La riforma degli ordinamenti didattici per l’università voluta dal ministro Moratti perpetua gli errori del precedente governo. Resta intatto il disegno tecnocratico e razional-sinottico. Così come rimane la complessità e inutilità dei troppi adempimenti burocratici. Cambiano solo alcune regole che non riescono però a permettere una valutazione dei corsi di studio basata sull’analisi delle reali capacità di offrire contenuti formativi. Né garantiscono un sistema dei crediti trasparente e capace di incentivare la mobilità degli studenti.

Sta per giungere in dirittura darrivo la riforma della riforma degli ordinamenti didattici universitari, del cosiddetto 3+2. Argomento complesso, per iniziati: la gran parte dei docenti universitari non sarebbe capace di spiegare tecnicamente quali sono le caratteristiche del sistema introdotto nel 1999 dal governo di centrosinistra (al quale va comunque riconosciuto il merito di aver tentato di riformare un sistema che era ancora ottocentesco).

Ci si aspetterebbe perciò che la riforma che sta per arrivare risolva larcano, renda intellegibile ai più lordinamento didattico delluniversità. Niente affatto, il riformatore di centrodestra, pur partendo da buone intenzioni, nel correggere il riformatore di centrosinistra, ricade nei medesimi errori.

Errori risolti da strategie incongruenti

La riforma ha ununica vera novità: cerca di sciogliere il perverso intreccio che il legislatore precedente aveva disegnato tra la laurea di primo livello e la laurea di secondo livello.

Nel sistema attuale, di fatto, se uno studente segue un corso di laurea x in una data università, è costretto a restare nello stesso ateneo per la laurea specialistica di riferimento. Se vuole cambiare sede, infatti, si trova quasi certamente con un debito formativo. Può sembrare incredibile, eppure è così. Non solo: un laureato in storia può iscriversi alla laurea specialistica in sociologia solo se colma i debiti formativi (il che significa fare esami in più rispetto a un laureato triennale in sociologia). Una cosa incomprensibile in qualsiasi sistema, e in particolare nei paesi anglosassoni, in cui lordinamento universitario su due livelli è ampiamente consolidato da decenni.

Il ministro cerca di porre rimedio a questo errore (che, a onor del vero, è stato aggravato dalla naturale tendenza delle corporazioni accademiche allautoreferenzialità). Lintento è encomiabile, ma la strategia totalmente incongruente.

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Infatti, la logica di funzionamento del sistema resta la stessa. Resta il terrificante labirinto normativo: gli ordinamenti nazionali (le famigerate classi di laurea), i regolamenti dei corsi di laurea, il sistema dei crediti più arlecchinesco del mondo. Il peso dei crediti (lunità di misura del lavoro dello studente) varia da ateneo ad ateneo, da facoltà a facoltà e, dentro la medesima facoltà, da corso di laurea a corso di laurea. Può variare allinterno del medesimo corso di laurea.

Resta la valutazione di congruità formale che il Consiglio universitario nazionale deve dare affinché un corso di laurea possa essere attivato. Una procedura ridicola che impone di rispettare parametri formali, senza preoccuparsi se la proposta è culturalmente inconsistente. Resta lenfasi per la certificazione formale che prescinde dalla sostanza delle proposte curricolari. Resta il castello di carta e di procedure informatiche per ladempimento formale delle tante, troppe, regole. Resta lattuale impianto che ha costretto docenti e personale amministrativo a perdere tempo in attività che vanno contro il buon senso comune e che offenderebbero il senso di responsabilità del buon padre di famiglia. Un impianto che dovrà essere rifatto, seppur eguale a se stesso, per attuare la riforma della riforma. Resta, insomma, il disegno tecnocratico e razional-sinottico che caratterizza la riforma del centrosinistra.

Anche alluniversità “il diavolo sta nei dettagli”

Il riformatore di centrodestra, invece di governare il sistema, si limita a cambiare alcune regole, confondendo il legiferare con il governare – attività più complessa, articolata e professionale, per la quale serve coraggio, competenza, fantasia e lungimiranza.

Non so se il ministro Moratti si rende conto di tutto questo. Non credo.

Si è affidata, anche lei, a un gruppo di professori universitari, certo prestigiosi, assumendo che i professori universitari capiscano e sappiano, per definizione, di queste cose. Daltra parte, è circondata da una struttura ministeriale totalmente incompetente. Una brutta situazione. Probabilmente, le hanno spiegato che con questa riforma cambierà luniversità. Probabilmente, nessuno le ha fatto presente alcuni piccoli dettagli che più di tante norme influenzano il rendimento delle università.

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Nessuno le avrà spiegato il perverso funzionamento del sistema dei crediti; nessuno le avrà spiegato che se gli ordinamenti nazionali vengono fatti da professori universitari, il risultato è che essi vengono costruiti sulla base dei rapporti di forza tra le discipline, non sulla base di un progetto culturale e formativo di alto e ampio livello; nessuno le avrà spiegato che ancora oggi le lezioni cominciano quando le iscrizioni non sono ancora chiuse (come puoi programmare lattività didattica in modo decente cinque mesi prima si conoscere il numero degli iscritti?); nessuno le avrà spiegato che, viste le regole vigenti, uno studente che deve ancora laurearsi (mancandogli, ad esempio, ancora due esami e la prova finale) può iscriversi alla laurea specialistica; nessuno le avrà spiegato quanta fatica abbiano fatto le università e, soprattutto, chi dentro le università era favorevole alla riforma del 3+2, ad attuare un sistema così farraginoso e assurdo.

Così come nessuno avrà avuto il coraggio di dire al ministro che le cose si possono fare anche in altro modo; che forse non c‘è bisogno di arzigogolate tabelle nazionali per assicurarsi che le università insegnino cose sensate e decenti; che in altri sistemi i corsi di studio vengono valutati, prima di essere attivati, non sulla base delladerenza a criteri formali, ma sullanalisi delle reali capacità di offrire i contenuti formativi proposti; che il sistema dei crediti serve ad assicurare trasparenza e a incentivare la mobilità degli studenti. Nessuno le ha detto che non c‘è un modo solo per fare le cose, per fare luniversità.

Forse, il ministro dovrebbe cominciare a porsi il problema del perché nessuno le abbia detto queste cose.

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