Nel campionato italiano esiste un equilibrio competitivo alquanto modesto. Ma nel calcio il monopolio non paga, tende ad aver effetti sistemici destabilizzanti. Se si riduce l’interesse, si riducono anche le risorse. E il passo successivo potrebbe essere la formazione di leghe alternative, come è infatti avvenuto negli Stati Uniti. Ciò che serve è un meccanismo chiaro, trasparente, predefinito e condiviso di distribuzione degli introiti del calcio tra le diverse squadre, che appare poco dipendente dalle modalità di vendita dei diritti televisivi. Il calcio italiano si sta americanizzando. Una tale evoluzione può essere desunta osservando il grado di competitive balance del campionato italiano e non sorprende chi conosce le vicende degli sport professionistici americani baseball, football, basket. A differenza di altri paesi europei, nel campionato italiano esiste un equilibrio competitivo alquanto modesto. Da noi, e in Spagna, vincono sempre le stesse due, tre squadre, mentre nel Regno Unito, in Germania e in Francia la situazione è più equilibrata. Equilibrio in campo Questo equilibrio si può misurare in diversi modi, ma i vari test indicano un risultato alquanto sicuro: il grado di monopolio è elevato, comunque più alto che altrove e in crescita negli ultimi venti anni. Il confronto con gli Usa Più le grandi squadre si rafforzano, più aumenta lo squilibrio; maggiore il grado di concentrazione delle risorse a favore delle squadre dominanti, peggiore risulta lequilibrio competitivo. Laumento del grado di monopolio, con linteresse degli spettatori, tende a ridurre anche il volume di risorse che possono affluire al calcio. Esiste un limite fisiologico, oltre il quale si uccide il calcio. È facile prevedere che la situazione italiana possa arrivare presto a un punto di rottura. Stiamo infatti già sperimentando una drammatica riduzione delle risorse per il calcio. Il passo successivo potrebbe essere la rottura della Lega attuale e la formazione di leghe alternative, come è infatti avvenuto negli Stati Uniti.
Il vantaggio del monopolio, comprensibile in qualsiasi mercato e industria, non si applica al calcio. È comprensibile che unimpresa cerchi di acquisire potere di mercato e di dominare, a scapito dei concorrenti, per sfruttare gli ovvii vantaggi. Nel calcio invece il monopolio non paga, tende ad aver effetti sistemici destabilizzanti; più precisamente, oltre un certo limite crea seri problemi.
La specificità del calcio è linterdipendenza tra le diverse squadre, per cui le più forti hanno interesse che il gap con quelle deboli sia contenuto. Il “prodotto calcio” non è la singola partita, ma il campionato nel suo insieme, per cui se il grado di monopolio è troppo elevato è sicuro che vinca sempre la stessa squadra si riduce linteresse per levento complessivo (il campionato), per quelli singoli (le partite); e quindi anche la domanda di eventi televisivi, da stadio, la pubblicità, le sponsorizzazioni, e così via. È esattamente ciò che sta avvenendo in Italia. Sì, è vero, le ragioni della contrazione della domanda sono molteplici: violenza, stadi scomodi, prezzi elevati degli eventi. Ma se il Chievo e il Treviso sanno già in partenza che non potranno mai vincere niente, qual è linteresse per la partita o i benefici dellincertezza del risultato?
Esistono profonde differenze tra le leghe americane e quelle europee. Negli Stati Unitile, le leghe sono chiuse, è difficile essere ammessi, non esiste retrocessione né promozione, si usano vari vincoli amministrativi salary cap, rookie draft. Inoltre, le squadre possono spostarsi sul territorio, tanto che ricattano la città in cui giocano con la minaccia di trasferirsi altrove.
In Italia è una minaccia improponibile: lidea della Roma o del Napoli che giocano ad Ascoli o Milano fa sorridere. Daltra parte, le squadre più deboli potrebbero avere cospicui vantaggi dallorganizzazione di un campionato alternativo, tra provinciali, dove non vi sarà il grande evento, ma sicuramente la chance di giocare, competere e vincere de temps en temps.
Il passaggio a una vendita collettiva dei diritti da parte della Lega potrebbe aiutare questo progetto? Sì e no. Il problema degli sport americani è il potere di monopolio delle diverse leghe, il fatto che questi cartelli esercitano in modo spietato un potere di mercato con pratiche anticompetitive. Anche con la vendita individuale dei diritti è possibile immaginare un meccanismo chiaro e condiviso di redistribuzione delle risorse che mitighi il potere dei club più forti e aumenti il grado di competitive balance. E la definizione di un tale meccanismo è forse più facile allinterno di una gestione comune da parte della Lega: si può sfruttare lazione congiunta, vi sarebbero minori problemi di coordinamento, ma forse più collusione; e si potrebbe forse ricavare una rendita maggiore dagli operatori televisivi. In ogni caso, ciò che serve è un meccanismo chiaro, trasparente, predefinito e condiviso di distribuzione degli introiti del calcio tra le diverse squadre che appare poco dipendente dalle modalità di vendita dei diritti calcistici.
O si studiano e si introducono meccanismi di riequilibrio della forza relativa delle squadre nessuna deve dominare o stravincere oppure, oltre alla riduzione delle risorse, vi sarà unelevata instabilità degli assetti di governo del calcio. Strumenti utili, anche se in parte imperfetti, potrebbero essere un tetto alle risorse spendibili, un monte salari definito per i giocatori di ogni squadra (ad esempio, in relazione al fatturato), meccanismi di scelta inversa dei giocatori chi arriva ultimo sceglie per primo , insieme a formule di redistribuzione più o meno egualitarie. La riduzione del grado di monopolio è lunica soluzione per preservare linteresse nel gioco più bello del mondo.
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Massimo GIANNINI
Le vicende odierne spiegano il perché del grado di “monopolio” (concetto economico che i giudici stanno traducendo in termini legali…) è elevato e perché si rendono necessari meccanismi di riequilibrio della forza relativa delle squadre. Incluso ovviamente una sana gestione finanziaria dei clubs senza sussidi e falsi in bilancio…