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Dove l’autonomia regionale è già realtà: i Lep nei servizi per il lavoro

Non è facile capire se la legge sull’autonomia differenziata sia utile o dannosa. Un esempio di come possa funzionare si può ricavare dalla gestione e dal monitoraggio dei Livelli essenziali delle prestazioni nella tutela del lavoro nelle singole regioni.

I Lep nel Jobs act

Il 13 luglio entra in vigore la legge sull’autonomia differenziata (legge n. 86/2024). L’articolo 3 indica le materie oggi a competenza concorrente tra stato e regioni che possono essere totalmente devolute alle regioni dopo che il governo abbia individuato i livelli essenziali delle prestazioni, i Lep. Tra queste materie vi è la “tutela e sicurezza del lavoro” che rientra nella competenza dei servizi regionali per l’impiego, per la quale i Lep sono definiti già da anni, in funzione di un meccanismo di sussidiarietà analogo a quello ora previsto in via generale dalla nuova legge.

La materia dei servizi per il lavoro costituisce dunque un banco di prova assai interessante di come il meccanismo funziona (o non funziona). Vediamo come è andata.

Un problema della nostra rete dei centri per l’impiego è sempre stato l’estrema eterogeneità, sia in termini quantitativi sia qualitativi, delle prestazioni e dei servizi da garantire a tutti i disoccupati. Nel 2014 per risolvere il problema, il Jobs act (legge 183/2014, poi decreto legislativo n. 150/2015) individuava i principi generali per l’organizzazione dei servizi per il lavoro e delle politiche attive da erogare a livello regionale (articoli 11 e 28) rinviando a un apposito decreto la specificazione dei Lep. La legge istitutiva poi un’agenzia (l’Anpal) deputata a garantirne l’uniformità e l’omogeneità su tutto il territorio nazionale, con il compito di sostituirsi alle regioni inadempienti. Soltanto nel 2018 veniva emanato il decreto che individuava nel dettaglio i Lep e gli standard di servizio da erogare in ognuno dei circa 550 centri per l’impiego regionali. Ciononostante – allora come ora – tutto rimase sulla carta per la mancata definizione del finanziamento statale delle strutture e del personale amministrativo necessario alla erogazione dei Lep. Nel 2019 con l’avvio del reddito di cittadinanza, denominato misura fondamentale di politica attiva, venne finanziato un piano straordinario di potenziamento dei Cpi regionali (articolo 12, comma 3-bis, del decreto legge n. 4/2019). Un decreto del ministro del Lavoro (n. 59/2020) s’incaricò allora d’individuare i criteri e le modalità di utilizzo delle risorse statali stanziate per il loro potenziamento (articolo 1, comma 258, legge n. 145 del 2018) amministrativo e infrastrutturale. Queste risorse ammontavano a 400 milioni di euro per il 2019 e 403,1 milioni di euro per il 2020. Si tratta di un investimento che a decorrere dal 2021 comporta un onere per lo stato di 464 milioni di euro annui da trasferire alle regioni al fine di raddoppiare il numero di unità di personale impiegato nei Cpi.

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I Lep nel Pnrr

Nel 2021 il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha previsto un finanziamento aggiuntivo di 200 milioni di euro per il potenziamento dei Cpi, per la realizzazione del programma Garanzia occupabilità dei lavoratori (Gol). È un programma strategico di rilancio delle politiche attive su scala nazionale, che avrebbe dovuto essere attuato da ogni singola regione sulla base di un piano regionale. Gol, inserito nel Pnrr, prevede ulteriori Lep, ossia servizi uniformi da garantire in tutto il territorio nazionale, resi esigibili da tutti i disoccupati grazie alle risorse disponibili (4,4 miliardi della Missione 5, C1). Si tratta dell’accoglienza, della profilazione, del patto di servizio personalizzato, dell’orientamento specialistico, dell’accompagnamento al lavoro, dell’attivazione del tirocinio, dell’avviamento a formazione, della gestione di strumenti finalizzati alla conciliazione vita lavoro, dell’attività di supporto all’autoimpiego, al lavoro autonomo e all’autoimprenditoria. A ogni Lep corrispondono i servizi che devono essere erogati entro certi tempi a ogni persona presa in carico. L’offerta di servizi è propedeutica e funzionale all’accompagnamento al lavoro. Per superare i divari territoriali e ottenere le risorse europee, con il programma Gol ci siamo impegnati ad attuare ilTarget 3. Ossia a garantire che almeno l’80 per cento dei Cpi in ogni regione entro il 2025 rispetti gli standard definiti quali livelli essenziali in Gol (Target M5C1-5). L’idea di fondo è che con Gol si completi anche il Sistema informativo unitario del lavoro, che dovrebbe permettere di osservare capillarmente e in tempo reale l’attuazione dei Lep a livello di singolo centro per l’impiego.

Le informazioni che non abbiamo

A che punto siamo sull’attuazione dei Lep a dieci anni dal Jobs act? Non è dato saperlo con precisione. Da gennaio 2024, dopo la soppressione dell’Anpal, il monitoraggio trimestrale di Gol non viene più pubblicato. Invece, secondo l’ultima indagine sui servizi per l’impiego redatta dall’Anpal nel 2023, pur misurando una “modalità di attivazione debole per cui il Lep è soddisfatto se almeno una delle azioni di servizio che lo compongono risulti attivata dal Cpi”, si registrano differenze territoriali tra aree del Centro-Nord e aree del Sud e delle Isole nell’ordine dei 10 -15 punti percentuali. E si registrano anche divari tra i Cpi della stessa regione.

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A oggi nessuno, neppure l’Inapp, l’Istituto nazionale per la valutazione delle politiche pubbliche che a ciò deputato, è in grado di procedere alla valutazione e al monitoraggio dei Lep erogati dai singoli Cpi. Nebulosi e in parte illeggibili appaiono i dati dell’ufficio di monitoraggio sullo stato di attuazione del Pnrr istituito dal ministero del Lavoro che mette a disposizione schede con dati aggregatidalle quali è impossibile capire quali Lep sono erogati oggi ai cittadini italiani in materia di lavoro.

Questa opacità dimostra che il problema non è tanto l’autonomia differenziata, ma la gestione e il monitoraggio dei Lep, e come le regioni, per la gran parte, già oggi non siano all’altezza del compito loro richiesto dalla legge. La carenza dei dati di monitoraggio impedisce di fatto l’esercizio del potere sostitutivo del governo previsto dall’articolo 120, comma 2 della Costituzione e dall’articolo 3 comma 5 della legge che sta per entrare in vigore.

In conclusione, nella materia dei servizi al mercato del lavoro i Lep sono definiti dal 2018, finanziati nel 2019 e cospicuamente rifinanziati col Pnrr nel 2021. Tuttavia, a 16 mesi dal termine fissato dal Pnrr, ancora non è dato conoscere se, come, quando e quanto i Lep sono erogati da ciascun centro per l’impiego. Se questo è accaduto nella materia dei servizi per il lavoro, nonostante il monitoraggio della Commissione Ue, come si può pensare che le cose andranno meglio per i Lep relativi alle materie indicate dalla legge sull’autonomia, quali istruzione, ambiente, salute, alimentazione, sport, governo del territorio, trasporti, comunicazione, energia e beni culturali?

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Il Punto

  1. Savino

    I Lep sono solo ipotesi teoriche e tecniche che non hanno nulla a che vedere con le concrete e vitali esigenze quantitative e qualitative di servizi che provengono dalla cittadinanza. In tema di servizi è richiesta una precisione al millimetro e non una identificazione con criteri approssimativi per difetto, fatti con una metratura di comodo legata solo al business degli affidamenti.

  2. Alex

    “Tuttavia, a 16 mesi dal termine fissato dal Pnrr, ancora non è dato conoscere se, come, quando e quanto i Lep sono erogati da ciascun centro per l’impiego”.
    Cos’altro resta da aggiungere?!? Resta solo da mettersi le mani nei capelli!!

  3. OLTRE L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA, UNA PROPOSTA DI MEDIAZIONE
    Dovrebbe essere interesse generale evitare ulteriori contrapposizioni sulla autonomia differenziata,
    tentando un percorso condiviso che eviti al Paese ulteriore confusione burocratica e consenta un passo in avanti
    nella condizione sociale e nell’assetto istituzionale. Il rischio è di sbandare tra la disgregazione dell’unità
    nazionale e uno status quo insostenibile. Prima di arrivare a votare sul quesito del probabile referendum
    abrogativo si dovrebbe sospendere per un biennio la efficacia della legge approvata e procedere da subito con
    una attuazione sperimentale limitatamente al tema lavoro. Il punto di partenza dovrebbe infatti riguardare la
    proposta di definizione dei LEP con riguardo al lavoro, materia di competenza costituzionale concorrente tra
    stato e regioni ex art. 117 Cost.. La relazione Cassese in materia di Lep depositata nei mesi scorsi in parlamento
    fotografa in buona sostanza al riguardo la normativa esistente, prende atto delle politiche attive del lavoro e
    delle normative in tema di contrasto alla povertà. La scontata prossima individuazione dei Lep lavoro su tali
    insufficienti basi richiede una riflessione critica a sostegno della nostra proposta di mediazione.
    Perché tra tante materie coinvolte nella autonomia differenziata concentrarci sul lavoro? Sia per ragioni
    contingenti, sia per ragioni di fondo. Il caso vuole che una parte di tali normative sul lavoro, in particolare
    decentramento, contratti a termine e appalti, sia oggetto di referendum abrogativi promossi dalla CGIL, da
    tenersi probabilmente in contemporanea nella primavera 2025 col possibile referendum contro l’autonomia
    differenziata. In realtà, l’intreccio non è solo casuale e contingente, perché il lavoro, non dimentichiamolo,
    fonda la nostra Repubblica delle autonomie. Ma quale lavoro? Solo il lavoro comprato e venduto nel mercato
    appunto del lavoro, oppure anche il lavoro fuori mercato come predica l’art. 4 Cost., le doverose attività
    socialmente necessarie nei territori, i progetti e lavori utili alla collettività, il volontariato, il lavoro-consumo
    erogato da ciascuno di noi quasi gratuitamente ai big-data con la trasmissione dei nostri dati e profili? La
    risposta rinvia appunto alla natura dei Lep, livelli essenziali delle prestazioni non solo riferiti ai diritti, ma anche
    ai doveri, a quali prestazioni e attività ciascuno di noi deve erogare per la collettività, cosicchè nel contrasto alla
    povertà e all’aumento delle diseguaglianze, prima di stabilire quali assegni e sussidi erogare dobbiamo definire
    quali attività e servizi socialmente necessari nei territori possano essere democraticamente decisi ed erogati dai
    beneficiari e dal volontariato che li supporta.
    Si propone di considerare LEP in materia di lavoro il servizio civile democratico collegato al reddito base
    di partecipazione sulla base di una bozza di proposta di legge popolare che è in elaborazione nel mondo della
    disabilità intellettiva dal 2018 e che è condensata in una proposta di delibera popolare di sperimentazione
    pendente dal 2021 in consiglio comunale a Chioggia. Il servizio civile democratico è la organizzazione del lavoro
    fuori mercato, volontariato compreso, sostenuta dal reddito base di partecipazione (1 % del PIL),
    complementare al mercato del lavoro. Sulla base della recente legge n. 86 del 2024 la definizione dei LEP in
    materia di lavoro consente alle regioni di chiedere una maggiore autonomia, tuttavia carente sotto il profilo
    finanziario, mentre la nostra proposta di mediazione prevede una autonomia sostenuta da un finanziamento
    aggiuntivo direttamente collegato ad una limitata quota di imposte raccolte nel territorio, in parziale analogia
    con il finanziamento della autonomia regionale e provinciale del Trentino Alto Adige.
    Qualcuno avanti nell’età forse ancora ricorderà che tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta
    avevo prima ideato e proposto un referendum per estendere le garanzie contro i licenziamenti nelle piccole
    imprese dell’allora nascente decentramento produttivo e poi, sostenuto dalla Cisl veneta, una mediazione
    all’epoca dello scontro politico e sindacale sulla predeterminazione della scala mobile che prevedeva un
    doppio sistema di garanzie nelle piccole imprese del decentramento anche a tutela dei piccoli imprenditori, il
    futuro popolo delle partite IVA, verso i grandi committenti. Allora il mondo sindacale e politico era
    concentrato sulla centralità delle grandi aziende in crisi, poco sul decentramento. Ora si rischia di riprendere e
    privilegiare in storico ritardo battaglie su salario minimo e stabilità del posto, in parte certo necessarie ma​
    ormai non centrali, trascurando il declino storico del lavoro subordinato/remunerato ed il crescente
    multiforme lavoro fuori mercato. Per un approfondimento rinvio a due miei recenti lavori editi da Youcanprint:
    Testimonianze a sud della laguna, 2022; Servizio civile democratico e reddito base di partecipazione, 2024.
    Giuseppe Avvocato Boscolo ​

  4. bob

    caro avvocato il problema di questa follia non è di natura tecnica ma bensì di natura culturale. Si sta riportando il Paese indietro alimentando, soprattutto nelle fasce meno acculturate, l’abitudine a ragionare in uno spazio come l’orticello di casa.
    In un Paese grande come un soldo di cacio si immagini 21 orticelli dove ognuno va per se.
    Basterebbe vedere la storia di chi propone questo assurdo per non dargli un soldo di credito.

    • Francesco

      Caro Bob: quello che lei chiama “abitudine a ragionare in uno spazo come l’orticello di casa” non è altro che il risultato di un Paese duale in cui vi sono evidenti differenze socio-culturali e comportamentali, prima ancora che economiche. Il Sud non è “inferiore” al Nord, ma la maggioranza dei suoi cittadini mette in atto una serie di comportamenti e norme (spesso non scritte) che ne inibiscono lo sviluppo. A questo bisogna pure aggiungere uno Stato che premia i comportamenti poco trasparenti disincentivando quelli virtuosi. Da qui vengono le battaglie autonomiste: dalla mancata volontà di gran parte delle élite italiane di riconoscere quanto detto.

      • bob

        io la differenza Nord – Sud gliela spiego con la metafora del tappeto: Al Nord la polvere sta sotto al tappeto al Sud sta sopra ma sempre polvere c’è.
        Mettersi l’etichetta di ” onesto” perché nato sopra a Bologna e di ” disonesto” per chi è nato sotto mi perdoni oltre che banale è una patetica misera analisi. Forse se vogliamo parlare di comportamenti “disonesti” che hanno spinto ” gli onesti” a battaglie autonomiste, basterebbe fare una semplice analisi del partito che le ha promosse per essere smentiti in toto. Nella sua breve esistenza ne ha fatte di tutti i colori oltre riempiendo il parlamento di soggetti culturalmente diciamo eufemisticamente discutibili . 49 milioni di euro come ultima ciliegina sulla torta ancora gridano vendetta

  5. Gabriella D'imperio

    L’autonomia non la vogliono quelli che non hanno voglia di fare niente e vogliono la pappa pronta devono darsi da fare i politici del sud e non devono dire noi del sud devono dire noi politici del sud

    • Savino

      Anche i politici del nord vogliono la pappa pronta. E che pappa, con la goduria degli affidamenti. Facile fare il Presidente della Lombardia e dimenticarsi della medicina territoriale a Bergamo o a Sondrio. Facile fare il Presidente della Liguria sulla barca di Spinelli e, poi, ingaggiare Cassese per farsi sentir dire che è contro la Costituzione ed è contro i liguri mettere ai domiciliari Toti. Cosa sarebbe a favore dei liguri? Si facessero tutti un esame della coscienza che non hanno, anzichè inventare nuovi cavilli che mettono altri bastoni tra le ruote ai cittadini e al rispetto della Costituzione e garantiscono, invece, altra corruzione.

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