Gli studenti che, in mancanza di altri mezzi, si affidano ai contatti personali o alle agenzie rischiano di trovare un lavoro al di sotto delle loro competenze. Mentre quelli che accedono a un’occupazione tramite un tirocinio o grazie a una segnalazione da parte dell’università hanno una migliore probabilità di essere inseriti a un livello professionale adeguato. E’ quindi necessario rendere più fluido e trasparente il mercato del lavoro, affinché la carenza di informazione non vada a colpire i soggetti più deboli.

Dati Istat relativi all’Italia nell’anno 2001 mostrano che il 33 per cento dei laureati, a tre anni dal conseguimento del titolo di studio, svolge un lavoro per il quale la laurea non è considerata un elemento necessario. Questo dato suggerisce la presenza di una quota di lavoratori impiegati al di sotto del loro livello d’istruzione ufficiale, principalmente a causa di una carenza di altre competenze, di una qualità scadente della loro formazione o di un inserimento inadeguato nel mercato del lavoro.

Cos’è la sovra-istruzione?

La sovra-istruzione non è un fenomeno sconosciuto ad altri paesi, vi sono infatti molti studi che riguardano gli Stati Uniti, l’Olanda e il Portogallo, solo per citarne alcuni. (1) Ma i dati relativi alle diverse nazioni non sono comparabili, perché la consistenza di questo fenomeno dipende in modo considerevole dalla definizione del concetto. Un conto è affermare che una certa percentuale di lavoratori è stata assunta senza la richiesta esplicita del titolo di studio che possiede, un altro è dire che questa ritiene di possedere un livello d’istruzione eccessivo rispetto al contenuto delle propria occupazione. Si ottengono risultati differenti anche nel caso in cui si definiscano come sovra-istruiti i lavoratori con un grado d’istruzione superiore alla media di quello dei loro colleghi, invece di paragonarlo con quello reputato necessario per svolgere una determinata professione. Il 33 per cento dei laureati italiani potrebbe quindi essere stato assunto senza la richiesta di una laurea, ma utilizzare in via informale e profittevole per i datori di lavoro le competenze sviluppate nel corso degli studi universitari. (2) La tabella mostra i dati relativi ai laureati dell’Università Statale di Milano nell’anno accademico 1996-1997, a quattro anno di distanza: i tre valori confermano da una parte la duttilità del concetto di sovra-istruzione e dall’altra la rilevanza del fenomeno.

 

% sovra-istruiti tra i

laureati/occupati

laurea non (formalmente) richiesta

31,4%

laurea ritenuta eccessiva

20,1%

inutilità studi universitari

42,8%


Istruzione e posto di lavoro

Gli studi condotti sul tema degli sbocchi professionali individuano una serie di cause che concorrono a determinare l’assegnazione dei posti di lavoro agli individui. Questi fattori riguardano aspetti intrinseci dell’istruzione (come il tipo e l’indirizzo di scuola frequentata, il superamento della durata legale del corso di studi e i voti riportati) e aspetti complementari (esperienze lavorative, di stage, all’estero e così via) o strettamente legati alle caratteristiche della persona (genere, background socio-culturale, eccetera). Ma vi sono anche altri elementi che possono ostacolare o favorire un’ulteriore acquisizione di competenze e professionalità, come il contratto di assunzione, il settore d’impiego o il canale di ricerca del lavoro (formale, informale, interinale eccetera). Poiché l’istruzione e il complesso delle conoscenze degli individui è un elemento determinante per ottenere un lavoro coerente con il proprio percorso formativo, occorre individuare quali fattori permettano un’acquisizione di competenze e un inserimento nel mondo del lavoro di “serie A” e quali invece conducano a un esito di “serie B”. La formazione di tipo liceale certamente avvantaggia gli studenti che proseguono gli studi a livello terziario. Il dubbio potrebbe sorgere nel caso si volesse considerare se, ad esempio, la frequenza di una scuola tecnica rispecchi l’abilità dello studente o se invece sia frutto di una scelta della sua famiglia di provenienza. Se la competizione per i posti di lavoro si basa sulle caratteristiche dei partecipanti, bisognerebbe anche chiedersi come gli individui possano partecipare a tale competizione. Vi sono abbastanza informazioni circa i posti di lavoro vacanti e i requisiti per accedervi? O meglio, le informazioni per accedere ai lavori “più prestigiosi” sono più scarse?

Una questione di trasparenza

È cruciale dunque il problema della trasparenza dei mercati del lavoro. Gli studenti che, in mancanza di altri mezzi, si affidano ai contatti personali rischiano di trovare un lavoro al di sotto delle loro competenze e lo stesso vale quando si faccia ricorso ad un’agenzia (di collocamento o interinale che sia). Mentre quelli che accedono a un’occupazione tramite un tirocinio o grazie a una segnalazione da parte dell’università hanno una migliore probabilità di essere inseriti a un livello professionale adeguato. In sostanza, le persone in possesso di maggiori informazioni sull’accesso alle professioni di “serie A” sono favoriti nel loro percorso professionale, se non in modo totalmente indipendente dalla qualità della loro preparazione, almeno in modo non proporzionale. Il problema della sovra-istruzione non rappresenta necessariamente un fallimento dell’istruzione. È possibile che il background socio-culturale rivesta una particolare importanza, sebbene indiretta, nell’allocazione dei posti di lavoro. In primo luogo, il sostrato culturale gioca un ruolo decisivo nel determinare la scelta della scuola secondaria e l’acquisizione di altri elementi extra-curricolari (quali le esperienze di studio all’estero o di stage). Inoltre, può supplire alla carenza d’informazione circa le (migliori) opportunità d’impiego. Sia dal punto di vista dell’efficienza che dell’equità tale risultato del mercato del lavoro non sembra ottimale e sarebbe dunque opportuno intervenire. Ad esempio istituendo un biennio comune d’istruzione secondaria per ridurre il divario esistente tra la formazione liceale e quella orientata all’occupazione, come era previsto nel progetto di riforma Berlinguer-De Mauro. Si potrebbe altresì ripensare la struttura delle borse di studio: quelle per l’estero sono fissate in cifra fissa per tutti i paesi e svantaggiano i figli delle famiglie meno abbienti, che non possono finanziare in proprio i costi aggiuntivi dei programmi di scambio. È inoltre necessario potenziare i legami tra il mondo universitario (o scolastico) e quello lavorativo per rendere più fluido e trasparente il mercato del lavoro, affinché la carenza di informazione non vada a colpire i soggetti più deboli, magari più validi e preparati di altri.

(1) Si vedano ad esempio Sicherman N. 2003, Overeducation in the Labor Market, “Economics of Education Review”, 22, pp.389-394; Borghans L., de Grip A. 2000, The Overeducated Worker?, Northampton: Edward Elgar Publishing e Kiker B.F., Santos M., Mendes de Oliveira M. 1997, Overeducation and Undereducation: Evidence for Portugal, “Economics of Education Review, 16(2), pp.111-125.

(2) Per il caso italiano si veda Di Pietro G., Urwin P. 2004, Education and Skills Mismatch in the Italian Graduate Labour Market, “Oxford Economic Paper”, in corso di pubblicazione.

 

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