La compravendita dei diritti televisivi per la trasmissione delle partite di calcio della serie A si dimostra sempre più sbilanciata a favore delle grandi squadre di calcio, penalizzando così la posizione finanziaria delle società medio-piccole. Un livello di disuguaglianza facilmente quantificabile dalle tecniche della teoria economica. Gli inviti a utilizzare criteri di mutualità non risolvono la situazione. Meglio sarebbe istituire una superlega europea, riservata ai club più forti. Permetterebbe di far rispettare salary cap e vincoli di bilancio.

La compravendita dei diritti televisivi per la trasmissione delle partite di calcio della serie A si dimostra sempre più sbilanciata a favore delle grandi squadre di calcio, penalizzando così la posizione finanziaria delle società medio-piccole. Il fenomeno sembra accentuarsi quando la contrattazione dei diritti può essere effettuata dalla singola squadra. Una distribuzione fortemente diseguale tra società sportive, oltre a creare fratture “istituzionali”, contribuisce a diminuire il livello della qualità di gioco e spettacolo delle partite.
Applicando semplici tecniche, utilizzate soprattutto in economia dello sviluppo per lo studio della distribuzione del reddito, è possibile quantificare il livello di disuguaglianza e verificare come, nel caso italiano, la disparità di trattamento sia molto elevata.
Il 18 gennaio il ministro delle Comunicazioni Mario Landolfi, in un comunicato congiunto con il sottosegretario ai Beni culturali e il presidente della Figc, ha espresso un invito per “[…] soluzioni che, anche attraverso nuovi criteri di mutualità, garantiscano il regolare svolgimento dei campionati, per rispondere positivamente alle aspettative degli appassionati e per consentire agli operatori dei media, che hanno acquistato i diritti, di poter rispettare la programmazione”. Tuttavia, la teoria economica applicata a dati del calcio italiano, mostra che tecniche di mutualità non garantiscono una compensazione delle disuguaglianze.

I diritti televisivi

La cessione della totalità dei diritti di trasmissione televisiva per le stagioni 2007-2008 e 2008-2009, attraverso qualsiasi piattaforma distributiva da parte della Juventus a Mediaset, ha innescato un vivace dibattito anche a livello politico. Da una parte si è sottolineata l’importanza del valore dell’’affare per la squadra torinese, dall’’altra le società di serie A più piccole temono di venire penalizzate dalle trattative individuali, perdendo sempre più potere contrattuale e vedendo, anno dopo anno, ridursi gli introiti da investire negli ingaggi.
Come ha osservato Marco Gambaro i diritti televisivi rappresentano la principale fonte di entrata per le squadre di serie A e sono stati oggetto di sopravvalutazione sia da parte degli operatori televisivi, sia dalle stesse società di calcio, che hanno trasferito le rendite agli stipendi dei propri giocatori. Una distribuzione ineguale delle entrate, derivante dai diritti televisivi, comporterebbe problemi rilevanti alla qualità del gioco. Le squadre più ricche attingerebbero a risorse sempre più elevate; il tutto con notevoli conseguenze a discapito delle società più piccole: se le “grandi” diventano sempre più forti il livello competitivo del campionato potrebbe risentirne, con risultati vieppiù scontati e privi di interesse.

Una questione di uguaglianza

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Utilizzando i dati riguardanti l’ammontare lordo delle entrate televisive criptate, che rappresentano più del 90 per cento delle entrate totali dei diritti Tv della serie A, è possibile costruire un indice di disuguaglianza. (1)
L’indice (detto di Gini) consente di misurare il livello di disuguaglianza per cinque sessioni di campionato, tenendo in considerazione anche la mutualità, vale a dire una forma di contributo teso a bilanciare le diversità di trattamento.

 

Campionato Indice di Gini (senza mutualità) Indice di Gini (con mutualità)
2000-2001 0.39 Nd
2001-2002 0.42 0.34
2002-2003 0.46 0.44
2003-2004 0.38 Nd
2005-2006 0.52 0.42

L’indice di Gini, che varia da 0 a 1, aumenta con il progredire di concentrazione della ricchezza.
Come si può osservare dalla tabella, già nel campionato 2005-2006, c’è stato un intervento del saldo di mutualità, che però ha permesso solo una lieve diminuzione di disparità tra le squadre.

Pertanto, il suggerimento del ministro sembra poco appropriato per trovare una soluzione a questo problema.
È inoltre interessante notare la distribuzione totale della ricchezza delle società. Purtroppo, i dati di bilancio delle società di calcio sono difficilmente accessibili, e il livello di disuguaglianza nella ricchezza delle società si può osservare solo utilizzando come variabile di misurazione il valore di cartellino dei giocatori in due campionati, il 2002-2003 ed il 2003-2004.

Campionato Indice di Gini (cartellino)
2002-2003 0.40
2003-2004 0.49

Anche in questo caso, il livello di disuguaglianza è elevato. Per dare un’idea, un paese con un indice di Gini superiore allo 0.4 è considerato fortemente diseguale (uno di questi, il Brasile, ha valori che, da fonti diverse, variano da 0.4 a 0.8).

La superlega europea

I numeri indicano una forte disparità di trattamento economico tra squadre, confermando le preoccupazioni dei presidenti di quelle più piccole.


Nella Nba, la lega che riunisce le squadre di basket americane, sono stati introdotti alcuni accorgimenti come il salary cap , che limita le spese in stipendi dei giocatori oltre a una determinata soglia, oppure il rookie draft, che permette alle squadre meno forti di avere la precedenza nella selezione dei giocatori che entrano nella lega (dall’università e dal resto del mondo). Tuttavia, come ha già osservato Garibaldi , queste strategie potrebbero funzionare solo con l’introduzione di una “Maastricht del pallone”, ossia con una regolamentazione a livello europeo. Sempre l’Nba ha adottato poi una soluzione tale da evitare ripercussioni sulla qualità del campionato: nel basket americano è stata introdotta una luxury tax per le squadre con stipendi dei giocatori sopra una certa soglia. Questa soluzione, però, darebbe notevoli problemi alle squadre italiane che competono a livello di Champions League, poiché stipendi inferiori spingerebbero i giocatori più bravi a spostarsi in altre nazioni dove non esistono né salary cap né rookie draft.
La teoria economica
spiega che solo il salary cap è una misura efficiente per riequilibrare le disuguaglianze tra squadre, mentre una maggiore mutualità per i diritti televisivi sarebbe inutile. (2) Le squadre più forti hanno molto spesso sede nelle città più popolate, dove i bacini di utenza (e quindi anche i possibili tifosi) sono più numerosi. Pertanto, anche se i diritti televisivi del campionato dovessero essere “spalmati” in modo completamente identico tra tutti, le distorsioni sarebbero ancora notevoli poiché le squadre che competono nella Champions League avrebbero sempre maggiori introiti (da maggiore pubblicità e da incassi degli stadi).
Una soluzione sarebbe quella di creare a livello europeo una lega di tipo americano, sul modello Nba, a cui solo le squadre più forti (e più sane dal punto di vista finanziario) possano partecipare. Le altre, le più piccole, sarebbero relegate in campionati a livello nazionale.
Solo in questo modo sarebbe possibile attuare il salary cap (evitando la concorrenza degli altri team europei) e si potrebbero far rispettare i vincoli di bilancio di molte società, che oggi si trovano in difficoltà a competere con squadre del calibro del Milan, della Juventus o del Real Madrid. Non è una soluzione di facile applicazione: l’esclusione di club più piccoli dalla Superlega probabilmente non sarebbe ben accolta dai tifosi. Tuttavia, a livello meramente economico, sarebbe l’unica via da seguire per evitare la bancarotta di molte società e ristabilire principi di mercato nel calcio.

(1) I dati utilizzati per le analisi provengono da varie edizioni de il Sole 24 Ore, la Repubblica e della Gazzetta dello Sport
(2) Fort, Rodney, e James Quirk, Cross-subsidization

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