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Pensioni contributive: come garantire la corrispettività

Aggiornare annualmente i coefficienti di conversione, come in Svezia, è il minimo che si possa fare per garantire il principio di corrispettività. Occorrono però ulteriori correttivi senza i quali i coefficienti resterebbero sopravvalutati. Per gli errori che derivano dal ritardo con cui sono approntate le tavole di sopravvivenza e dagli assestamenti cui sono soggette, le soluzioni sono da ricercare in collaborazione con l’Istat. L’errore da calcolo backward looking si elimina solo prevedendo in modo attendibile la sopravvivenza di ogni coorte.

Il principio di corrispettività, ovvero l’equivalenza finanziario-attuariale fra i contributi versati da attivo e le prestazioni godute da pensionato, è lo scopo fondamentale del modello Ndc (notional defined contribution) che in Italia fu riduttivamente chiamato ‘metodo contributivo’. Purché i contributi siano remunerati in base al tasso di crescita della loro base imponibile (e perciò anche del Pil in costanza delle quote distributive) è dimostrato che la corrispettività garantisce, a sua volta, l’autosufficienza della ripartizione e cioè l’uguaglianza fra la spesa e il gettito contributivo. (1)
La corrispettività è perlopiù affidata ai coefficienti di conversione (differenziati per età) purché essi siano correttamente regolamentati. (2) In realtà, i coefficienti italiani sono affetti da una pluralità di errori per eccesso. Poiché la pensione è il prodotto del coefficiente per il montante contributivo, le sopravvalutazioni si riflettono, tal quali, sulla rendita. Limitatamente al sessantesimo anno d’età, il quadro 1 indica i valori che ciascuna sopravvalutazione ha assunto nel primo decennio della riforma (1996-2005). Nonostante che la formula contributiva abbia finora trovato scarsa applicazione, l’esercizio è ugualmente utile perché getta luce su quanto, in assenza di correzioni, potrà sistematicamente accadere in futuro. Gli errori riguardanti le altre età ammesse al pensionamento sono quantificati (non più in dettaglio) nel quadro 2.

Sopravvalutazione da assestamento

Un primo errore di sopravvalutazione riviene dal fatto che la tavola di sopravvivenza del 1990 era ancora provvisoria quando fu usata, nel 1995, per calcolare il coefficiente di conversione. Nella forma definitiva oggi disponibile, “assestata” dopo le risultanze del censimento del 1991, la tavola reca tassi di sopravvivenza superiori a quelli in un primo momento stimati dall’Istat. Il coefficiente ricalcolato dagli scriventi sui nuovi tassi è risultato di mezzo punto inferiore (prima riga del quadro 1).

Sopravvalutazione da ritardo quinquennale

Quand’anche calcolato sulla sopravvivenza del 1990 perfettamente assestata, il coefficiente avrebbe pur sempre portato sulle spalle una ‘obsolescenza’ di cinque anni. Non così se la sopravvivenza fosse rilevata in tempo reale. In tal caso, sarebbe stato possibile ottenere un coefficiente perfettamente aggiornato utilizzando la tavola di sopravvivenza del 1995 (approntata nel 1998 e successivamente assestata dopo il censimento del 2001). Calcolato dagli scriventi, tale coefficiente è risultato del 3,1 per cento inferiore a quello basato sulla definitiva tavola del 1990. Si configura perciò un altro e più rilevante errore di sopravvalutazione (seconda riga del quadro 1).

Sopravvalutazione da revisione decennale

Benché inizialmente aggiornato, il coefficiente sarebbe tuttavia invecchiato nel corso del decennio di validità. Tale progressiva obsolescenza configura un terzo errore di sopravvalutazione, non più costante ma crescente (terza riga del quadro1). (3) L’errore va dallo 0 per cento per i pensionati del 1996 a valori intorno al 4 per cento per i pensionati dal 2002 al 2005. (4)

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Sopravvalutazione da calcolo backward looking

Infine, ancorché aggiornato ogni anno in base alla sopravvivenza dell’anno precedente, il coefficiente di conversione sarebbe pur sempre rimasto di tipo backward looking, e cioè calcolato non sulla effettiva sopravvivenza, sconosciuta ex ante, della coorte cui è applicato, bensì su quella, rilevata ex post, di coorti precedenti. Ad esempio, il coefficiente del 2005 non avrebbe potuto giovarsi dei tassi, ancora indisponibili, con cui i sessantenni di quell’anno, nati nel 1945, sono sopravvissuti a 61 anni nel 2006 e sopravvivranno a 62 nel 2007, a 63 nel 2008, a 64 nel 2009, e così via. In loro vece, sarebbero stati usati gli ultimi tassi rilevati, alle medesime età, per le coorti precedenti. In particolare, se (come in ipotesi) la sopravvivenza fosse rilevata senza ritardi, ai nati nel 1945 sarebbero stati imputati i tassi con cui nell’anno 2004 (ultimo trascorso) i nati nel 1944 sono sopravvissuti a 61 anni, i nati nel 1943 a 62, i nati nel 1942 a 63, e così via, fino al tasso con cui i nati nel 1904 sono sopravvissuti a 100 anni.
Questa crescente obsolescenza dei tassi attribuiti alle età che seguono il pensionamento genera il più rilevante fra gli errori di sopravvalutazione. Per individuarne la misura, il coefficiente backward looking calcolato sulla tavola di sopravvivenza dell’anno che precede il pensionamento, è stato confrontato con quello forward looking calcolato su una stima dei tassi di sopravvivenza propri della coorte di riferimento, che gli scriventi hanno derivato dalle proiezioni Istat della popolazione italiana al 2050. (5) La quarta riga del quadro 1 espone le differenze ottenute. Si noti che la sopravvalutazione da calcolo backward looking decresce nel tempo sol perché l’Istat prevede che la crescita della sopravvivenza sia destinata ad attenuarsi. Esercizi previsionali diversamente orientati generano trend diversi. I recenti progressi in campo bio-medico non escludono che la vita umana sia alle soglie di balzi in avanti altrettanto significativi come quelli in passato generati dalla scoperta della penicellina.

L’errore totale

La quinta e ultima riga del quadro reca la sopravvalutazione totale di cui hanno beneficiato i sessantenni (in verità molto pochi) cui, nel decennio analizzato, è stata liquidata una pensione (almeno in parte) contributiva. (6) La sopravvalutazione va dal 9 per cento per i pensionati del 1996 al 12,3 per cento per i pensionati del 2005. Per le altre età di pensionamento, il quadro 2 conferma tali ordini di grandezza. (7)

I correttivi

L’errore da calcolo backward looking può essere eliminato solo prevedendo attendibilmente la sopravvivenza di ogni coorte. La revisione annuale dei coefficienti rimuoverebbe l’errore indicato sulla terza riga, destinato, invece, ad ingigantirsi ove le revisioni fossero ulteriormente diradate. Infine, per porre rimedio agli errori “tecnici” indicati sulle prime due righe, derivanti dal ritardo con cui sono approntate le tavole di sopravvivenza e dagli assestamenti cui sono soggette le tavole già prodotte, occorrono soluzioni da ricercare in collaborazione con l’Istat.
In assenza delle correzioni indicate, resterebbero pregiudicati il principio di corrispettività e perciò anche l’autosufficienza del sistema.


(1)
Vedi S. Gronchi e S. Nisticò, “Theoretical foundations of pay-as-you-go defined-contribution pension schemes” in corso di pubblicazione su Metroeconomica. La nuova dimostrazione di Gronchi-Nisticò è più generale di quella offerta dagli stessi autori in Fair and sustainable pay-as-you-go pension systems: theoretical models and practical realizations, Cnel, Quaderno n. 27 del 2003 in quanto evita l’ipotesi di crescita costante della produttività.
(2) La corrispettività è anche affidata al meccanismo di indicizzazione. La riforma Ndc italiana non prevede un meccanismo appropriato. Vedi, in proposito, S. Gronchi (1996), “Sostenibilità finanziaria e indicizzazione: un commento alla riforma del sistema pensionistico”, Economia italiana.
(3) Per ogni anno del decennio (ad esempio, il 2003) la sopravvalutazione indicata nella terza riga della tavola 1 è lo scarto percentuale fra il coefficiente calcolato sulla tavola dell’anno precedente (nell’esempio, il 2002) e quello calcolato sulla tavola di sopravvivenza del 1995. La compilazione della riga ha quindi richiesto l’uso delle tavole di sopravvivenza dal 1995 al 2004, l’ultima delle quali non è ancora disponibile. Per colmare la lacuna, si è fatto riferimento alle tavole previsionali che l’Istat utilizza per le proiezioni demografiche. Poiché la prima di queste è relativa al 2005, la sopravvivenza del 2004 è stata derivata dagli scriventi per semisomma del 2003 e del 2005.
(4) La sopravvalutazione da revisione decennale (3,8 per cento) di cui beneficiano i pensionati del 2004 è sensibilmente inferiore a quella (4,3 per cento) goduta dai pensionati del 2003. Il fenomeno è spiegato dalla accidentale riduzione subita dalla sopravvivenza nel 2003 a causa delle condizioni climatiche particolarmente sfavorevoli. L’episodio, anche se infrequente, suggerisce che per i coefficienti di conversione sono necessarie forme di ‘destagionalizzazione’ paragonabili a quelle con cui la riforma ‘stabilizzò’ il rendimento assumendolo uguale alla media mobile quinquennale dei tassi di crescita del Pil (anziché all’ultima crescita osservata). Occorre, però, evitare soluzioni che accrescano l’obsolescenza del coefficiente.
(5) Distintamente per sesso, alla stima si è pervenuti ‘percorrendo in diagonale’ la matrice ottenuta affiancando le colonne dei tassi di sopravvivenza relativi agli anni dal 1995 in poi. Per gli anni fino al 2003 compreso, si sono utilizzate le colonne dei tassi ex post già rilevati dall’Istat; per gli anni restanti si è fatto ricorso alle colonne dei tassi ex ante previsti dall’Istituto ai fini delle proiezioni demografiche. A chi va in pensione a 60 anni nel 2005, sono stati così imputati, nell’ordine, i tassi di sopravvivenza che, nella matrice, compaiono:
· all’incrocio della riga intestata all’età 60 con la colonna intestata all’anno 2005,
· all’incrocio della riga intestata all’età 61 con la colonna intestata all’anno 2006,
· all’incrocio della riga intestata all’età 62 con la colonna intestata all’anno 2007,
e così via.
(6) Il premio totale si ottiene per composizione (non per somma) di quelli parziali.
(7) Il quadro evidenzia che l’errore (totale) tende a diminuire con l’età. Il fenomeno è ascrivibile alla nota ‘scatolarizzazione’ della sopravvivenza.

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Sommario 20 gennario 2007

  1. fabrizio vignali

    Lei sostiene l’importanza delle correzioni ai coefficienti di conversione per rendere autosufficiente il sistema.Bene.Ma il nodo cruciale come lo risolviamo?, ovvero le pensioni da fame derivanti dal contributivo cos’ì com’e’..In Svezia gli stipendi e perciò anche i contributi previdenziali sono come i nostri?.

    Cordialmente Vignali Fabrizio.

    • La redazione

      Le pensioni ‘da fame’ non sono colpa del modello NDC ma dei mutamenti demografici in atto (allungamento della vita e calo delle nascite) i quali aumentano il dependancy ratio (pensionati/lavoratori) e costringono a ‘compensare’, per non accrescere la pressione contributiva, riducendo il replacement cost (pensione media/salario medio). La riduzione del secondo rapporto è evitabile prevenendo l’aumento del primo. Allo scopo, occorre elevare l’età media di pensionamento oltre che regolare i flussi migratori e incentivare la fertilità. Il modello NDC si limita ad esplicitare il trade off fra età e importo della pensione, lasciando ai lavoratori la libertà di risolverlo a loro piacimento. Faccio infine notare che la pensione contributiva è certamente diversa da quella retributiva per chi va in pensione a 57 anni, ma è simile per chi va in pensione a 65. Ancor più lo sarebbe andando in pensione a 67 anni, com’è consentito fare nel paese da Lei ricordato.

  2. nicola s. (Roma)

    Complimenti per il contributo chiaro ed incisivo. Più di qualche perplessità, tuttavia, mi resta sull’abbandono del backward looking. Non sul piano teorico, dove la soluzione proposta da Gronchi-Manca è inoppugnabile, ma su quello concreto di gestione del sistema. Il backward looking ha il pregio (pur nell’errore) dell’oggettività dei dati storici; mentre il forward looking inevitabilmente coinvolge i tanti aspetti opinabili, perfezionabili, rivedibili di qualunque modello di previsione/proiezione. E se poi ex-post le previsioni/proiezioni si dimostrano mediamente sovra o sottostimate? Non c’è il rischio che il modello, il suo utilizzo e il suo utilizzatore diventino causa di polemiche e tensioni? Mi chiedo se non sia il caso di accettare l’errore del backward looking, minimizzandolo: da un lato, rivedendo su base annuale e con procedura automatica i coefficienti ‘Dini’ e, dall’altro, migliorando i tempi con cui sono approntate le tavole di sopravvivenza nella loro versione assestata. Dalla tavola Gronchi-Manca mi sembra di capire che questi interventi già permetterebbero di dimezzare o più che dimezzare l’errore complessivo del backward looking (la ‘sopravvalutazione totale’ nel Quadro 1). Complimenti ancora per la ‘luce’ gettata su questo non lieve aspetto tecnico del sistema pensionistico. Grazie

    • La redazione

      Il punto è delicato e mi stimola ad una risposta articolata. Dirò, in primo luogo, che anche in Svezia hanno ragionato come Lei. Uscita dalla porta, la previsione della sopravvivenza è però rientrata dalla finestra attraverso il ‘balance mechanism’, un sofisticato sistema di correzione del rendimento che previene una serie di rischi fra i quali, sotto sotto, quello della superlongevità.
      Vorrei fare due considerazioni, la prima delle quali è che solo nel primo pilastro la fiscalità può farsi carico della sottovalutazione della sopravvivenza. Ma come fare nel secondo (che la devoluzione ‘silenziosa’ del TFR rende per ora ‘semi obbligatorio’ e che, in prospettiva, ha buone chance di diventarlo totalmente) dove la capitalizzazione individuale è autentica (anziché virtuale) cosicché l’equivalenza fra rendite e contributi è condizione irrinunciabile sia per garantire la solvibilità degli annuity provider sia per evitare che i lavoratori siano espropriati di una parte dei loro contributi? E allora: è giustificata, e socialmente difendibile, la differenza di approccio (backward looking contro forward looking) fra due pilastri entrambi (prospetticamente) obbligatori? Vedo con favore l’ipotesi di una authority scientifica, autenticamente indipendente, deputata a fare previsioni neutrali che siano adottate dal primo pilastro e proposte come benchmark al secondo.
      L’altra considerazione riguarda l’importanza di attribuire ad ogni coorte, quando varca la fascia d’età pensionabile, cioè (allo stato) compie 57 anni, un vettore di coefficienti (uno per ciascuna età inclusa nella fascia) non più modificabile successivamente. In primo luogo perché il rischio di restare a lavorare invano (il delta di pensione sperato potrebbe essere, almeno in parte, annullato dalla riassegnazione di coefficienti minori) incentiverebbe al pensionamento precoce. In secondo luogo, perché a lavoratori della stessa coorte verrebbero implicitamente attribuite tavole di sopravvivenza diverse a seconda dell’età (anno solare) scelta per andare in pensione. Ne nascerebbe qualche profilo di ‘scarsa costituzionalità’ per violazione del principio di uguaglianza. Ma se siamo d’accordo che i coefficienti assegnati ad una coorte non sono più modificabili, questa è una ragione in più per pretendere che essi siano il risultato di uno sforzo revisionale (anche prudente). Diversamente, l’obsolescenza (portatrice di iniquità e squilibrio finanziario) regnerebbe sovrana.

  3. fabrizio vignali

    Fa sempre piacere capire come stanno le cose.Può continuare a farlo?.
    E’ pacifico che con l’aumento dell’età, la pensione sarà maggiore.Se non altro per il maggior montante contributivo su cui applicare i coefficienti e la disdicevole previsione di morte.Purtroppo li vogliono abbassare.Da quì l’idea che il problema principale per la P.A. sia la spesa e non quello previdenziale costituzionalmente sancito.Più della età pensionabile parlerei degli anni contributivi.Ci sono decine di migliaia di professionisti laureati che entrano alla dipendenza INPS/INPDAP a 28/30 anni.Applicando loro il contributivo, per avere almeno la pensione allo 80% dello stipendio dovrebbero lavorare fino a 76 anni circa.Applicando il principio fondamentale del contributivo vale a dire la corresponsione tra il dato e l’avuto,pur con le rivalutazioni e i coefficienti applicati, risulta che un professionista dipendente, che andrebbe in pensione con un importo pari allo 80% dello stipendio, pur vivendo fino a 80 anni non riavrà mai i “suoi”contributi versati.Qualcosa non và.
    Mi sembra di capire che volendo basare la sostenibilità del sistema sulla previsione alquanto aleatoria del rapporto pensionati/attivi, sia come accendere un mutuo senza la “probabile”certezza di poterlo pagare.Daltra parte il presupposto della ripartizione è quello di voler assicurare “a tutti i costi”pensioni più decenti.Sistema questo fallito.Perciò non crede che il nocciolo della questione sia sempre il solito?, ovvero con stipendi da 1000/1400 euro non si va da nessuna parte.Infine sulla solidarietà:quanto lo è lo Stato, nel gestire risorse, con i cittadini?

    cordialmente Vignali Fabrizio.

  4. Giancarlo Di Stefano

    Complementi per l’analisi approfondita u un argomento poco trattato.
    Ho però tre osservazioni da fare.
    Da un punto di vista individuale una revisone annuale dei coefficienti rende il sistema “a contribuzione indefinita ed a prestazione indefinita”. In altri termini il singolo non potrà mai avere la certezza di quale sarà la propria pensione. Da un punto di vista politico introdurre tale incertezza sul futuro non credo che sia pagante. Leggasi: aumento delle resistenze per qualunque modifica. Inoltre sempre dal punto di vista del singolo i mutamenti del coefficiente dovrebbero essere validi solo per il futuro e non per i contributi già riscossi ed “impiegati” dallo Stato. Se io Ti ho versato i contributi sulla base di un certo “contratto” tu stato non puoi modificarmeli che per il futuro.
    Terzo problema, se la revisione dei coefficienti riguarda tutti (ed anche i contributi versati in precedenza) e se stiamo assistendo ad una battaglia politica per il “gradone”..non sarebbe più opportuno, visto che si parla di Svezia, introdurre un sistema pro rata per tutti (anche quindi quelli con più di 18 anni di anzianità al 31.1.295) e su questa base attuare una vera politica equa e perequativa?
    Se ciò non avviene non è giusto evocare tali termini e parlare di equilibrio del sistema quanto una larga fetta di futuri pensionati “non partecipa” allo sforzo comune, ma ne è stato bellamente esentato…

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