Per il governo non sarà facile selezionare le misure da rifinanziare e trovare nuove coperture attraverso tagli di spesa e aumenti di entrate. Tanto più con il Patto di stabilità e crescita riformato, che si fonda su una programmazione di medio termine.
Quali provvedimenti del 2024 saranno rifinanziati?
Nella premessa al Def (Documento di economia e finanza) e in successive dichiarazioni il governo ha annunciato l’intenzione di confermare, almeno per il 2025, una serie di interventi qualificanti per il suo programma: in particolare il primo modulo della riforma dell’Irpef e la decontribuzione per i lavoratori dipendenti, due misure che sono stati introdotti per il solo anno corrente.
Il Def non indica in modo specifico quali provvedimenti saranno rinnovati, operando la scelta di esplicitare soltanto lo scenario di finanza pubblica tendenziale, a legislazione vigente, dove non sono inclusi, proprio perché per ora dovrebbero cessare a fine 2024.
Peraltro, in una tabella un po’ nascosta pubblicata nel Def (Sezione II – Analisi e tendenze della finanza pubblica, p. 23), il governo prevede come l’andamento della finanza pubblica “a politiche invariate” (previsione espressamente richiesta dalla legge di contabilità 196/2009), comporti il prossimo anno una maggior indebitamento netto di poco meno di 20 miliardi (0,9 per cento del Pil) rispetto all’andamento tendenziale. Inoltre, se tali politiche saranno confermate anche per il 2026 e 2027 (tabella 1), l’Italia non potrà garantire il raggiungimento di un indebitamento netto sotto il 3 per cento né nel primo, né nel secondo anno, come invece sarebbe richiesto per la chiusura della procedura per deficit eccessivo (Pde), che con ogni probabilità sarà avviata nei confronti dell’Italia prima dell’estate.
Quali misure il governo includa nell’aggregato delle politiche invariate non è tuttavia dato sapere: il Def non le specifica, limitandosi a enunciare di aver tenuto conto “di alcuni rifinanziamenti cui si potrebbe dar corso nei prossimi mesi”.
Le risorse che servono
L’Ufficio parlamentare di bilancio aiuta a fare chiarezza sul punto (memoria Upb pp. 43-44, tab. 3.3) offrendo una sorta di ricognizione del catalogo massimo delle misure che il governo potrebbe decidere di rifinanziare. Gli interventi finanziati per il solo 2024 dalla manovra di bilancio dello scorso anno includono per la maggior parte misure sociali e di aiuto ad aree e soggetti in situazioni di disagio. Più della metà finanziano il parziale esonero contributivo a carico di lavoratori dipendenti a basso reddito.
La conferma delle misure elencate nella memoria dell’Upb per il 2025 avrebbe un impatto sull’indebitamento del prossimo anno di 18,2 miliardi. Si dovrebbero aggiungere altre spese solitamente incluse nell’aggregato delle politiche invariate, come gli oneri per il rinnovo contrattuale per i dipendenti pubblici, le spese per le missioni militari all’estero e il rifinanziamento di alcuni fondi. Si arriverebbe così a un ammontare probabilmente in linea (o anche superiore?) con l’indicazione dell’impatto in aggregato delle politiche invariate riportato dal Def.
Quanti e quali rifinanziamenti promessi dal governo sopravviveranno a settembre quando il governo dovrà formulare le sue previsioni programmatiche di finanza pubblica, cioè quelle che riflettono la vera manovra (e quindi anche le misure 2024 da confermare nel prossimo anno) per il triennio 2025-2026?
Nella premessa al Def si legge “il governo continuerà ad adottare misure volte a intervenire sul profilo del deficit, migliorandolo ulteriormente anche attraverso una revisione della disciplina dei crediti d’imposta al fine di ricondurlo al di sotto del 3 per cento entro il 2026 e a non discostarsi dai valori della Nadef anche per gli anni 2025 e 2026”.
Se così dovesse essere, ciò implicherebbe la necessità di trovare adeguate coperture per i 20 miliardi di politiche invariate (maggiore pressione fiscale o decremento di altre spese già coperte a legislazione vigente).
Il nuovo Patto di stabilità e crescita
Si potrebbe obiettare che in realtà molto dipende da quali saranno gli spazi di finanza pubblica (cioè il maggior indebitamento rispetto all’andamento tendenziale) saranno consentiti dal nuovo Patto di stabilità e crescita applicato a partire dal prossimo anno. Anche su questo punto l’Upb offre qualche utile indicazione. In alcuni esercizi di simulazione di medio periodo valuta, infatti, quale potrebbe essere l’evoluzione del rapporto tra il debito e il Pil e delle principali variabili di finanza pubblica coerente, in linea generale, con la nuova governance della Ue (memoria p. 73 e seguenti). Se ne ricava che per il triennio 2025-2027 (l’orizzonte temporale del Def), l’evoluzione dell’indebitamento tendenziale a legislazione vigente lì indicato appare, nel caso di un aggiustamento di bilancio in sette anni, in linea con il quadro delle nuove regole di bilancio Ue (addirittura anche un po’ troppo stringente).
Il sentiero programmatico che il governo formulerà a settembre potrà dunque discostarsi soltanto in misura minima da quanto oggi individuato dall’indebitamento tendenziale del Def. E questo comporta per il governo il compito non facile di trovare la quadra tra selezione delle misure da rifinanziare e individuazione di nuove coperture mediante tagli di spesa e aumenti di entrate.
Nel quadro del nuovo Patto di stabilità e crescita europeo, che si fonda su una programmazione di finanza pubblica di medio termine effettivamente vincolante, sarà in ogni caso difficile continuare con una gestione delle politiche fondamentali anno per anno, di breve periodo, come è stato nel 2024.
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Pieffe
Il 2023, ultimo anno sabbatico, si è chiuso con un deficit “imprevisto” (!!!) di 150 mld (7,2% del PIL); le uscite sono state 1.145 (55%); le entrate 995 (47,8%), di cui 885 (42,4%) di pressione fiscale. Il debito accumulato è arrivato a 2.863 mld (137,3%); sono stati pagati interessi per quasi 80 mld, il 3,8% del PIL (da solo più del 3% del patto di stabilità). In sintesi, lo Stato italiano ha speso tantissimo (roba da paesi scandinavi, senza esserlo) e incassato tanto ma non abbastanza; come al solito si direbbe. Per il 2024 il governo ha previsto un deficit del 4,3%, valutabile in 90-100 mld; quindi dovrebbe tagliare la spesa e di tanto. L’unica cosa certa è la fine dei sostegni energetici (30 mld nel 2023); poi bisogna vedere cosa farà il superbonus. Di contro, ci sono vari aumenti inevitabili; interessi sul debito, previdenza e assistenza, sanità, la spesa militare, etc…….. Escluderei che il governo aumenti le tasse, tanto meno che si rimangi gli sconti fiscali. In sintesi, il cerchio non sembra quadrare. Come finirà? Alla fine, non rispettando il patto, come del resto è avvenuto sin dal 1999; l’Italia non avrebbe proprio potuto entrare nell’euro. Qualcuno seriamente può solo immaginare che arriverà mai al 60%? Quindi si tirerà a campare; sempre meglio che tirare le cuoia.
francesc mario
I folli pensano di vendere parte delle aziende in attivo, i grandi economisti come Borghi e Bagnai cosa dicono? Invece di dismettere dovrebbero avere il coraggio i nostri governanti all’amatriciana , ma sono politici che ci avviano al disastro totale, di fare scelte da statisti. Sistemare le rendite demaniali, introdurre una tassazione soft sulle case di proprietà e riformando il catasto, riducendo ulteriormente la circolazione del contante ed eliminando tante forme di elusione ed evasione.
Una seria politica potrebbe introdurre sia le tassazioni di scopo per lo zucchero, l’alcool,i grassi sia per il tabacco (almeno dieci euro al pacchetto), lo stato con le accise sul fumo ci guadagna, ma quanto perde per le cure e le assenze legate alle patologie correlate .Pure un inasprimento delle sanzioni del CdS sarebbe necessario, soprattutto per chi eccede oltre il 25% i limiti di velocità.