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Bce ancora in cerca di un assetto operativo

La Bce non ha ancora definito il quadro operativo che emergerà dalla normalizzazione, come invece hanno fatto altre banche centrali. Nella scelta di un sistema dove l’eccesso di liquidità è creato dalla domanda o dall’offerta, è rimasta in mezzo al guado.

Quale gestione operativa della politica monetaria?

Da tempo si attendeva che la Banca centrale europea chiarisse quali saranno le modalità con cui intende dare attuazione alle sue decisioni di politica monetaria al termine del processo di “normalizzazione” tuttora in corso. Si tratta di questioni tecniche, ma che rispondono a una domanda di fondo: una volta che una banca centrale ha deciso che i tassi di interesse devono stare a un determinato livello, come fa a mettere in pratica questa decisione, posto che i tassi di interesse si formano sul mercato finanziario? La risposta risiede nella gestione operativa della politica monetaria, che ha subito profonde trasformazioni negli anni recenti, prima con l’avvento delle politiche “non convenzionali” (Quantitative easing – Qe) e poi con la ricerca di una “nuova normalità” (new normal). Per chi fosse interessato ad approfondire questi cambiamenti, rinvio a questo libro.

Le scelte delle altre banche centrali

Alcune banche centrali (ad esempio, la Federal Reserve e la Bank of England) hanno annunciato da tempo quali saranno le caratteristiche del loro new normal per gli anni a venire. Entrambe continueranno a operare con un eccesso di liquidità, cioè mantenendo nel sistema bancario una quantità di riserve (i depositi che le banche detengono presso la banca centrale) superiore alle necessità del sistema. L’eccesso di riserve bancarie è una eredità del Qe: verrà ridotto, ma non eliminato. Spinge il tasso di interesse del mercato monetario sul “pavimento” (da qui il termine “floor system”) costituito dal tasso al quale la banca centrale remunera le riserve bancarie: nessuna banca presta sul mercato a un tasso inferiore, visto che può depositare la sua liquidità in eccesso a quel tasso presso la banca centrale.

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A sua volta, l’eccesso di riserve può essere generato in due modi: o tramite l’offerta (supply driven) o tramite la domanda (demand driven). La Fed ha scelto la prima opzione: il desk della New York Fed è incaricato di fare operazioni in titoli tali da mantenere nel mercato un eccesso di liquidità. La Bank of England ha scelto la seconda, concedendo alle banche di prendere a prestito e depositare riserve presso la banca centrale allo stesso tasso di interesse (bank rate): ci si aspetta che le banche prendano a prestito una quantità di liquidità eccedente il loro fabbisogno, visto che questi prestiti non comportano alcuna penalizzazione.

Bce: un assetto ancora non chiaro

E la Bce? Nella zona euro, da anni la politica monetaria viene di fatto gestita con un eccesso di liquidità e il tasso di interesse di riferimento è quello sui depositi che le banche fanno presso la Bce (Deposit Facility – Df) anziché quello sulle operazioni principali di finanziamento alle banche (main refinancing operations – Mro). Il recente comunicato della Bce ha finalmente reso ufficiale questo assetto, ma con qualche ambiguità (non chiarita dal successivo intervento del membro del Comitato esecutivo Isabel Schnabel). Pur affermando che il tasso di riferimento è quello sulla Df, il Consiglio direttivo intende ridare centralità alle operazioni principali, che continueranno a essere effettuate “a rubinetto” (fixed rate full allotment). Nelle intenzioni della Bce, questa modalità di assegnazione della liquidità nelle operazioni di prestito, senza limiti di quantità, dovrebbe portare a un demand-driven floor system. Tuttavia, ciò incontrerà un limite nel fatto che il tasso applicato alle main refinancing operations rimarrà penalizzante, sebbene la penalizzazione sia ridotta dagli attuali 50 punti base a 15 (dal prossimo mese di settembre). La presenza di una – pur piccola – penalizzazione potrebbe disincentivare le banche dal ricorrere alle Mro nella misura auspicata dalla Bce.

A complicare il quadro contribuisce l’annuncio che nel mix di strumenti usati dalla Bce verranno incluse anche le operazioni in titoli, volte a creare un portafoglio strutturale (structural portfolio of securities): strumento tipico di un sistema supply driven. Insomma, nella scelta di un sistema dove l’eccesso di liquidità sia creato dalla domanda oppure dall’offerta, la Bce è rimasta in mezzo al guado.

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Non è un caso se lo stesso Consiglio direttivo abbia previsto di ritornare sulla materia tra un paio d’anni, con una ulteriore revisione dell’assetto operativo. Speriamo che in quell’occasione il quadro diventi più chiaro.

Nel frattempo, è stata fatta una scelta netta, ma discutibile: quella di non alzare il coefficiente di riserva obbligatoria. Come già sostenuto in un precedente articolo, alzare il coefficiente al di sopra dell’attuale 1 per cento consentirebbe di ridurre i massicci pagamenti in conto interessi dall’Eurosistema alle banche, che implicano anche significativi trasferimenti da un paese all’altro della zona euro. Ma un provvedimento di quel tipo si scontra, per ovvie ragioni, con la fiera opposizione del settore bancario, che a quanto sembra ha avuto la meglio.    

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Il Punto

  1. B&B

    Non essendo professionista del settore, mi riservo di approfondire con calma.
    Tuttavia di una cosa sono certo. L’europa non ci porta vantaggi.
    Inoltre,
    Non conosciamo la sommatoria dei costi annuali, a carico dell’Italia, per stare in europa, non ce lo fanno sapere;
    Non sappiamo quanto abbiamo pagato all’europa in 24 anni;
    Non conosciamo quanto mercato abbiamo perso con l’europa;
    Sappiamo solo che dobbiamo ubbidire agli stranieri. Una vergogna.

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