Anticipare con esattezza una crisi di debito non è possibile. È però possibile identificare un insieme di squilibri macroeconomici statisticamente associati a futuri episodi di insolvenza del debito sovrano. Sono campanelli d’allarme l’eccesso di indebitamento e lo squilibrio dei conti con l’estero, la cattiva gestione della politica monetaria e una bassa crescita dell’economia reale. Sul piano politico, l’imminenza di elezioni presidenziali. Su questa base, l’Argentina era una paese ad alto rischio già nel 2000.

Nel dicembre 2001 il Governo argentino decideva di sospendere il pagamento degli interessi sul debito estero, valutato tra i 90 ed i 140 miliardi di dollari, dando così il via al maggiore crack finanziario mai avvenuto nella storia della finanza internazionale. Il coinvolgimento di oltre 400mila famiglie italiane e le aspre polemiche che ne sono seguite, hanno portato alla ribalta, anche nel nostro paese, il tema dell’insolvenza del debito sovrano.

Ma si poteva prevedere questa crisi?

Crisi di debito nei paesi emergenti

L’Argentina, purtroppo, non è un caso isolato. Solo a partire dagli anni Novanta, si contano nei cosiddetti paesi emergenti oltre venti episodi di crisi di debito sovrano: Uruguay e Venezuela 1990; Algeria e Tunisia 1991; Messico, Venezuela e Argentina 1995; Thailandia, Indonesia, 1997; Russia, Pakistan, Brasile e Ucraina 1998, Equador 1999, Ucraina e Turchia 2000, Argentina e Brasile 2001; Indonesia 2002, Uruguay 2002.

In alcuni casi i Governi hanno esplicitamente ripudiato il debito pubblico nazionale e/o estero (Russia, Argentina, Equador): In altri hanno imposto ai creditori una ristrutturazione “forzata” del debito e un rinvio di fatto dei pagamenti, sotto la minaccia implicita della bancarotta (Pakistan, Ucraina, Uruguay). In altri casi ancora, i prestiti delle istituzioni finananziarie internazionali e il coinvolgimento delle banche private hanno scongiurato l’insolvenza vero a propria (Messico, Thailandia, Brasile e Turchia, Uruguay).

Prima di rispondere alla domanda “si possono prevedere le crisi di debito?” è necessario chiarire cosa s’intende per crisi.

Ma cos’è questa crisi?

Esiste un’ampia letteratura economica in materia di crisi di confidenza nel debito estero degli stati sovrani. Gli studi empirici in materia adottano però diverse definizioni di crisi, e cioè rende difficile paragonarne i risultati.

In una recente ricerca svolta presso il Fondo moneterio internazionale (1), si propone questa definizione: si ha una crisi di debito quando si verifica almeno una delle due seguenti situazioni: 1) il Governo viene classificato come insolvente dall’agenzia di rating Standard&Poors, poiché non rispetta in pieno i propri impegni di ripagare gli interessi o rimborsare principale sul proprio debito estero; 2) il Governo riceve un “grande” prestito dal Fmi (oltre il 100 per cento della sua quota nel Fmi). Questa seconda eventualità permette di considerare come (quasi) “crisi” anche episodi in cui la bancarotta viene scongiurata solo per effetto dell’intervento del Fondo monetario (i cosiddetti “bailouts”).

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Campanelli d’allarme

Certo, se fosse possibile prevedere le crisi di debito con esattezza, non staremmo qui a scriverne (ma staremmo godendone i vantaggi da qualche parte, probabilmente nei Caraibi).

È possibile però costruire “campanelli dall’allarme” (early warnings) che segnalino un’imminente situazione a rischio. In altri termini, è possibile identificare un insieme di squilibri macroeconomici e segnali d’instabilità politica che siano statisticamente associati a una crisi futura. Questi campanelli sono tanto più utili quanto più correttamente segnalano le crisi. Allo stesso tempo, però, non devono segnalarne “troppe”, mandando “falsi allarmi” (del tipo “al lupo! al lupo!”).

Lo studio citato considera quarantasette paesi emergenti dal 1970 al 2002. I principali fattori che sono statisticamente associati a un elevato rischio di crisi futura risultano essere: un elevato livello d’indebitamento estero che segnala problemi di solvibilità (rapporto debito estero/Pil), un elevato indebitamento a breve termine, che suggerisce problemi di liquidità (oneri d’interesse e debito a breve in rapporto alle riserve ufficiali), indicatori di squilibrio nei conti con l’estero (disavanzo delle partite correnti), cattiva gestione della politica monetaria (inflazione elevata e volatile), bassa crescita dell’economia reale. Tra gli indicatori d’instabilità politica, l’imminenza d’elezioni presidenziali risulta un fattore di rischio.

Rischio d’infarto…

Un aspetto interessante di questo studio consiste nell’utilizzo di diverse tecniche statistiche. Tra queste, è impiegata una tecnica di classificazione e previsione (Classification and Regression Tree Analysis) in uso, per esempio, in medicina, per classificare le persone appena colpite da attacchi cardiaci che giungono al pronto soccorso. Le persone che sono classificate “ad alto rischio” sono quelle che hanno elevata probabilità di non superare i tre mesi di vita: queste sono sottoposte a cure intensive nei reparti di rianimazione, mentre quelle “a basso rischio” sono sottoposte a cure ordinarie. Questa tecnica permette di individuare le diverse tipologie di individui “a rischio” (ad esempio uomo-fumatore – indice di massa corporea superiore a 25; ovvero donna – colesterolo totale/colesterolo Hdl maggiore di 5 – pressione superiore 140/90).

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…e crisi di debito

Applicata alle crisi di debito, questa metodologia suggerisce che non tutte le crisi sono uguali. Circa la metà degli episodi verificatisi a partire dagli anni Settanta riflette problemi di solvibilità (rapporto debito estero Pil superiore al 50 per cento) uniti a cattiva gestione monetaria (inflazione superiore al 10,5 per cento). Queste due condizioni da sole preludono a una crisi di debito nel 67 per cento dei casi. Circa un quinto delle crisi avviene invece in presenza di livelli di indebitamento relativamente contenuti (tra il 20 ed il 50 per cento del Pil). I maggiori fattori di rischio sono in questi casi rappresentati dalla concentrazione del debito in scadenze a breve termine (e dunque problemi di liquidità evidenziati da un rapporto tra debito a breve e riserve maggiore di 1.3) unita a un regime di cambio relativamente fisso. Quest’ultime condizioni preludono a una crisi nel 40 per cento dei casi.

E l’Argentina?

Alla luce di quest’analisi (e del buon senso), l’Argentina viene classificata paese ad alto rischio nel 2000, anno che precede la crisi. La miscela di elevato indebitamento estero, concentrazione a breve termine delle scadenze, disavanzo corrente, riduzione progressiva delle riserve ufficiali, recessione, elevata disoccupazione e cambio fisso è esplosiva, come gli avvenimenti successivi non tarderanno a dimostrare.

Rendimenti elevati, come quelli sui Tango bonds, comportano sempre rischi elevati, si sa. Rimane da capire sulla base di quali considerazioni siano stati consigliati a tanti risparmiatori italiani.

(1) Una versione preliminare del lavoro “Predicting Sovereign Debt Crises”, di P. Manasse, N. Roubini, A.Schimmelpfennig , è disponibile all’indirizzo: <http://www.imf.org/external/pubs/cat/longres.cfm?sk=16951.0>

 

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