr. Si tratta di un documento assai articolato che riporta un consuntivo degli obiettivi conseguiti nel secondo semestre 2022 – quelli rilevanti per l’erogazione dei 19 miliardi della terza rata dei finanziamenti europei – e una prima valutazione delle prospettive di raggiungimento degli obiettivi previsti per il primo semestre 2023 – quelli per la quarta rata da 16 miliardi. Inoltre, e questo è l’elemento di maggiore interesse, la Relazione fa il punto sulle criticità che stanno emergendo nell’attuazione dei singoli interventi. Si tratta di un passo avanti importante sul piano della trasparenza nel monitoraggio del Piano a cui il governo è tenuto, come già abbiamo già evidenziato, nei confronti del Parlamento e dell’opinione pubblica.
La Relazione arriva a individuare un catalogo molto ampio di interventi problematici. Le misure/submisure del Pnrr indicate con profili di criticità sono ben 118 su 285. Tuttavia, sono specificamente identificate soltanto le 51 misure su cui emergerebbero le problematiche più severe – quelle che evidenziano debolezze in almeno due delle quattro dimensioni rilevate. Valgono ben 80 miliardi, cioè il 42 per cento dei 191,5 miliardi complessivi del Pnrr (tabella 1, ultima riga).
Gli interventi finanziariamente più rilevanti con problemi significativi includono l’Ecobonus e il Sismabonus (quasi 14 miliardi di risorse), le linee di collegamento ad alta velocità con l’Europa del Nord (8,6 miliardi), gli interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica dei comuni (6 miliardi frammentati in ben 46mila progetti), il piano per gli asili nido e le scuole dell’infanzia (4,6 miliardi) e le misure per la gestione del rischio di alluvione e idrogeologico (2,5 miliardi). Tra le misure problematiche sono inoltre inclusi interventi bandiera del Pnrr, come la sanità territoriale che comprende la costruzione sia delle case della comunità (2 miliardi) sia degli ospedali di comunità (per un miliardo).
Estremamente differenziata è l’incidenza delle misure con criticità tra le varie missioni in cui si articola il Piano (tabella 1). Il loro peso è drammaticamente elevato nella Missione 2 (Rivoluzione verde e transizione ecologica), arrivando al 74 per cento. Meno problematico è lo scenario nella Missione 1 (Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura) e nella Missione 5 (Inclusione e coesione), dove le misure con elementi di debolezza pesano soltanto per circa il 20 per cento.
Le criticità più spesso segnalate (tabella 2) sono quelle collegate alle difficoltà normative (nel 32 per cento dei casi). Vi sono poi problemi connessi a squilibri tra offerta e domanda nella realizzazione dei lavori (con conseguente bassa partecipazione delle imprese alle gare) o di investimenti che si sono rivelati non attrattivi per gli operatori di mercato (26 per cento). Pesano anche le problematiche connesse alla rendicontazione e ai criteri di verifica delle misure, che emergono durante l’avanzamento della realizzazione degli interventi (25 per cento). In quest’ultima fattispecie ricadono, ad esempio, l’Ecobonus e il Sismabonus.
Relativamente più limitate sono le difficoltà riconducibili all’aumento dei costi e alla presenza di colli di bottiglia nell’approvvigionamento di materiali (16 per cento). Quest’ultimo caso sembra essere particolarmente rilevante nel determinare le difficoltà incontrate dal piano asili nido, a cui si sommano anche quelle amministrative e gestionali nell’avviare i bandi di gara.
Le carenze dei comuni
La discussione sui ritardi nell’attuazione del Pnrr ha spesso puntato il dito sulle carenze dei comuni nel realizzare concretamente le opere. Dei circa 42 miliardi di risorse finanziarie di cui i comuni sono soggetti attuatori, la quota degli interventi in sofferenza segnalati dalla Relazione arriva al 56 per cento (23 miliardi), con un’incidenza quindi superiore a quella risultante per la totalità degli interventi del Pnrr (42 per cento). In aggiunta, nel caso degli interventi di competenza dei comuni diversa è la frequenza con cui sono segnalate le varie categorie di criticità rispetto a quanto succede per l’intero Pnrr (tabella 2). Assai più spesso sono evidenziate difficoltà riconducibili all’aumento dei costi (25 per cento dei casi contro il 16 per cento nel totale del Pnrr) e alle difficoltà normative, amministrative e gestionali (39 per cento contro 32 per cento). I comuni sembrano risentire di più del problema dell’inflazione: su di essi si concentrano gli appalti in infrastrutture, come quelli del piano asili nido, che implicano acquisti di beni e servizi i cui prezzi sono nell’ultimo anno notevolmente aumentati.
La rimodulazione del Piano
La ricognizione delle misure del Pnrr che presentano elementi di debolezza, e quindi rischi di ritardo o di mancato raggiungimento di milestone e target, è ovviamente funzionale all’individuazione delle possibili linee di rimodulazione del Piano, su cui il governo si confronterà con la Commissione europea. È possibile identificare tre diverse strategie.
Innanzitutto, ci sono gli interventi che, per una certa quota di progetti, hanno maturato ritardi che si ritengono comunque recuperabili entro il termine finale del Pnrr (2026). In questi casi – ad esempio per gli asili nido – la proposta di revisione indirizzata alla Commissione potrebbe prevedere semplicemente lo slittamento di alcune milestone intermedie, corrispondenti a fasi amministrative dell’investimento, senza modificare il target finale della misura. Altri casi comprendono iniziative già realizzate o in corso di realizzazione – soprattutto tra i progetti in essere – che però incontrano difficoltà di rendicontazione nel Pnrr perché non coerenti con i criteri, le condizionalità e le finalità stabilite per l’accesso ai finanziamenti (per esempio, certi interventi Superbonus non sembrano soddisfare il principio DNSH). Questi progetti dovranno essere spostati dal Pnrr e trovare copertura nelle risorse ordinarie del bilancio nazionale o in fondi europei non vincolati alle regole e ai termini del Piano. Infine, ci sono progetti che sono talmente in ritardo da far ritenere che non sia più raggiungibile il relativo target finale (per esempio, una parte delle case della comunità e degli ospedali di comunità). Per questi interventi si dovrà necessariamente procedere a un ridimensionamento/rimodulazione nell’ambito del Pnrr. La loro eventuale realizzazione sarà affidata ai tempi lunghi della futura programmazione nazionale in campo infrastrutturale (ad esempio il piano edilizia sanitaria).
Le due ultime fattispecie comporteranno dunque che parte delle risorse del Pnrr non verrà effettivamente utilizzata, con conseguente costo in termini politici per il governo. Tuttavia, queste risorse potranno essere almeno in parte spostate sul nuovo capitolo del RepowerEu (che prevede interventi aggiuntivi per il miglioramento della resilienza energetica dei paesi membri) su cui mobilitare iniziative di ampia portata in campo energetico da parte di grandi società a partecipazione pubblica, con prospettive di realizzazione più certe entro il 2026.
Si tratta in ogni caso di un quadro di revisioni e rimodulazioni vasto e complesso che va finalizzato il più presto possibile, come peraltro da tempo sollecitato dalla Commissione europea.
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Savino
Di questo passo, l’Italia si arrenderà per manifesta incapacità e non spenderà le risorse del PNRR o le spenderà male o temporeggerà fino al avere proroghe rispetto alla scadenza di giugno 2026. Se così sarà ,dovrà aprirsi, questa volta in modo definitivo, il “processo alla P.A.” Non è possibile che lauti stipendi continuino ad essere elargiti a persone prive di curriculum fattuale e garantiti solo attraverso la fedeltà. I nostri cervelli sono sottopagati o fuggono all’estero e vengono umiliati e presi in giro da questa P.A. vecchia, improvvisata e corrotta.
Lorenzo Luisi
Ero già intervenuto a marzo scorso per criticare chi criticava la relazione della Corte dei Conti nel punto in cui il Collegio rimarcava la differenza fra albero/arbusto e seme per cui ho scaricato la relazione sullo stato di attuazione del PNRR presentata la settimana scorsa in Senato dal ministro Raffaele Fitto e, a riguardo della misura M2C4 – Investimento 3.1: Tutela e valorizzazione del verde urbano ed extraurbano, che mi sta a cuore, si conclude che “… il target M2C4-20 T4 2024 è in corso di conseguimento” e, soprattutto si specifica che “a … marzo 2023 … a fronte delle 2.025.170 unità messe a dimora … risultano già piante (alberi e arbusti) per 1.706.960 unità e le ulteriori 318.210 unità sono in fase di germinazione in base alle tempistiche vegetative delle rispettive specie …”; Significa che il rilievo della Corte è stato preso in considerazione e quindi si è esplicitato che “solo” il 20% ca. è ancora allo stato di seme.
In più nelle FAQ relative all’avviso per la conclusione della stessa misura (prevista a dicembre 2024) [https://www.mase.gov.it/sites/default/files/PNRR/FAQ%2030.05.2023_clean.pdf], è ulteriormente chiarito che non è possibile un approccio di tipo naturalistico evolutivo più che agronomico manutentivo, cioè piantare 3-4000 semi e disinteressarsi del risultato, perché la misura è prevalentemente indirizzata a riportare la natura in città mediante la messa a dimora di alberi e arbusti e quindi andranno rendicontate solo le 1000 piante (sopravvissute) per ettaro previste in obiettivo.
Per quanto mi riguarda, va bene così e continuo a sperare che alla fine il risultato dei 6,6 milioni di alberi piantati sia conseguito.
Giovanni De Lorenzi
Le criticità nella gestione dei fondi PNRR da parte dei Comuni è ormai consolidata. Ma invito chiunque a toccare con mano come gli enti locali siano lasciati soli in ogni fase dei procedimenti. E ciò a dispetto di quanto sostenuto dall’apparato centrale. E’ quasi impossibile raggiungere per le vie brevi “esperti” che sappiano guidare gli enti. La burocrazia è come sempre asfissiante rispetto alla gestione concreta. Nel caso dei fondi PNRR ancor di più (e per fortuna il controllo della Corte dei Conti non avverrà nella fase concomitante ma solo nella fase conclusiva. E’ vera l’affermazione che ormai ci sono più organismi che controllano rispetto a quelli che devono portare avanti il lavoro. Ma la cosa più assurda è lo stupore circa il mancato utilizzo dei fondi per gli asili nido. Avete mai gestito degli asili nido? Ebbene, il problema non è l’investimento, vale a dire la gestione della risorsa in conto capitale per la realizzazione o ampliamento delle sedi. Il vero problema è legato alla gestione della spesa corrente futura del personale, ormai divenuta ingestibile da parte degli enti locali, con tutti quei vincoli che hanno costretto vari comuni a esternalizzare il servizio a cooperative. Un fenomeno in amento. Ecco perché non si aprono più asili nido. La mia proposta è la seguente: il personale educativo e ausiliario dei nidi dovrebbe essere statalizzato, cioè dovrebbe transitare negli organici statali come le scuole materne e la scuola primaria. Lasciando ai Comuni la realizzazione delle sedi e la manutenzione così come le spese di gestione, tranne quella del personale, che nella presente ipotesi dovrebbe essere reperito dallo Stato. E’ cosa nota che in ogni campagna elettorale ogni competitor ritiene fondamentale l’apertura dei nidi. Con il risultato che ogni politica è fallita. Scommetto che con questa proposta qualcosa potrebbe muoversi. A patto di riconoscere (rectius: confermare) la valenza strategica degli asili nido.