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Luci e ombre della borsa continua del lavoro

La borsa continua nazionale del lavoro è uno strumento di trasparenza dell’intero mercato. Sfruttando le tecnologie informatiche, dovrebbe ridurre al minimo le asimmetrie informative Mancano però informazioni puntuali sui volumi di transazioni che passano per il sistema, perché non è stato predisposto, almeno a livello nazionale, un sistema di monitoraggio. E restano inattuate le funzionalità che consentirebbero di raccordarsi con l’attività dei servizi pubblici per l’impiego e che potrebbero attrarre anche gli altri intermediari e i datori di lavoro.

Un’importante novità della legge Biagi è l’istituzione della borsa continua nazionale del lavoro, come sviluppo del mai realizzato sistema informativo lavoro.

I servizi pubblici per l’impiego

Già negli anni Ottanta nel servizio pubblico dei paesi più avanzati si utilizzavano tecniche di ricerca informatizzata per facilitare l’abbinamento tra richieste di personale e curricula di possibili candidati. Nel decennio successivo, vennero messe a diretta disposizione degli utenti che, attraverso postazioni dedicate, potevano svolgere autonomamente le ricerche. Nel 2001, quando ormai anche da noi si diffondeva l’uso di internet nella ricerca di lavoro, in ambito europeo solo l’Italia era priva di un sistema informatico a supporto delle attività di job matching dei servizi pubblici per l’impiego (Spi). (1)
Beninteso, le difficoltà dei Spi non si limitano solo a questo aspetto. Sulla base dei dati della nuova indagine Istat sulle forze di lavoro, la tabella seguente evidenzia (aggiornando vecchie statistiche riferite a quasi quindici anni fa e basate sui dati dell’indagine sulle famiglie della Banca d’Italia) che ad esempio solo poco più del 2 per cento dei nuovi lavori può essere fatto risalire a un’attività di job brokerage dei servizi pubblici per l’impiego. (2)

Tav. 1 Percentuale di lavoratori che dichiarano di aver trovato un lavoro tramite i Spi.

2005 (media primo semestre)

Totale

2,3

  

Centro-Nord

1,9

Mezzogiorno

3,0

  

tempo determinato

4,0

tempo indeterminato

1,8

  

PA, istruzione, sanità

4,6

Industria della trasformazione

2,2

Agricoltura, caccia e pesca

4,3

Altro

1,7

Nota: Si considerano i lavoratori, occupati nel primo semestre 2005, che abbiano trovato il lavoro corrente nei passati 18 mesi
Fonte: S. Pirrone e P. Sestito, Disoccupati in Italia: tra Stato, Regioni e cacciatori di teste, in via di pubblicazione, il Mulino

La borsa continua nazionale del lavoro definita dal legislatore è però qualcosa di più di un semplice strumento a disposizione dei Spi. Così come del resto accadeva per il vecchio Sil, è infatti immaginata come strumento di trasparenza dell’intero mercato. Si tratta dunque di una infrastruttura che, sfruttando le tecnologie informatiche, dovrebbe ridurre al minimo le asimmetrie informative esistenti sul mercato del lavoro, consentendo una circolazione pressoché universale delle informazioni. In questa prospettiva, e a differenza del sistema informativo lavoro, la borsa continua del lavoro si configurerebbe quale un bene pubblico – un bene, cioè di cui tutti gli operatori si avvantaggerebbero senza però avere un interesse a sostenerne i costi – e non un bene dell’operatore pubblico.

A che punto siamo

Qual è lo stato di effettiva implementazione di questo ardito disegno? A ormai otto anni dalle prime previsioni normative sul vecchio Sil, qualcosa si è finalmente mosso. Rimane tuttavia ancora difficile giudicare come il sistema funzioni, ché l’applicazione attualmente on line (http://www.borsalavoro.it) è definita sperimentale. Si tratta inoltre di un sistema esplicitamente indicato come “federato”, in cui le diverse parti (i nodi regionali, come li definisce la legge) procedono a velocità diverse. Mancano informazioni puntuali sui volumi di transazioni che passano per il sistema, perché non è stato predisposto, almeno a livello nazionale, un sistema di monitoraggio. Qualcosa di più si sa sul nodo regionale della Lombardia, il più consolidato: i primi dati (alla metà del 2005) mostravano un sistema ancora in fase di implementazione, e con un popolamento costante dell’archivio da parte di coloro che inseriscono direttamente dalla rete le proprie informazioni, mentre da parte degli intermediari (pubblici e privati) il caricamento di curricula e vacancies non avviene ancora in continuo, ma per riversamenti successivi, segnale del fatto che lo strumento non è ancora a regime. (3)
Sulla base delle primissime evidenze, sono quattro le principali osservazioni che si possono fare.
Per taluni aspetti, la Bcnl, nel tentativo di costituire la “piazza virtuale” in cui tutte le transazioni nel mercato del lavoro debbano avvenire, rischia di essere piegata a riprodurre il vecchio modello del monopolio pubblico, che ambiva a coprire tutto il mercato, salvo poi essere preda di comportamenti elusivi pressoché universali. La previsione dell’obbligo di connessione alla Bcnl per gli intermediari si presta in effetti a essere utilizzata come una clava per “espropriare” gli intermediari privati delle informazioni in loro possesso da quanti, e non sono pochi, tuttora rimpiangono il vecchio modello pubblicistico. Ove l’estensione universalistica della Bcnl riuscisse a basarsi su questa minaccia più che sulla convenienza a fornire i propri dati, si avrebbero effetti ambigui sul sistema.
Buona parte del successo di un operatore privato deriva proprio dal vantaggio informativo che questi acquisisce: l’eliminazione di tutto ciò rischierebbe di far diminuire l’incentivo a raccogliere quelle informazioni. Per converso, va osservato che il tutto potrebbe indurre una competizione fondata sulla fornitura di servizi a maggior valore aggiunto, quali la capacità di decifrare il mercato e quella di selezionare adeguatamente il personale in mezzo a una mole di curricula disponibili decisamente superiore a quella esistente in precedenza. Nonché, per i profili professionali più scarsi, quella di attirare il personale offrendo servizi di orientamento, formazione e consulenza.
Al momento attuale, sembra si sia ben lontani da questa copertura universalistica e da un pervasivo enforcement dell’obbligo di interconnessione. Inoltre, il sistema finora sviluppato non pare proprio atto a canalizzare le informazioni a vantaggio dell’intermediario pubblico, ché, dal punto di vista tecnologico e da quello sostanziale e giuridico, si tratta sinora d’uno strumento scollegato dal resto dell’attività dei servizi pubblici per l’impiego e dall’utenza privilegiata degli stessi (i “disoccupati” in senso amministrativo). Il quadro del sistema informativo a diretto supporto dei Spi versa ancora in una situazione di grave carenza, come è desumibile dalle recenti rilevazioni del ministero del Lavoro. (4)
È scarsa, ed estremamente differenziata sul territorio nazionale, la capacità di dar conto della propria utenza e delle azioni avviate nei suoi confronti.
Resta anche inattuata la funzionalità di certificazione delle informazioni contenute nella Bcnl prefigurata dalla riforma. Una funzionalità che sarebbe particolarmente utile, ad esempio, nel caso dei benefici (soprattutto contributivi) previsti dalla normativa per l’assunzione di questa o di quella categoria di soggetti. È qui, più che nell’uso come strumento di matching dell’operatore pubblico, che la Bcnl potrebbe ben raccordarsi con l’attività ordinaria, amministrativa e di servizio, dei servizi pubblici per l’impiego e potrebbe attrarre, più che obbligare a connettersi, gli altri intermediari e i datori di lavoro.

*Le opinioni qui espresse sono esclusivamente personali e non coinvolgono l’Istituzione di appartenenza.

(1) Gugerbauer I., M. Natter e I. Naylon, Self-Service Systems in European Public Employment Services, ÖSB-Unternehmensberatung Gesellschaft m.b.H., Vienna, luglio 2001.
(2) Una percentuale più elevata si raggiunge nella Pa, ma presumibilmemte per via dell’operare del meccanismo burocratico di cui all’art. 16 della legge 56 del 1987 (molto simile al vecchio collocamento numerico).
(3) Buonanno P e A. Gaj (2005), Job search e matching: il modello di Borsa Lavoro Lombardia, paper presentato al XX Convegno nazionale di economia del lavoro.
(4) Vedi ministero del Lavoro e delle politiche sociali, Aggiornamento del quadro informativo sulle politiche del lavoro, novembre 2005 (reperibile all’indirizzo internet http://www.welfare.gov.it/statistiche).

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Per un pugno di antivirali

  1. Simone Cappelli

    Sono il responsabile dei servizi per l’impiego della Provincia di Prato. Sono quindi un addetto ai lavori. Penso che l’idea di una borsa telematica del lavoro a livello nazionale sia semplicemente inutile. Questo perché per rendere leggibile da tutti i “nodi” territoriali i curricula contenuti sarebbe necessario utilizzare un sistema di classificazione delle esperienze professionali molto generico. E quindi inservibile. Mi spiego: nel nostro distretto esiste la figura professionale detta “dispositore tessile”. A Prato, ma solo a Prato, è chiaro a tutti cosa c’è dietro questa etichetta, in termini di competenze e conoscenze. Già a Firenze non significa nulla. E se semplifico questa qualifica (assimilandola al magazziniere, per esempio) per renderla comprensibile altrove, ne cancello gli specifici requisiti professionali. Così, ipotetici magazzinieri fiorentini potrebbero ritenere di essere in possesso di requisiti che invece non hanno. Domanda: a che serve uno strumento del genere?

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