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L’energia di Poste è da posizione dominante*

Poste italiane è stata sanzionata dall’Antitrust per abuso di posizione dominante nella vendita di energia elettrica e gas. La società contesta la decisione e ricorrerà al Tar. Intanto però un decreto abroga la norma in base alla quale è stata condannata.

L’intervento dell’Antitrust

Il 16 luglio, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha riconosciuto Poste Italiane responsabile della violazione delle norme antitrust. In particolare, Poste avrebbe abusato della sua posizione dominante nel mercato postale per ricavarne un indebito vantaggio su un mercato contiguo, quello della vendita di energia elettrica e gas, nel quale la società è entrata attraverso la controllata PostePay. Poste ha sempre difeso la legittimità della propria condotta ed è quindi scontato che impugnerà la decisione di fronte al Tar. Purtroppo, il ricorso potrebbe non entrare neppure nel merito, perché, nel frattempo, una manina ha inserito nel decreto approvato dal Consiglio dei ministri pochi giorni prima di Ferragosto l’abrogazione proprio della norma in base alla quale Poste è stata condannata, cioè il comma 2-quater dell’articolo 8 della legge 287/1990. L’abrogazione ovviamente non avrebbe conseguenze sul giudizio sui comportamenti passati di Poste, ma toglierebbe ogni ostacolo alla loro reiterazione nel futuro.

La vicenda

Andiamo con ordine. La disposizione abrogata prevede che “al fine di garantire pari opportunità di iniziativa economica”, qualora imprese che operano in regime di monopolio legale per l’erogazione di un servizio pubblico “rendano disponibili a società da esse partecipate o controllate (…) beni o servizi, anche informativi, di cui abbiano la disponibilità esclusiva in dipendenza” del servizio pubblico stesso, “esse sono tenute a rendere accessibili tali beni o servizi, a condizioni equivalenti, alle altre imprese direttamente concorrenti”. In parole povere: se un’impresa dispone di un bene strumentale all’erogazione di un servizio pubblico, e lo utilizza anche per altre attività in concorrenza con soggetti terzi, deve mettere tale bene a disposizione dei concorrenti alle medesime condizioni, per evitare una ovvia e ingiustificabile disparità di trattamento.

È proprio il caso di Poste. L’azienda dispone di una capillare rete di uffici – circa 13 mila sull’intero territorio nazionale – che le sono stati conferiti gratuitamente dallo stato all’inizio degli anni Novanta. Oltre al servizio postale, che costituisce ormai una attività marginale nel suo bilancio, Poste utilizza il canale per commercializzare prodotti di vario tipo, tra cui quelli banco-assicurativi, di telefonia mobile e, dal 2023, di vendita dell’energia elettrica e del gas. In meno di un anno Poste ha superato i 500 mila clienti, corrispondenti a una quota di mercato di circa l’1 per cento, che ha potuto raggiungere in grandissima maggioranza proprio attraverso il contatto diretto agli sportelli. Magari mentre si recano a pagare la bolletta emessa da operatori concorrenti.

È evidente che la rete degli sportelli garantisce a Poste un sostanziale vantaggio competitivo, in quanto le consente di entrare in contatto diretto con una clientela vasta e fidelizzata. Non solo: è anche un vantaggio che nessuno dei concorrenti può replicare. Infatti, anche al di là dell’enorme investimento che sarebbe necessario per costituire una simile rete distributiva (che Poste non ha dovuto sostenere), l’Antitrust giustamente impedirebbe a qualunque soggetto di raggiungere una simile dominanza sul canale distributivo fisico. Lo prova, per esempio, il fatto che – in occasione di fusioni bancarie – tipicamente l’Autorità impone come condizione la cessione di una parte degli sportelli. Per fare solo un esempio, la principale banca del paese, Intesa Sanpaolo, ha meno di 3 mila filiali. Infine, Poste riceve ogni anno circa 350 milioni di euro dallo Stato come contributo al servizio universale.

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Constatando questa disparità, alcuni operatori del mercato dell’energia – Iren e A2a – hanno chiesto accesso alla rete postale “a condizioni equivalenti” a quelle garantite a PostePay, come prevede(va) la legge del 1990. Ottenendone un diniego. Hanno quindi segnalato la cosa all’Antitrust, che il 30 gennaio 2024 ha avviato un procedimento, al quale si sono aggiunti un terzo operatore (Plenitude) e due associazioni di categoria (Utilitalia e Aiget). Il Garante ha concluso che Poste, negando l’accesso alla sua rete, si era posto in violazione delle norme e ha deliberato che, in futuro, l’azienda avvii un negoziato per stabilire le condizioni di accesso alla rete a chi ne fa richiesta e che tali attività siano supervisionate da un monitoring trustee. Ovviamente, l’Antitrust non entra nelle modalità attraverso cui l’accesso dovrebbe concretizzarsi, perché esse dipendono da vincoli concreti, relativi, tra l’altro, agli spazi disponibili, alle richieste dei concorrenti, ai requisiti di sicurezza connessi al servizio postale universale, e così via.

Dal canto suo, Poste ha provato a difendersi richiamando una specifica esenzione dagli obblighi del comma 2-quater introdotta nel 2021, per consentire lo svolgimento del progetto Polis attraverso cui Poste eroga una serie di servizi pubblici nei piccoli comuni. L’Antitrust ha accolto l’argomento, sostenendo però che la deroga si applica soltanto agli uffici direttamente coinvolti in tale progetto (6.933), ma certo non agli altri.

Sarebbe stato interessante seguire l’evolvere del procedimento. Nel passato, il comma 2-quater era stato invocato solo una volta, nel 2015, quando un operatore telefonico (H3G, oggi parte del gruppo WindTre) aveva chiesto accesso agli sportelli che Poste utilizzava per vendere i suoi servizi nella telefonia mobile. Anche in quel caso l’Antitrust aveva ravvisato l’abuso di Poste, mentre il Tar ne aveva respinto il ricorso. La cosa però era finita nel nulla, perché lo stesso Tar aveva stabilito che l’accesso alla rete avrebbe dovuto riferirsi alla totalità degli sportelli e non solo a quelli più attrattivi, ai quali era interessata H3G. L’azienda ha poi avuto altre vicissitudini societarie per cui la vicenda non ebbe altro seguito.

Giustificazioni dubbie per l’abrogazione

La relazione illustrativa del decreto del 9 agosto giustifica l’abrogazione con due argomenti principali. In primo luogo, “gli effetti dell’articolo 8, comma 2-quater, sono stati assorbiti dalle specifiche discipline di settore, di derivazione europea, che regolano l’accesso nei settori dell’energia elettrica, del gas naturale, delle telecomunicazioni, del servizio postale, tutte basate sulla necessità che, per poter accedere ai beni dell’incumbent, i nuovi entranti debbano, ad esempio, dimostrare che tali beni sono non replicabili e non sostituibili (e quindi non vi è alternativa valida), rivolgere all’incumbent richieste ragionevoli d’accesso e pagare un canone proporzionato”. Ciò è semplicemente falso. Intanto le norme europee disciplinano l’accesso alle infrastrutture non replicabili in relazione al loro utilizzo principale – per esempio l’accesso alle reti elettriche per trasportare energia elettrica – ma nulla dicono sull’impiego di quegli stessi asset per finalità alternative, che è invece la fattispecie coperta dal comma 2-quater. Inoltre, gli operatori concorrenti non devono dimostrare proprio un bel niente: semplicemente hanno diritto, a certe condizioni, ad accedere alle infrastrutture dell’incumbent. Per fare un esempio, Poste italiane può utilizzare le reti per la distribuzione di energia elettrica e gas possedute dai suoi concorrenti (tra cui A2a e Iren) senza che questi possano in alcun modo opporsi.

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Secondariamente, il governo sostiene che il comma 2-quater si configura come una sorta di “obbligo legale a contrarre” di cui i concorrenti potrebbero abusare: ma anche questo non è vero, perché tale norma non stabilisce un obbligo assoluto, ma solo una facoltà e soprattutto prevede la parità di condizioni di accesso, nel rispetto delle effettive disponibilità e vincoli infrastrutturali (come riconosce pacificamente l’Antitrust).

In sintesi, una norma che improvvisamente viene cancellata – subito dopo aver varato il disegno di legge annuale per la concorrenza, incassando la relativa rata del Pnrr – proprio nel corso di un contenzioso interessante e non scontato, che ha a che fare con la possibilità di garantire o meno la reale contendibilità di mercati rilevanti ai fini della garanzia di efficienza ed efficacia delle prestazioni rese ai cittadini: certamente una cosa non da poco.

Sicuramente sarà un caso, altrimenti qualcuno potrebbe pensare che si tratti di un esempio da manuale di cattura del regolatore da parte di una società di cui, peraltro, lo stesso regolatore è anche azionista.

*Federico Testa è coordinatore della commissione energia di Utilitalia.

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  1. Savino

    Il cittadino sarebbe già assai contento se le poste facessero bene il ruolo che è proprio delle poste. Questa diversificazione, per ragioni esclusivamente finanziari e di profitto, non l’ha richiesta nessuno e non piace a nessuno; se la sono inventata loro con creatività.

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