Il Governo pensa di abolire larticolo di legge sullautonomia finanziaria degli atenei. Forniamo ai lettori il testo dell’emendamento elaborato dal Ministro Moratti. Dietro il nuovo meccanismo di programmazione, si cela il desiderio del ministero di tornare a un dirigismo centralistico che permette maggiore discrezionalità nellassegnazione delle risorse. E la speranza di molte università di riuscire a strappare finanziamenti maggiori. Ma a perdere potrebbe essere il sistema nel suo complesso. Nei giorni scorsi la stampa ha ripreso una nota del ministro Moratti indirizzata ai rettori: particolare rilievo è stato dato a una parte del documento, e si è così avvallata l’idea che il ministero finanzierà le università sulla base dei “risultati” e non più “a pioggia”. In realtà, il documento costituisce un atto di indirizzo che si inquadra nel piano di sviluppo 2001-03, in merito ai requisiti minimi dei corsi di studio avviati con i nuovi ordinamenti didattici: non è una nota sulla riforma dei criteri generali di finanziamento delle università. Il Governo si è invece espresso sulla materia in altra sede e con un orientamento ben più radicale: la soppressione delle norme che attualmente disciplinano l’autonomia finanziaria delle università, la cui portata merita di essere brevemente richiamata. I pochi commi che hanno cambiato l’università A partire da metà degli anni Novanta le università italiane sono state investite da un processo di riforma senza precedenti, che ha toccato ogni aspetto della vita universitaria. La leva che ha consentito di rimettere in moto un sistema bloccato da almeno una ventina d’anni erano pochi commi inseriti nell’articolo 5 della legge 537/1993 di accompagnamento della Finanziaria per il 1994, che ha dato vita all’autonomia finanziaria degli atenei. Con la creazione del fondo per il finanziamento ordinario delle università (Ffo) e del meccanismo del riequilibrio, con la delegificazione della normativa sulle tasse universitarie e l’abolizione delle piante organiche, gli incentivi delle università si sono radicalmente modificati: gli atenei sono stati costretti a recuperare quella responsabilità nella gestione delle risorse prima schiacciata tra l’eccesso di regolamentazione del centro e la consuetudine dei rettori di contrattare con il ministero ogni singola micro risorsa (1). Si è trattato di un processo faticoso e complesso da gestire: non è infatti bastato fare la legge e costruire un apparato tecnico in grado di supportarlo perché il sistema trovasse un suo punto di equilibrio, ma è stato necessario convincere la maggioranza dei rettori che, dato un vincolo aggregato di risorse pubbliche e data la fortissima sperequazione tra atenei e aree disciplinari, la soluzione più equa ed efficiente fosse quella di redistribuire i finanziamenti sulla base di costi standard per studente, ossia sulla base di parametri “anonimi” e noti ex ante. Pur tra incertezze ed errori, il sistema ha funzionato, e ha inaugurato un nuovo stile nelle relazioni tra il centro e la periferia, improntato sulla trasparenza e su una più netta distinzione delle competenze. Tutto bene dunque? Certamente no; oggi pesano non solo alcuni errori del passato, ma anche le omissioni, in primo luogo, la mancata riforma del sistema di governance interna delle università e la scarsità di risorse. Si tratta di questioni più o meno dibattute, ma che se non affrontate seriamente rischiano di lasciare il sistema “in mezzo al guado” di un delicato processo di transizione (2). Il colpo di spugna in agguato In sordina, nel corso dell’iter parlamentare che sta portando alla conversione in legge del decreto 9 maggio 2003, n. 105, recante disposizioni urgenti per le università (quello che, per intenderci, finanzia le borse di mobilità internazionale degli studenti, del dottorato ecc.), con un emendamento del Governo si è cercato di passare un colpo di spugna, abolendo l’articolo 5 della 537/1993. L’emendamento, presentato all’ultimo momento, quando il consenso sulla norma sul diritto allo studio era già stato raggiunto, è stato bloccato dal Presidente della Camera, che lo ha ritenuto non ammissibile perché non strettamente attinente al decreto legge. Ma è assai probabile che il Governo lo ripresenti in Finanziaria o con un provvedimento ad hoc. Un nuovo meccanismo di programmazione Che cosa propone in alternativa il ministro? E perché abolisce l’articolo 5 della 537? Si delinea un meccanismo assai più complesso, che si basa sulla dialettica diretta tra il ministro che, con proprio decreto, definisce ogni tre anni (rimodulabili però annualmente) gli obiettivi e le risorse del sistema universitario, e gli atenei (solo i pubblici o anche quelli legalmente riconosciuti?), che sempre ogni tre anni presentano programmi di attività che individuano il fabbisogno di personale, l’offerta formativa, il programma di sviluppo della ricerca, le azioni di potenziamento dei servizi agli studenti e i programmi di internazionalizzazione. Dunque, un metodo di ripartizione delle risorse non più basato su criteri noti ex ante e affidato a parametri quantitativi, ma sul risultato della valutazione dei programmi avanzati dalle singole università effettuata dal ministro. Un potente meccanismo di programmazione, almeno in apparenza. Chi ha esperienza diretta in campo universitario sa bene però come generalmente vengono fatti i piani di sviluppo delle iniziative da parte degli atenei: l’impegno è tutto rivolto a giustificare la richiesta più alta possibile di risorse, anziché a mettere a punto progetti sensati. D’altra parte, è anche noto che la capacità tecnica del ministero di entrare nel merito dei progetti è molto limitata. Nonostante l’esperienza positiva del Comitato nazionale di valutazione, siamo ancora molto lontani dall’applicazione di un modello di valutazione esterna delle università, l’unico capace di garantire un giudizio di merito dei progetti, inserendoli nel loro specifico contesto. L’evoluzione del sistema in questa direzione è certamente auspicabile, ma impone un salto culturale (e finanziario) enorme: la previsione di rafforzare lo staff ministeriale con alcuni (massimo dieci) professionisti “qualificati nel campo della valutazione” è semplicemente un palliativo. Desiderio di dirigismo Ciò che traspare dalla norma è piuttosto il duplice desiderio di un ritorno al dirigismo centralistico tipico degli anni Ottanta e di un sostanziale ampliamento dei margini di discrezionalità nell’allocazione dei fondi, margini che la precedente normativa aveva ridotto all’osso, pur senza cancellarli (accordi di programma). Se, da un lato, possono anche risultare comprensibili le propensioni accentratici del ministero, inquietante, è la mancanza di reazioni da parte delle università. È molto probabile che questo silenzio nasconda il desiderio di chiudere con la 537/1993, soprattutto da parte di quegli atenei che hanno sistematicamente perso risorse negli anni passati mediante il meccanismo del riequilibrio. Ma, dal momento che le risorse pubbliche per il sistema universitario non sono destinate ad aumentare, il gioco allocativo sarà inevitabilmente a somma zero. Di conseguenza, o il nuovo meccanismo finirà per non punire (e non premiare) nessuno, con buona pace degli obiettivi del sistema di programmazione, oppure ci saranno nuovi vincenti e perdenti. È assai probabile che alcuni atenei nutrano la segreta speranza (o la ragionevole certezza) di essere i candidati vincenti perché più bravi a contrattare. In entrambi i casi è elevato il rischio che a perdere sia il sistema nel suo complesso e che questo gran cambiamento non nasconda altro che un desiderio, sempre duro a morire, di tornare al passato. (1) Per un’analisi della riforma del finanziamento delle università si rinvia a G. Catalano e P. Silvestri, “Regolamentazione e competizione nel sistema universitario italiano: effetti e problemi del nuovo sistema di finanziamento,” in Daniele Fabbri e Gianluca Fiorentini (a cura di), Regolamentazione e finanziamento dei servizi pubblici. Roma: Carocci, 1999, pp. 143-85. (2) Una discussione di questi problemi è contenuta in D. Rizzi e P. Silvestri, “Mercato, concorrenza e regole nel sistema universitario italiano. Riflessioni in margine ad un articolo di H. Hansmann.” Mercato concorrenza regole, aprile 2001, 3(1), pp. 147-74.
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