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Nell’era di Trump l’euro digitale diventa necessario

Il dominio dei grandi operatori Usa nel settore dei pagamenti digitali espone l’area euro a un alto rischio geopolitico. Occorre offrire un’alternativa: l’euro digitale. Ne va della nostra sovranità monetaria e della indipendenza strategica dell’Europa.

L’interesse di Trump per le monete digitali

L’attivismo della (seconda) amministrazione Trump coinvolge il settore della moneta. Il presidente americano appoggia apertamente lo sviluppo delle stablecoins e delle crypto-attività, sia con le sue parole sia nei fatti. Già in campagna elettorale aveva annunciato di volere fare degli Usa “the crypto capital of the planet”. Uno dei suoi primi atti come Presidente è stata l’emanazione di un ordine esecutivo volto a sostenere l’industria dei digital assets: cryptocurrencies, digital tokens e stablecoins. Al primo ne è seguito un secondo volto a includere i Bitcoin e altri assets digitali nelle riserve strategiche detenute dalla amministrazione americana. La gestione governativa si è mischiata con gli affari privati. Pochi giorni prima dell’insediamento, Donald e Melania Trump hanno emesso le loro memecoin (un particolare tipo di moneta digitale). Più di recente, Trump e figli hanno fondato una società (World Liberty Financial) che emetterà una stablecoin (USD1). Questi sviluppi, uniti alla più generale imprevedibilità e alla spregiudicatezza di Trump nei suoi primi mesi di presidenza, rendono più urgente l’introduzione della moneta digitale di banca centrale nell’area euro. Se prima della “era Trump” si poteva nutrire qualche dubbio e discutere sulla utilità dell’euro digitale, il nuovo scenario geo-politico rende questa innovazione indispensabile.

Perché avevamo già bisogno dell’euro digitale

Il sistema dei pagamenti è da tempo soggetto a una profonda trasformazione, che vede l’affermarsi di strumenti digitali (carte di credito/debito, pagamenti on-line, wallets, per esempio) e il progressivo declino del contante. Il processo potrebbe subire una accelerazione se si diffondessero le stablecoins: monete digitali emesse da piattaforme tecnologiche private, che promettono la convertibilità in una valuta tradizionale. L’emarginazione del contante pone un problema rilevante: essa è l’unica forma di moneta pubblica, emessa dalla banca centrale, a disposizione dei cittadini. Secondo alcuni, la prospettiva non sarebbe un problema, anzi aprirebbe il settore della moneta ai benefici della concorrenza (realizzando così il sogno di Friedrick Hayek, il teorico della concorrenza tra monete private): bene quindi che la banca centrale si astenga dall’emettere una moneta digitale, lasciando il compito all’iniziativa privata.

La visione a favore della concorrenza tra monete private trascura un aspetto fondamentale del settore dei pagamenti. È un settore a rete, nel quale ciascun utente trae una utilità tanto più elevata dall’uso di un particolare strumento di pagamento quanto maggiore è il numero di persone che usano lo stesso strumento. Questo fa sì che emerga un solo o pochissimi operatori nel settore, che godono di un grande potere di mercato. In altre parole, il settore dei pagamenti è un monopolio naturale. A riprova di ciò, basti osservare che il mercato delle carte di credito è dominato, a livello internazionale, dal duopolio Mastercard-Visa. Il prevalere di un monopolista privato nei servizi di pagamento gli consente di imporre condizioni onerose agli utenti, ma non solo: gli consente di accumulare una quantità enorme di informazioni sulle abitudini di consumo dei clienti, utilizzabili a fini commerciali. Questo potere diventerebbe ancora più notevole se a emettere monete private, sotto forma di stablecoins, fossero le grandi piattaforme tecnologiche (Amazon, Apple, Google, Meta, X) che già ne hanno uno – immenso – di mercato. Si rende quindi necessario che il settore pubblico offra una alternativa allo strapotere delle big tech companies: la moneta digitale di banca centrale. 

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Non è un caso se nella storia la prerogativa di “battere moneta” è sempre stata riservata al “sovrano”: sia esso un re o una banca centrale (delegata dallo Stato). Fin dall’antichità, la moneta coniata con l’effige del re era una garanzia del valore intrinseco della moneta stessa, legato al suo contenuto di metallo prezioso (oro o argento). Oggi la moneta cartacea non ha alcun valore intrinseco. Il suo valore, e la fiducia che il pubblico ripone in essa, risalgono all’impegno della banca centrale nel perseguire l’obiettivo di stabilità dei prezzi: questo ci rende fiduciosi che la moneta mantenga un valore di scambio ragionevolmente stabile nel tempo. La stabilità dei prezzi è un bene pubblico, quindi è bene che sia affidata a una autorità pubblica, anche se questa non è perfetta e può commettere errori. È difficile pensare che un soggetto privato (Elon Musk, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg) si faccia carico di questo compito. Il ruolo del “sovrano” nel garantire il valore della moneta ci libera dalla necessità di verificare l’affidabilità dell’emittente di uno strumento di pagamento, attività che richiederebbe una costosa raccolta di informazioni.  

Perché ne abbiamo ancora più bisogno nella “era Trump”

La necessità di offrire una moneta digitale pubblica in alternativa a quelle private è divenuta ancora più pressante, in Europa, con l’avvento e le iniziative della seconda amministrazione Trump. Come ha ben sottolineato Philip Lane (membro del Comitato esecutivo della Banca centrale europea) in un suo recente intervento, il settore dei pagamenti nell’area euro è dominato dagli operatori esteri, in particolare statunitensi. Il 65 per cento dei pagamenti effettuati con carte di credito/debito fa uso di circuiti internazionali, primi tra tutti Mastercard e Visa. Questi operatori hanno interamente soppiantato quelli locali in tredici (su venti) paesi dell’area euro. I pagamenti che fanno uso di app, segmento dominato da operatori esteri (quali Apple Pay, Google Pay, Paypal), rappresentano il 10 per cento di tutte le transazioni al dettaglio e sono in rapida crescita. Il mercato delle stablecoins è totalmente legato al dollaro: è la valuta convenzionale in cui sono convertibili.

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Tutto questo espone i paesi dell’area euro a un rischio geo-politico elevato, che si aggiunge a quello che corriamo nei settori della difesa e dell’energia. Trump potrebbe decidere di usare la nostra dipendenza dagli Usa nel settore dei pagamenti come un’arma di pressione se non addirittura di ricatto, così come sta facendo con i dazi. La dipendenza ci espone allo strapotere dei grandi monopoli privati statunitensi. Giusto per fare un esempio, provate a immaginare una situazione in cui la stablecoin emessa in futuro da Elon Musk diventi dominante, come lo sono ora la coppia Mastercard-Visa. Il nostro sistema dei pagamenti, e con esso il nostro sistema economico, sarebbero ostaggio delle stramberie del miliardario americano, che potrebbe minacciare di escludere un paese dai servizi di pagamento legati alla sua stablecoin oppure di aumentare le commissioni per il suo uso a livelli stratosferici. È uno scenario estremo, che possiamo prendere come una provocazione, ma che rende l’idea della direzione in cui potrebbe andare un mondo dominato dalle valute digitali emesse dai grandi monopolisti a stelle e strisce. Io sarei più tranquillo se potessi usare la moneta digitale emessa dalla Bce. E voi? 

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11 commenti

  1. bob

    “Tutto questo espone i paesi dell’area euro a un rischio geo-politico elevato, che si aggiunge a quello che corriamo nei settori della difesa e dell’energia.”
    Se come Europa proseguiamo a contemplare la ” politica del rattoppo” ( di cui noi Italiani siamo maestri insuperabili) credo che come Continente abbiamo vita breve.
    L’ Europa deve ragionare da Continente Europa nell’ interesse di tutti gli Stati europei. Se non comprendiamo questo passaggio si va avanti con iniziative una tantum sporadiche ( appunto del continuo rattoppo).
    Non solo l’euro, la difesa, l’energia l’ Europa deve imporre al resto del mondo il proprio grado di civiltà: la democrazia, i diritti umani, le garanzie sociali, la qualità della vita oltre che l’enorme e qualitativo “mercato” ( 450 milioni di persone) .
    Un segnale si poteva dare, non andando da Trump in ordine sparsa come tanti questuanti, ma presentandosi ( senza neanche andare di persona) come Europa in un accordo di grande lungimiranza che avrebbero dovuto avere se ci fossero politici veri ma ahimè …il profilo basso rasoterra è sotto gli occhi di tutti

  2. Roberto

    Domanda: considerato che sono le società private statunitensi (visa, mastercard, google pay, apple pay e stablecoin sul dollaro) a dominare il settore dei pagamenti non potrebbero le società private europee (bancomat, nexi, worldline) svilupparsi per gestire il mercato europeo dei pagamenti senza dover essere la bce a creare la sua valuta digitale?

  3. Luca

    L’euro digitale non è una necessità: è una minaccia alla libertà economica individuale e alla sovranità del cittadino. Abbiamo già Bitcoin, la moneta perfetta per l’era digitale: globale, neutrale, incensurabile, resistente all’inflazione e non controllata da nessun governo o banca centrale. Bitcoin rappresenta la concretizzazione delle idee della Scuola Austriaca di economia, in particolare del sogno di Friedrich Hayek, che auspicava una concorrenza tra monete per liberare il mercato dalla dittatura della moneta di Stato.

    Bitcoin ha una politica monetaria chiara e immutabile: massimo 21 milioni di unità, emesse con un ritmo decrescente nel tempo. Nessun politico, né a Bruxelles né a Francoforte, può “stampare” Bitcoin a piacimento. Questo lo rende hard money, denaro sonante, simile all’oro ma molto più efficiente. Come sostiene il Dr. Saifedean Ammous, autore del The Bitcoin Standard, “Bitcoin è l’unica forma di sound money disponibile oggi”, proprio perché è immune dalle distorsioni della politica monetaria keynesiana e dalle manipolazioni delle banche centrali.

    Chi oggi promuove l’euro digitale sostiene che serva a contrastare lo strapotere delle big tech americane, delle stablecoin private e delle piattaforme di pagamento estere. Ma il rimedio proposto – una moneta digitale di banca centrale – è peggiore del male. L’euro digitale sarebbe un’infrastruttura di sorveglianza totale: tracciabile in ogni transazione, programmabile per limitare spese, vincolabile geograficamente, e potenzialmente soggetta a censura politica. È la base per un credito sociale alla cinese. Una moneta non più al servizio dell’individuo, ma dello Stato.

    Bitcoin, al contrario, è decentralizzato e resistente alla censura. Funziona 24 ore su 24, ovunque nel mondo, senza bisogno di permessi. Nessuna autorità può congelare o bloccare i tuoi fondi, se possiedi le chiavi private. Come ricorda Andreas Antonopoulos, Bitcoin è “il denaro dell’internet aperto”, un bene pubblico globale e neutrale, che garantisce l’accesso finanziario a chiunque, ovunque.

    Michael Saylor, ex CEO di MicroStrategy e uno dei più noti sostenitori di Bitcoin, lo definisce “l’apice della proprietà umana”: un asset incorrompibile, immutabile e sicuro, una tecnologia che restituisce al cittadino il controllo sul proprio valore.

    Inoltre, Bitcoin offre una protezione reale contro l’inflazione. Mentre le valute fiat – euro incluso – perdono costantemente potere d’acquisto a causa della stampa di moneta, Bitcoin si apprezza nel lungo termine proprio grazie alla sua scarsità assoluta. In paesi come Argentina, Venezuela e Turchia, dove l’inflazione ha distrutto i risparmi, Bitcoin è già oggi un rifugio sicuro.

    Il problema non è che Mastercard o Apple Pay dominino i pagamenti digitali. Il problema è che la BCE vuole sostituire la libera scelta del mercato con un sistema di controllo centralizzato. L’euro digitale non è progresso: è regressione autoritaria. Non abbiamo bisogno di più Stato nella nostra vita finanziaria. Abbiamo bisogno di più libertà. E Bitcoin ce la offre.

    In un mondo dove la fiducia nelle istituzioni è in declino e il potere delle banche centrali ha prodotto debiti infiniti e inflazione cronica, Bitcoin è l’unica vera alternativa. La risposta non è un euro digitale. La risposta è già qui, e si chiama Bitcoin.

    ps se qualcuno avesse ancora problemi con i costi di transazione, gli consiglio caldamente di cambiare wallet LN perché il lawyer2 non costa nulla e funziona benissimo.

    • bob

      una ” catena di S. Antonio” più sofisticata

      • Luca

        Dire che “Bitcoin è una catena di Sant’Antonio solo più sofisticata” è una semplificazione errata che non tiene conto delle profonde differenze strutturali, economiche e tecniche tra le due cose.

        Vediamo perché:

        1. Differenze nella struttura

        – catena di Sant’Antonio: modello piramidale in cui i “guadagni” dei nuovi partecipanti vanno a chi è già dentro. funziona solo finché entrano nuovi partecipanti: è *insostenibile*.
        – Bitcoin: è una rete decentralizzata con un protocollo open-source, verificabile da chiunque. Nessuno è obbligato a “reclutare” altri, non c’è una struttura piramidale né rendimenti promessi.

        2. Assenza di rendimenti garantiti

        – in una catena di Sant’Antonio ti si promette un ritorno fisso (es. “metti 100€, ricevi 200€ in 30 giorni”).
        – in Bitcoin “nessuno ti promette nulla”: il prezzo è determinato dal libero mercato. Può salire o scendere. E un ROI del +7,1 millioni% e un CAGR del 122% entrambi a 14Y la dice lunga su come il LIBERO mercato stia prezzando il valore del protocollo.

        3. Tecnologia sottostante

        – una catena di Sant’Antonio non ha tecnologia dietro, è solo uno schema finanziario.
        – Bitcoin è una tecnologia innovativa: combina crittografia, blockchain, consenso distribuito e meccanismi economici per creare un sistema monetario alternativo (sound money).

        4. Utilità reale

        – le catene di Sant’Antonio non hanno nessun valore reale.
        – Bitcoin viene usato per trasferire valore, proteggere ricchezza dall’inflazione, inviare pagamenti internazionali, tutto senza permessi e senza limiti di tempo.

        5. Trasparenza e accessibilità

        – le catene di Sant’Antonio operano nell’ombra, nessuno sa dove finiscano i soldi.
        – tutte le transazioni Bitcoin sono pubbliche e verificabili sulla blockchain, la rete più sicura al mondo (1 Zetahash/s è il suo record storico di pochi giorni fa).

        6. Legalità e percezione

        – le catene di Sant’Antonio sono illegali proprio perché basate sull’inganno.
        – Bitcoin, pur regolato in modi diversi da Stato a Stato, non è di per sé illegale. Viene trattato come bene, valuta o asset a seconda delle giurisdizioni.

        In sintesi, Bitcoin non è una truffa basata sull’arricchimento di pochi a spese di molti, come una catena di Sant’Antonio. È una rete monetaria decentralizzata che può essere speculativa , sì (cosa non lo è?), ma non fraudolenta nella sua struttura.

  4. bob

    accetto che la mia è una semplificazione se vogliamo errata. Ma pensare che il libero mercato sia il regolatore di tutto senza nessun patto sociale e senza regole lo sconfessa la storia .
    “il prezzo è determinato dal libero mercato” …ma ci sarà qualcuno ( pochi) che determineranno il mercato?
    Il libero mercato senza regole determina ” prepotenza” e le regole le possono dettare solo patti e accordi tra popoli e Nazioni ( che sia Stato, Governo etc.)

    • Luca

      Questa affermazione parte da un presupposto interessante ma, nel contesto di Bitcoin, merita una risposta articolata e critica. Ti propongo una contro-argomentazione che smonta alcune delle semplificazioni implicite nel ragionamento

      1. Chi determina il prezzo nel mercato di Bitcoin?

      Il prezzo di Bitcoin non viene determinato da “pochi” ma dal concorso di domanda e offerta in tempo reale su decine di piattaforme di scambio in tutto il mondo. Non c’è un’istituzione centrale, né una cabina di regia. È il mercato globale a determinare il prezzo.
      Chiunque può contribuire a formare il prezzo semplicemente comprando o vendendo: non serve alcuna autorizzazione, titolo o “potere”.
      Al contrario di altri mercati (come quello dei tassi d’interesse o delle valute fiat), dove banche centrali, governi e grandi istituzioni hanno ruoli dominanti, Bitcoin offre un ambiente in cui la partecipazione è aperta a tutti, senza privilegi formali.

      2. Il libero mercato non è assenza di regole, ma regole emergenti

      Bitcoin non è un sistema senza regole. Al contrario, è un sistema con regole rigorose e trasparenti, codificate nel protocollo:

      • offerta limitata a 21 milioni
      • consenso tramite prova di lavoro (Proof-of-Work)
      • regole condivise da migliaia di nodi indipendenti

      Queste non sono regole imposte da un’autorità centrale, ma frutto di un patto sociale emergente, distribuito e verificabile. È una nuova forma di governance, in cui nessuno può cambiare le regole da solo, neanche i miner.

      3. Prepotenza e abuso: Bitcoin è una risposta, non una causa

      La “prepotenza” dei mercati spesso nasce quando chi ha più potere politico o finanziario può manipolare le regole a suo vantaggio.

      Bitcoin nasce proprio come reazione a queste distorsioni:

      • nessuno può stampare nuovi bitcoin a piacimento
      • nessuna banca può congelarti un wallet
      • nessuno Stato può bloccare una transazione tra due individui

      Bitcoin non rifiuta il patto sociale, ma ne propone uno nuovo, più equo, globale e non coercitivo.
      Bitcoin non rappresenta l’ideologia di un libero mercato anarchico, ma una sperimentazione concreta di un mercato con regole certe, accessibili e non manipolabili.
      Non elimina il “patto sociale”, lo decentralizza. E i suoi partecipanti lo aderiscono volontariamente, non perché lo imponga uno Stato, ma perché funziona.

      • Luca

        *vi aderiscono

      • Angelo

        Tutto molto bello. Ma oltre alla teoria esiste la pratica: Bitcoin è diventato SOLO ed esclusivamente uno strumento di speculazione fine a se stesso. Volerci vedere altro, oggi, mi sembra ingenuo.

        • Luca

          Capisco perfettamente lo scetticismo: da fuori, soprattutto osservando l’enorme volatilità (in continua decrescita) e l’ossessione per il “prezzo” di molti, sembra davvero che Bitcoin sia diventato solo un asset speculativo. Ma questa è solo una parte (rumorosa) della storia. Ridurre Bitcoin a solo speculazione significa ignorare tutto ciò che sta accadendo oltre i grafici e le fiammate mediatiche.

          1. Speculazione ≠ inutilità

          La speculazione è fisiologica in ogni fase iniziale di un’innovazione radicale. È accaduto con Internet (ricordiamo la bolla dot-com?), con l’elettricità, perfino con le ferrovie. Che oggi ci sia chi compra Bitcoin “per guadagnarci” non invalida la tecnologia, anzi: è spesso proprio la speculazione a finanziare le infrastrutture e attrarre attenzione.

          2. Bitcoin come strumento reale in contesti reali

          Dire che oggi Bitcoin non serve a nulla è una visione eurocentrica, occidentale. Nei paesi dove le istituzioni funzionano male, dove l’inflazione è a due cifre o la moneta nazionale è soggetta a controlli di capitale, Bitcoin è già uno strumento di sopravvivenza.

          • In Argentina, in Venezuela o in Turchia, viene usato per difendere il potere d’acquisto dei risparmi.
          • In Nigeria, è adottato come mezzo di pagamento alternativo perché l’accesso ai servizi bancari è limitato e le rimesse dall’estero sono carissime.
          • Durante le proteste in Canada (2022), i fondi bancari di alcuni manifestanti sono stati congelati: Bitcoin è stato usato per continuare a ricevere donazioni in modo non censurabile.

          3. Crescita silenziosa dell’infrastruttura

          Mentre molti lo vedono come un titolo in borsa, dietro le quinte Bitcoin sta costruendo un’infrastruttura:

          • il Lightning Network (LN) consente pagamenti istantanei, globali, a costo quasi zero. Alcuni wallet permettono già di inviare un centesimo di euro in un secondo, con fee irrilevanti.
          • aziende stanno integrando Bitcoin come rail di pagamento, non solo come asset. Alcune scuole, enti benefici e perfino Stati (vedi El Salvador) lo stanno adottando operativamente.
          • startup stanno costruendo prodotti basati su Bitcoin per servizi di credito, risparmio, microtransazioni e identità digitale.

          4. Bitcoin come garanzia politica

          In un mondo in cui le libertà civili possono essere limitate, la proprietà privata messa in discussione e i conti bancari bloccati, detenere un asset non confiscabile, accessibile ovunque ci sia Internet (ma anche solo una rete GSM o… una trasmissione radio a lunga frequenza), è una garanzia di libertà. Non è solo un discorso teorico: succede già.

          5. E la speculazione, quindi?

          Sì, c’è. Come c’è su tutto ciò che ha valore percepito. Ma è solo la superficie. Un po’ come dire che l’oro oggi “non serve a nulla” perché nessuno lo usa più per coniare monete, ignorando che continua a rappresentare riserva di valore, strumento di copertura, garanzia di solidità per molte banche centrali.

          In sintesi: negare che ci sia speculazione sarebbe ingenuo. Ma pensare che ci sia solo quello è altrettanto miope.
          Bitcoin è giovane, rumoroso, imperfetto. Ma sotto la superficie sta succedendo qualcosa di molto più grande. Non è solo una scommessa sul prezzo: è una scommessa su un paradigma alternativo di fiducia, proprietà e libertà.
          Dire che “è solo speculazione” è come giudicare internet nel 1995 leggendo i titoli di borsa, ignorando, ad esempio, che stava nascendo Google.

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