Dopo più di tre anni di guerra, l’economia ucraina riesce a mantenere un buon andamento in termini di crescita, controllo dell’inflazione e stabilità del tasso di cambio. Sostenere Kiev sarebbe nell’interesse dell’Europa, ma l’impegno concreto resta timido.


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Lo stato dell’economia di Kiev

Se l’Ucraina fosse in guerra con la Russia non sui campi di battaglia, ma sul piano economico e civile, a quest’ora avrebbe già sconfitto definitivamente il nemico.

Dall’invasione russa del febbraio 2022, dopo un iniziale sbandamento, l’economia ucraina ha mostrato – nonostante l’intensificarsi dei combattimenti – un ottimo andamento in termini di crescita, controllo dell’inflazione e stabilità del tasso di cambio. Nel frattempo, il governo attua una serie di riforme volte alla modernizzazione del sistema fiscale, alla riduzione dell’evasione e della corruzione. Questi interventi hanno ottenuto il plauso del Fondo monetario internazionale e dell’Unione europea, e il processo di adesione a quest’ultima compie così importanti progressi. 

Tutto ciò ha permesso al governo ucraino di aumentare in modo significativo le entrate pubbliche, anche se le spese militari hanno assorbito integralmente le nuove risorse. Ovviamente, ogni previsione è fortemente condizionata dall’intensità degli aiuti internazionali e dall’andamento del conflitto. Inoltre, Kiev rimane un paese in guerra in cui è difficile misurare le variabili economiche.  

Resta il fatto che raramente, nella storia, un paese teatro di cruente battaglie è riuscito a crescere da un punto di vista civile ed economico, seppure a costo di enormi sacrifici umani e materiali. 

Dopo la violenta caduta del Pil nel 2022 (-28,8 per cento), dovuta all’occupazione russa di una vasta parte del territorio ucraino e alla fuga all’estero di milioni di persone, l’anno successivo l’economia ha registrato una crescita del 5,5 per cento, per poi attestarsi intorno al 3 per cento nei due anni seguenti. Secondo un recente rapporto del Fmi, è prevista una crescita che potrebbe sfiorare nuovamente il 5 per cento nel 2026 e nel 2027, se le ostilità cessassero. L’agricoltura, la siderurgia e la meccanica – pur dovendo fare i conti con i danni alla produzione elettrica – sono riuscite a reggere, mentre l’industria degli armamenti, in particolare quella dei droni, ha compiuto passi da gigante. Così, sempre secondo il Fmi, si prevede che da qui al 2030 la crescita economica dell’Ucraina superi di gran lunga quella della Russia (grafico 1). 

Figura 1 – Indice del Pil a prezzi costanti di Russia e Ucraina

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Anche l’inflazione, in termini di prezzi al consumo, dopo aver raggiunto il 35 per cento nell’anno dell’invasione, è scesa gradualmente: oggi si attesta intorno al 12 per cento e, secondo le previsioni, dovrebbe scendere sotto il 10 per cento, un livello più basso rispetto a quello registrato attualmente in Russia. È vero che i prezzi dei generi alimentari di prima necessità – che talvolta scarseggiano – sono aumentati in misura maggiore, ma il tasso di cambio grivnia-dollaro, dopo un pesante crollo nel 2022, ha subito solo una modesta svalutazione, mentre le riserve ufficiali sono salite a 43 miliardi di dollari. La politica monetaria è rimasta moderatamente restrittiva al fine di governare le aspettative d’inflazione, e oggi i tassi d’interesse ufficiali sono al 15,5 per cento. La disoccupazione, pur relativamente alta per un paese in guerra, è tale soprattutto perché Kiev ha scelto di risparmiare il fronte ai suoi uomini più giovani. Certo, il bilancio pubblico ucraino presenta un fortissimo disavanzo, pari al 22 per cento, mentre il debito pubblico ha superato il 90 per cento del Pil, coperto in parte dagli aiuti internazionali.

Le convenienze dell’Europa

Secondo il Kiev Institute, che monitora con attenzione gli aiuti militari, umanitari e finanziari inviati da oltre quaranta paesi, l’Ukraïna (cioè “terra di confine”) ne ha ricevuti in media circa 80 miliardi di dollari all’anno, di cui 43,5 miliardi dai paesi europei (incluse le istituzioni comunitarie, il Regno Unito, la Svizzera e altri) e 38 miliardi dagli Stati Uniti. Questi importi rappresentano rispettivamente lo 0,15 per cento e lo 0,23 per cento dei Pil nazionali, valori del tutto modesti e inferiori a quelli di qualsiasi importante incentivo pubblico.

Vale inoltre la pena sottolineare che i paesi del Nord Europa hanno contribuito in misura molto più che proporzionale rispetto a quelli del Sud, e che dall’inizio dell’anno gli Stati Uniti non hanno preso alcun nuovo impegno.

Figura 2 – Contributo cumulato agli aiuti all’Ucraina dei diversi paesi europei  

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Anche se da ora in avanti fosse la sola Europa a farsi carico per intero degli aiuti all’Ucraina, l’onere non sarebbe particolarmente gravoso, soprattutto se rapportato ai recenti impegni presi in sede Nato al vertice dell’Aia del 24 e 25 giugno. In quell’occasione, infatti, i paesi dell’Alleanza atlantica hanno deciso di aumentare la loro spesa per la difesa dal 2 al 5 per cento annuo. Come nota Timothy Ash nel suo blog, ogni punto percentuale in più di spesa vale circa 300 miliardi di dollari all’anno. Pertanto, se l’Europa facesse bene i suoi conti, forse capirebbe che conviene aumentare in maniera significativa gli aiuti all’Ucraina, fino a consentirle di sconfiggere la Russia, o almeno a costringerla alla pace – un impegno stimato in circa 150 miliardi per due anni. Eliminata così la principale minaccia per l’Europa, i contribuenti europei potrebbero in seguito risparmiare un’enorme quantità di risorse destinate alla difesa.

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