Tante famiglie italiane non sono in grado di affrontare una spesa imprevista di 800 euro. Avere un lavoro e uno stipendio discreto non è più garanzia di sicurezza. La fragilità finanziaria è un problema serio, anche nei paesi di welfare consolidato.

Gli americani non riescono a risparmiare

Negli Stati Uniti, una quota crescente di lavoratori non riesce a risparmiare nulla a fine mese. Secondo il report Paycheck-to-Paycheck pubblicato da Pymnts Intelligence, il 62 per cento degli adulti americani vive appunto “da busta paga a busta paga”, ossia consuma integralmente il proprio stipendio per coprire le spese ordinarie. Il dato non riguarda solo le fasce a basso reddito: il 48 per cento di coloro che guadagnano più di 100mila dollari all’anno vive così, inclusa una quota del 36 per cento di chi guadagna oltre 200mila dollari all’anno.

Una parte maggioritaria della forza lavoro non riesce ad accumulare risorse o a fronteggiare imprevisti economici, una fragilità strutturale, che va oltre la semplice povertà reddituale. Annamaria Lusardi ha definito questa condizione come financial fragility, riferendosi all’incapacità di affrontare una spesa imprevista anche modesta – come 400 dollari – senza ricorrere a debiti, rinunce o aiuti esterni. La stessa soglia è adottata dalla Federal Reserve nel suo rapporto annuale sul benessere economico delle famiglie americane, dove nel 2023 il 37 per cento degli adulti ha dichiarato di poterla sostenere solo con difficoltà.

Le cause di questa fragilità sono molteplici. Il sistema statunitense si caratterizza per l’assenza di protezioni universali in settori strategici come sanità, abitazione e istruzione. I costi associati a questi ambiti assorbono una quota crescente del reddito disponibile, anche per i lavoratori a tempo pieno e anche per redditi elevati. A ciò si sommano l’erosione dei salari reali, la diffusione di contratti instabili e l’indebitamento diffuso, in particolare tra le generazioni più giovani. A rendere ancora più fragile la posizione di molti lavoratori americani (ma non solo) contribuisce un doppio vincolo familiare: da un lato i figli a carico, con spese crescenti per istruzione, trasporti, assistenza extrascolastica; dall’altro i genitori anziani, spesso privi di copertura pubblica per cure di lungo periodo. Il fenomeno – descritto come sandwich generation – colpisce soprattutto la fascia tra i 40 e i 55 anni, che si trova a sostenere un carico economico e di cura bilaterale, senza reti di supporto adeguate e spesso senza patrimonio personale. La mancanza di un sistema pubblico per la cura genera una compressione costante del margine economico e anche del tempo disponibile al lavoro. Si tratta di una condizione strutturale di esposizione al rischio. E la si può spiegare anche con la povertà patrimoniale. Molti lavoratori formalmente inclusi nel mercato non dispongono di beni durevoli – casa di proprietà, risparmi, investimenti, capitale relazionale – in grado di offrire protezione in caso di difficoltà. L’assenza di patrimonio impedisce non solo l’accumulo, ma anche la trasmissione intergenerazionale di risorse e opportunità. Le famiglie senza asset sono più vulnerabili alle oscillazioni del mercato e meno in grado di accedere al credito o di sostenere i costi di formazione, cura e mobilità. In questo quadro, la rete familiare non è più un fattore di resilienza, ma rischia di diventare un ulteriore vincolo.

Il lavoro non basta più per essere protetti

Il risultato è che, pur essendo occupata, una quota rilevante della popolazione vive in una condizione di insicurezza economica permanente. Questa condizione limita la capacità di pianificare il futuro, di cambiare lavoro, di affrontare transizioni familiari o professionali. In altri termini, il lavoro smette di rappresentare una garanzia di cittadinanza economica. Il fenomeno evidenzia una trasformazione del rapporto tra lavoro e benessere: non è più sufficiente essere occupati per essere al sicuro, nemmeno quando il lavoro genera redditi che superano la soglia di povertà. Il salario diventa un flusso che copre i costi correnti ma non genera riserve. Non produce capacità di investimento, né autonomia decisionale.

La situazione in Italia

È una condizione che non riguarda i soli Stati Uniti. In Italia, i dati Istat indicano che oltre il 40 per cento delle famiglie non è in grado di affrontare una spesa imprevista di 800 euro. Emerge un nuovo tipo di disuguaglianza, centrato sull’assenza di margine: economico, ma anche di tempo e di relazioni di valore. Lavorare non basta più a essere protetti, e nemmeno a partecipare pienamente alla vita sociale ed economica. I soggetti colpiti da questa forma di fragilità sono formalmente inclusi nel mercato del lavoro, ma sostanzialmente esposti e vulnerabili. In questa situazione, il lavoro perde la sua funzione emancipativa e viene ridotto a strumento di mera sopravvivenza. Dal punto di vista delle politiche pubbliche, la priorità è uscire da una logica che misura l’inclusione sociale solo sulla base dell’occupazione o del reddito. Servono nuovi indicatori in grado di cogliere la capacità di assorbire shock, l’accesso reale ai servizi, la possibilità di interrompere o modificare il proprio percorso lavorativo senza conseguenze irreparabili. In questa direzione, gli studi sulla financial fragility offrono una base concettuale più adatta a comprendere la natura contemporanea delle disuguaglianze.

Anche nei paesi con welfare consolidato, la contrazione dei salari e la progressiva mercificazione di servizi essenziali, dai trasporti alla sanità, erodono la funzione protettiva dell’occupazione. La fragilità economica non è più un fenomeno marginale o temporaneo: è diventata una condizione ordinaria per una parte maggioritaria della forza lavoro. Se si aggiunge che la pressione fiscale in Italia colpisce soprattutto i lavoratori dipendenti con reddito superiore ai 35mila euro, che sostengono quasi completamente il costo delle protezioni sociali e della spesa pubblica, di fronte a una polarizzazione della ricchezza e a una concentrazione che crea sacche di privilegio, la direzione del nostro sviluppo economico sembra correre in direzione della promozione del risentimento.

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