Il commercio internazionale appare oggi capace di rispondere velocemente a barriere tariffarie, sanzioni e guerre commerciali. I rischi arrivano dalla tentazione di limitare gli scambi ai paesi amici e dal gioco delle parti sulla difesa del libero scambio.
La reazione a sanzioni e barriere tariffarie
Mai come in questa fase storica, il commercio internazionale – oramai globalizzato, multipolare e largamente governato dalle forze di mercato – è apparso flessibile e capace di assorbire velocemente shock quali le barriere tariffarie, le sanzioni e le altre conseguenze delle guerre commerciali e no. Nuove catene produttive sostituiscono rapidamente quelle vecchie e le triangolazioni fra paesi sembrano superare le barriere poste dai governi. In altri termini, le forze del commercio internazionale parrebbero essere diventate una potente arma di difesa contro la frammentazione geopolitica.
Prendiamo le pesantissime tariffe imposte alle importazioni cinesi da Donald Trump nel 2018 e poi confermate da Joe Biden, che in poco tempo sono state significativamente scansate o aggirate. Infatti, se la quota delle importazioni americane dalla Cina è crollata in pochi anni dal 22 al 14 per cento, contemporaneamente sono aumentate quelle dal Messico, dal Vietnam e dall’Indonesia. È avvenuto non solo perché la Cina ha fatto transitare le sue merci da quei paesi e le sue imprese hanno rapidamente delocalizzato lì le loro produzioni, ma anche perché gli apparati industriali di quei paesi sono riusciti rapidamente ad adattarsi al nuovo scenario competitivo.
Allo stesso modo, le sanzioni imposte alla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina, forse le più dure ed estese mai decise dall’Occidente, sono state almeno in parte velocemente aggirate. Da un lato, paesi come la Turchia, l’Armenia, il Kazakistan e il Kirghizistan sono serviti da nazioni di transito alle esportazioni occidentali, dall’altra, paesi come la Cina e l’India si sono sostituiti come mercati di sbocco per i beni energetici estratti in Russia. Così in poco tempo la Cina è diventata il principale partner commerciale russo con scambi superiori a 200 miliardi di dollari. Ovviamente, un mondo politicamente frammentato, in cui l’Occidente è visto come antagonista di molte nazioni del sud del globo, ha facilitato questi processi.
Anche l’Europa è riuscita a liberarsi abbastanza facilmente dalla dipendenza dal gas russo, nonostante l’ampiezza delle infrastrutture (gasdotti) che legava i due blocchi. In questo caso. è stata la tecnologia della rigassificazione e del fracking ad aiutare la ridistribuzione delle forniture. Oggi il prezzo del gas, come quello dei cereali, è ritornato ai livelli vicini – se non inferiori – a quelli prebellici e già quest’anno la bolletta energetica europea sarà inferiore a quella del 2019.
La guerra a Gaza, e soprattutto gli attacchi degli houthisul mar Rosso poi, se da un lato hanno aumentato in maniera notevole i costi dei noli, delle assicurazioni e ritardato la consegna di taluni componenti, in prospettiva sembrano avere effetti abbastanza limitati. Esiste una vasta capacità di navi mercantili in cantiere che presto ridurranno i costi dei noli anche se il passaggio dal canale di Suez dovesse continuare a risultare difficoltoso.
Così la globalizzazione, la tecnologia, la geopolitica e, soprattutto, le forze di mercato paiono lavorare tutte assieme per limitare, al di là di qualche effetto temporaneo, le barriere imposte dai governi e dalla politica.
Il pericolo degli scambi solo fra “amici”
Questo non vuole dire che i piccoli granelli di sabbia o i grossi massi immessi nel sistema non rendano meno efficienti i potenti meccanismi del commercio internazionale. Un recente rapporto dell’Unctad, agenzia per lo sviluppo dell’Onu, prevede che nel 2023 il commercio internazionale conosca una contrazione del 5 per cento a causa delle tensioni geopolitiche, della debolezza dell’economia mondiale e della volatilità dei prezzi delle materie prime. I flussi di commercio sembrano poi essere sempre più influenzati dalla distanza geopolitica dei paesi, poiché gli scambi tra nazioni “vicine” crescono rapidamente, mentre quelli tra paesi “lontani” si riducono (vedi figura 1).
Tuttavia, il friend shoring, cioè la preferenza a commerciare con i paesi con i quali si condividono i valori, se propone minori rischi strategici, comporta significativi costi. Infatti, come mostra un recente studio, generalmente porta a perdite di produzione reale a livello globale, che vanno dallo 0,1 al 4,7 per cento del Pil, a seconda di quanto forti siano i legami del paese di un blocco con quelli dell’altro blocco. Solo poche nazioni allineate e talune non allineate possono ottenere guadagni significativi, anche se inferiori alle perdite degli altri paesi. Questo spiega perché un numero crescente di nazioni del sud del mondo si dichiarano non allineati.
Un ultimo aspetto di questa congiuntura merita di essere sottolineato: il gioco delle parti fra paesi sviluppati e paesi emergenti, almeno a parole, sembra essersi invertito. I primi sono convinti che il “libero scambio”, almeno alle condizioni attuali, giochi spesso a loro sfavore, così hanno imposto barriere, sanzioni e politiche industriali volte a tutelare il loro interesse, mentre i secondi sembrano essere diventati paladini della liberalizzazione del commercio. La Cina in particolare, maggior esportatore al mondo, dopo la paralisi del Wto voluta da Trump e più in generale del multilateralismo commerciale, ha promosso con moltissimi paesi una serie di accordi di libero scambio bilaterali e regionali che oggi coprono il 40 per cento delle sue esportazioni. In pochi anni, i flussi commerciali cinesi verso i paesi in via di sviluppo hanno così superato quelli verso i paesi sviluppati.
L’Occidente, tuttavia, non deve fare l’errore di chiudersi troppo in sé stesso sia per ragioni economiche (il libero scambio porta a importanti vantaggi assoluti e relativi), sia per ragioni geopolitiche: la democrazia e il liberalismo devono garantire anche la libertà degli scambi internazionali, seppure cercando di neutralizzare le distorsioni che altri possono introdurre nel sistema. Insomma, chi di commercio ferisce, di commercio perisce, spesso con il suo avversario.
Figura 1 – Variazione percentuale dei flussi di commercio bilaterale fra paesi geopoliticamente vicini e lontani
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Savino
Non è vera globalizzazione quella non inclusiva di tutte le culture.