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I VOTI DI LAUREA NON SONO NORMALI

Se il “110” è il voto di laurea di uno studente su tre, questo non dà alcun segnale al mondo del lavoro sulle competenze del laureato. L’appiattimento verso l’alto deriva dal peso elevato attribuito alla tesi, oggi anacronistica nella laurea triennale. Ma anche la distribuzione dei voti per esame è sbilanciata verso l’alto perché gli insegnamenti cuscinetto alzano la media. Necessaria perciò una correzione. E infatti considerando solo le materie più importanti si ottiene una più significativa distribuzione normale.

La distribuzione dei voti di laurea dei 20mila intervistati nell’indagine occupazionale Stella (1) sui laureati 2004 e 2005, è riportata nella figura 1: predominano i 110.

SEGNALI AL MONDO DEL LAVORO

Se il voto più alto è così frequente, non dà alcun segnale al mondo del lavoro: hai preso 110? Bene, ma lo prende uno studente su tre. La causa di questa estrema anormalità nella distribuzione è il punteggio attribuito alla tesi di laurea, che fa appiattire sul 110 quasi tutti i laureati che negli esami hanno ottenuto una media da 27 in su.
La tesi è nata in un contesto in cui la laurea rappresentava il punto culminante dell’istruzione superiore del paese. Ma oggi, nel nostro ordinamento, esiste il dottorato di ricerca, che si conclude opportunamente con la stesura di una tesi. E per inciso, un’altra tesi è richiesta alla fine della laurea specialistica, passaggio intermedio fra quella di primo livello e il dottorato.
Nella nuova laurea triennale, la tesi potrebbe dunque essere vista come un esercizio finale di stesura relazione, e considerata alla stessa stregua delle altre materie. Così facendo la valutazione finale dello studente rifletterebbe la sua media nel corso degli studi, che tipicamente presenta una distribuzione più normale. Per esempio, i miei dati per l’università di Palermo, più di 100mila osservazioni, mostrano una distribuzione dei voti di laurea ancora peggiore: quasi uno studente su due “conquista” il fatidico 110. Ma la distribuzione delle medie dei voti ottenuti negli esami è quella della figura 2, già più simile a una campana.
Se dunque si abolisse lo status speciale della tesi di laurea, il voto finale manderebbe al mercato del lavoro un segnale con maggior contenuto informativo sulle competenze degli studenti. Ma si potrebbe fare ancora di più. In effetti, anche la distribuzione delle medie per materie è sbilanciata verso destra, ovvero verso i voti più alti. Di nuovo, il motivo è semplice: lo studente si può accontentare di un 23 in una materia difficile e poi “aggiustare” la media con molti 30 nelle “materie cuscinetto”. Tuttavia, il meccanismo è noto ai potenziali datori di lavoro, che infatti prendono in considerazione solo i voti nelle materie “significative”.

UNA MEDIA CORRETTA

Abbiamo perciò provato a riprodurre la decodificazione attuata dai datori di lavoro: per ogni facoltà, abbiamo calcolato la media di tutti i voti in tutte le materie; per ogni materia abbiamo calcolato la media su tutti gli esami; infine, abbiamo ricalcolato la media per studente includendo soltanto le materie la cui media è non superiore alla media della facoltà. In altre parole, abbiamo definito “materie cuscinetto” quelle in cui la media è superiore alla media della facoltà. Il risultato è una distribuzione della media dei voti per studente molto più simile a una curva normale, riportata, per Palermo, nella figura 3.
La media così corretta è un segnale informativo, e si potrebbe ottenerla direttamente come media su tutte le materie se ogni docente si attenesse, nel lungo periodo, a un voto medio intorno al 24. Tale comportamento, ovviamente, non può essere imposto, ma forse una maggior disciplina si otterrebbe se si rendessero pubbliche le medie per materia corrette e le relative materie significative.

(1) L’indagine Stella, Statistica in tema di laureati e lavoro, è un’iniziativa interuniversitaria nata nel 2002 e coinvolge diversi atenei italiani, da Bergamo a Palermo, passando per Milano, Pisa e Napoli.

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

48 commenti

  1. Paolo Crosetto

    Grazie per l’articolo. Un paio di anni fa mi ero fabbricato un paio di indicatori e calcolato le distribuzioni basandomi sui dati scaricabili da Almalaurea. Ora cito a memoria, ma mi pareva che per il totale dei laureati censiti da almalaurea la media-esami fosse 26, e la distribuzione fosse abbastanza normale, skewed a destra. Ai tempi mi sembrò abnorme che però la media fosse ben due punti sopra al valore atteso della distribuzione, 24. Una delle spiegaizoni che mi sono dato – oltre agli interessanti spunti sul valore aggiunto della tesi – risiede nella possibilità, tutta italiana, di reiterare un esame infinite volte. Di fatto, la laurea in Italia ha solo una durata nominale, che in pratica si traduce in una distribuzione di tempi anche questa skewed verso destra. Non avevo dati sufficienti, ma mi pareva a occhio ci fosse una correlazione positiva tra voto di laurea e tempo impiegato. Questa è a mio avviso una distorsione ancora più grande del segnale che si manda alle imprese: di fatto il voto non riassume il risultato di sforzi uniformi da parte di persone diverse, ma di sforzi diversi su lassi di tmepo diversi. Cioè, non veicola alcuna informazione. Le imprese lo sanno.

  2. David Armanini

    Complimenti per l’articolo, riassume in pochi grafici una percezione diffusa di chi frequenta l’università. Purtroppo, a mio avviso, l’università stessa è in parte responsabile di tale fenomeno. Nella corsa alla meritocrazia di facciata, in alcune università uno dei parametri per assegnare i fondi, a quanto mi risulta, è il giudizio ottenuto dagli studenti sulla qualità della didattica. Un professore poco serio riceve dunque uno stimolo indiretto a essere generoso con gli studenti, i quali tendono a preferire professori che gli alzano la media. Dunque, alla luce del bel articolo, proporrei di eliminare tali sistemi di incentivazione e di inserire una forma di richiamo automatico ai professori la cui media voti si discosta verso l’alto (e perché no anche verso il basso) dalla media ateneo.

  3. Francesca

    Concordo con quanto scritto da Modica. Il sistema, purtroppo, non funziona adeguatamente, nonostante nella mia università (Verona, sede di Vicenza, CdL in Economia del Commercio Internazionale) i voti di laurea siano decisamente inferiori alla media. Comunque anche ad Economia a Verona è stata tolta la media ponderata, che favoriva gli studenti veramente meritevoli. Speriamo che tutti i datori di lavoro ragionino con la logica corretta, anche se ne dubito. Francesca

  4. Ilaria Maselli

    Sono pienamente d’accordo con Salvatore Modica. E, in teoria, la ponderazione si potrebbe fare facilmente grazie al sistema dei crediti. Basterebbe infatti attribuire un maggior numero di crediti agli esami importanti, soprattutto considerato che per il calcolo della media con cui ci si presenta alla discussione della tesi è già prevista la media ponderata. Purtroppo però, per il momento, la differenza nel numero di crediti fra gli esami importanti ed esami cuscinetto è molto bassa o addirittura nulla.

  5. Gino Pizza

    Ritengo questa discussione appassionante ma davvero inutile di fronte ai reali problemi dell’università. Nello specifico non è chiaro se il fine dell’indagine sia risolvere il problema circa il rapporto apprendimento/voto, e in tal caso non posso che avanzare una critica fortissima alla necessità di numerizzare un "pacchetto" di saperi e conoscenze aperte e quindi non quantificabili, tanto più in un breve test qual’è l’esame, oppure se l’obiettivo sia di approfondire il gap tra studenti meritevoli/studenti occupati in modo qualificante e capacità spendibili nel mondo del lavoro/strumenti di selezione per le imprese. Quest’ultimo problema che deve interessarci necessita di mettere in discussione l’idea stessa di università e il proprio contributo alla formazione di esperienza , responsabilità delle imprese anche rispetto agli investimenti in ricerca e formazione, inutilità non solo dell’esame ma dell’esistenza stessa del percorso triennale di laurea. Cari saluti e complimenti per il vostro lavoro. Gino Pizza

  6. alberto zanni

    L’aticolo, molto informativo, mostra una situazione di cui tutti sono a conoscenza ma che molti fingono di non conoscere…Il voto rimane purtoppo il principale criterio di selezione di molte aziende in italia. Il ‘massimo dei voti’ dovrebbe essere riservato al 10% (se non meno) della popolazione studentesca e soprattutto dovrebbe essere legato alla durata degli studi. Chi conclude l’università in 10 anni, per esempio, non dovrebbe assolutamente poter ottenere 110.

  7. Alessandro Spinelli

    I tentativi di eliminare tesi di laurea triennale e relativo incremento si sono scontrati con la nuova L270, che non consente di attribuire zero crediti alla prova finale del primo livello. Alcune facoltà e/o corsi di studio si orienteranno verso un incremento minimo, altre (purtroppo) non lo faranno. Anche perché bisogna ricordare che un alto voto di laurea è un buon incentivo all’iscrizione alla facoltà, e che il numero di iscritti entra nella ripartizione delle risorse. E poi, sappiamo che mamme e papà vengono volentieri a vedere il figlio che (sic) "si dottora".

  8. Valentina Torchella

    Oggi sicuramente il 110 non è sempre indice di un’eccellente preparazione, ma vorrei portare l’esperienza della mia Università, la Luiss di Roma, in cui viene adottata una media ponderata per i crediti di ciascun esame. Lo scopo è proprio quello di non "falsare" la media generale degli esami attraverso i voti ottenuti nelle materie c.d. "cuscinetto", perchè le materie c.d. fondamentali pesano di più in termini di crediti. Il paradosso si raggiunge però (mi riferisco alla mia Facoltà, Giurisprudenza) quando ad alcune materie non proprio centrali in un corso di laurea vengono attribuiti ben 10 crediti, mentre a materie come Procedura Penale ne vengono attribuiti soltanto 6. Un buon metodo dunque, quello della media ponderata, a volte vanificato dalla scarsa attenzione con la quale vengono attribuiti i crediti formativi.

  9. Michele Costabile

    Finalmente si dibatte dei problemi di salute mentale del Paese. Due commenti. 1) Gli assestamenti sui sistemi didattici sono frutto di visione ed esperienza. Sulla seconda coscienti o incoscienti procediamo. Sulla prima invece siamo ancora in grave ritardo. E quindi ben venga la consapevolezza che e’ finita l’era del prodotto universitario come una "laurea ford T nera". Dopo dieci anni iniziamo a capire che esistono almeno tre livelli di laurea e relativo lavoro conclusivo (almeno in gran parte del resto del mondo): i lavori di fine corso triennale (quando esistono), le tesi da fine master (master degree si traduce "laurea magistrale" 😉 e i lavori da fine PhD. Proporrei quindi di concentrare l’attenzione sul profilo di competenze di ciascun grado e di conseguenza sul genere di lavoro conclusivo da richiedere. 2) Le imprese capiscono in genere prima e meglio degli accademici cosa c’e’ dietro una marca (laurea). Pesano i voti in funzione della sede di provenienza del laureato e leggono con attenzione l’eta’ dei candidati. Rendere affidabile il "valore" della marca (laurea) che diamo e’ la vera sfida. Al limite spiegando meglio la differenziazione dell’offerta formativa.

  10. Alessandro

    Sono d’accordo con lei in linea di massima.Mi sono laureato a Salerno con 110 e lode in Economia e Commercio e a dire la verità la tesi di laurea triennale non ha contato più di tanto. Per farle un esempio ,è necessario avere la media del 28/28,1 per ottenere 110, dato che il punteggio massimo per la tesi è di 7 punti. Ma la cosa che più mi dà ai nervi è che, dato il mio curriculum in Economia e Finanza ho dovuto fare molti più esami obbligatori difficili rispetto a chi, scegliendo un curriculum più generale, ha potuto inserire molti esami cuscinetto. Ma non mi pento della scelta dato che mi ha permesso una buona preparazione ,ma lamento il fatto che per avere la media più alta ho dovuto sudare, mentre altri hanno avuto vita facile! E alla fine abbiamo lo stesso titolo di studio! Alcune proposte:1) eliminare la tesi triennale per chi ha intenzione di continuare con la specialistica ;2) meno peso della tesi sul voto finale 3) ridurre l’autonomia universitaria che ha portato alla proliferazione di piani di studi assurdi finalizzati alla creazione di cattedre ad hoc. Bisogna ritornare alla definizione di corsi di studi nazionali che permettano omogeneità tra gli insegnamenti, per permettere a chi sceglie di trasferirsi di non avere l’obbligo di colmare CFU per stessi corsi di studi.

  11. Roberto Venturini

    Articolo interessante, la questione rilevante anche in rapporto con quanto accade oltralpe (e.g Francia) dove sicuramente l’appiattimento è piuttosto verso un valore a metà della scala dei voti. Bisogna però esaminare i dati anche da un punto di vista maggiormente critico: ad esempio, la prima cosa che balza all’occhio prendendo in mano il rapporto stella 2004>2006 è la grande disomogeneità fra le varie filiere di studio. Lo studente in scienze economiche/statistiche, lo studente di ingegneria e lo studente di giurisprudenza hanno voti di laurea mediamente più bassi rispetto ai colleghi. Secondo, la disomogeneità è forse meno marcata ma pur sempre significativa a livello geografico, facendo un confronto sulle stesse filiere. Terzo, potrebbe esserci una distorsione significativa mescolando il dato di una università privata magari specializzata in una determinata filiera (e.g. Bocconi) ed una università pubblica. Per concludere, l’articolo pone il problema dell’informazione ai potenziali employers: non sarebbe interessante studiare tempi/stipendi degli assunti in base ai voti di laurea per vedere fin dove questa distorsione crea adverse selection? RV (studente Uni Trento/Strasbourg1).

  12. Mauro Palumbo

    Caro collega, sono molto d’accordo sul fatto che il voto di laurea discrimini molto poco tra studenti di diversa bravura e preparazione e sia quindi un indicatore assai povero per le imprese e in generale per la società. Condivido anche l’impressione che sia dovuto al basso potere discriminante di molte materie, in cui spesso il docente assegna il voto alla propria (presunta) bravura e non a quella dello studente. Aggiungo un elemento ancor più negativo: probabilmente la distribuzione dei voti rimane la stessa anche in presenza di una preparazione media più modesta. In oltre 30 anni di esami noto che il "30 e lode" premia sempre l’eccellenza, ma il 27 o il 24 vengono assegnati (anche da me) a persone con preparazione che avrebbe meritato, venti anni prima, rispettivamente 24 o 21. In breve, la disribuzione dei voti rispecchia quella dei rendimenti, ma gli ancoraggi (voto a preparazione) slittano verso l’alto perché la qualità slitta verso il basso.

  13. Lorenzo marzano

    Mi congratulo per l’articolo visto da un osservatore anziano laureato nel 1964. Mi sembra che un altro fattore che le aziende considerano e forse le statistiche dovrebbero tener conto sia l’Univesità di provenienza (eg Bocconi, LUISS,Politecnico di TO/MI ). Comunque se non ho capito male la riforma Moratti la singola Università ha tutto l’interesse ad avere molti allievi e quindi a non vessarli .Una considerazione pessimista : ma anche se l’Italia è sotto media rispetto ai paesi UE sul numero di laureati per abitanti non mi sembra che esistano grandi prospettive per i laureati stessi a meno di quelli realmente di eccellenza o con le "giuste" relazioni. Lorenzo marzano

  14. Marco Giovanni Congiatu

    Caro Signor Modica, la disamina delle sue conclusioni pone un problema fondamentale. Vede, ci sono università e università. Atenei e atenei. Non è tanto una media riferita all’insieme che dobbiamo fare per comprendere le reali problematiche del sistema universitario, sarebbe incompleta e superficiale. L’italia è fatta di realtà di eccellenza e di realtà alla buona. La media su tutti i voti rivela una conclusione celata: 1 ragazzo su tre si iscrive a facoltà "minori" e sceglie l’ateneo più semplice, i corsi con i professori più simpatici e "larghi". Io sono studente al politecnico di Torino. Le assicuro che la situazione non è delle più tranquille nemmeno per i più bravi. Dall’altro lato ho colleghi di altre facoltà per i quali l’università è più che altro un passatempo. Ah, e sono proprio quelli che prendono i 30…E dico anche che le aziende lo sanno. Non a caso alcune imprese allo stesso laureato con stessa votazione, con stesso corso di laurea riservano trattamenti diversi(solo alcune). Semmai la pubblica amministrazione potrebbe rimanerne spiazzata. Problema difficile se non impossibile da risolvere e 1200 caratteri sono pochi.

  15. Stefano Lugo

    Segnalo che da quasi tre anni il Politecnico di Milano impone a tutti i Professori della facoltà di Ingegneria Gestionale (e credo anche di altre facoltà) di far sì che la media delle valutazioni di tutti gli studenti per ogni esame in un singolo anno accademico non sia superiore a 25. Se da un lato questo ha portato ad una distribuzione più approssimabile ad una normale delle medie, dall’altro ha in alcuni casi ha creato dinamiche distorte (i.e. professori costretti ad una differente severità di giudizio in differenti sessioni d’esame per "aggiustare" le medie). Nonostante le problematiche che l’introduzione di questo metodo ha creato, ritengo che il fine sia più che legittimo, e spero che altre facoltà adottino accorgimenti volti a normalizzare finalmente i voti di laurea.

  16. Roberto Fini

    Una elaborazione dei dati Almalaurea porta all’osservazione che sia per quanto riguarda la media dei voti di esame sia per quanto riguarda il voto di laurea i risultati sono molto difformi da Ateneo ad Ateneo. Non solo: i risultati nel Sud sono mediamente molto più alti che nel Nord (con ulteriori differenziazioni regionali). Questo rafforza l’idea che i risultati accademici non rappresentino un buon segnale di performance e che quindi generino sul mercato del lavoro effetti à la Akerlof: in presenza di asimmetrie informative si producono fallimenti del mercato che si traducono in salari (specie d’ingresso) mediamente bassi ed indifferenziati. In altri termini, nei risultati accademici sembra funzionare una specie di federalismo perverso secondo il quale le università hanno comportamenti diversi nella valutazione degli studenti, con il risultato di non rendere realmente possibile confronti qualitativi efficaci.

  17. Gianni De Fraja

    Non capisco come siano costruiti i grafici. 1) L’integrale di Figura 2 e 3 sembra essere ben maggiore di 1. E’ sbagliato l’asse verticale? 2) E se fosse anche cosi’ il numero di studenti che ha una media del 30 (cioe’ che hanno preso 30 in tutti gli esami), dovrebbe essere minore o uguale al numero di studenti che hanno le media del 30 negli esami "significativi" (un sottoinsieme, suppongo, di tutti gli esami). Dal grafico sembrerebbe non essere il caso: l’ordinata del 30 in Figura 3 sembra essere attorno a 0.05, quella in Figura 2 vicina a 0.1.

  18. Davide Michelis

    Credo che sarebbe anche necessaria l’abolizione del valore legale del titolo di studi. Mi sembra che le medie-voto di alcuni atenei siano piuttosto diverse da quelle riscontrabili nelle Università migliori, e che ci siano anche differenze notevoli da una facoltà ad un’altra all’interno dello stesso ateneo. Suggerirei, quindi, di valutare tali particolarità e (ai rettori) di adottare provvedimenti mirati rispetto alle Università ed alle facoltà "di manica larga". Altra cosa: in molte facoltà il punteggio ottenuto nella laurea triennale (ai fini del quale la "tesina" si potrebbe anche abilire…) non conta nulla rispetto ai risultati ottenibili nella laurea specialistica. Che il "3" non abbia alcuna influenza sul "+2" mi sembra assurdo.

  19. Flavio Pintarelli

    Tale situazione dovrebbe far riflettere sulle distorsioni dell’attuale sistema universitario. Il sistema dei crediti, che è la base dell’attuale ordinamento e che dovrebbe servire come mezzo di informazione sulla quantità di lavoro svolto per singola materia, si è mostrato, al contrario, inutile data la mancanza di uniformità tra gli atenei (es. un esame di storia contemporanea può valere, a siena, cinque crediti, a trento, tre, ma, a trento, il programma prevede cinque testi e, a siena, solo tre). Inoltre tale sistema ha determinato la moltiplicazione delle materie (si arriva fino a sostenere 12 esami l’anno) e quindi l’affermarsi di una logica lassista, per la quale la maggiorparte delle materie servono a determinare il monte crediti e sono dunque di poco conto. Così facendo si è nutrita la pigrizia di studenti e professori, i primi tralasciando di impegnarsi nelle materie secondarie (dato che, in quanto secondarie, e quindi poco utili al curriculum, non saranno valutate dai professori con la medesima severità con cui sono valutate le materie primarie), i secondi preferendo valutare al rialzo per non rischiare di vedere il proprio corso cancellato dal curriculum. Un altro indicatore delle distorsioni che il sistema universitario è stato costretto a subire è la durata dei colloqui d’esame. Raramente (almeno nella mia esperienza di studente) questa supera i 50 minuti, di norma si attesta sui 20/25, con picchi negativi di 10/5. Ciò è dovuto, sia al gran numero di studenti, sia alle logiche descritte sopra, per cui se una materia è sentita come secondaria, se serve solo a conseguire crediti, non è pensabile, ne giusto, che l’esame sia approfondito. Tutto questo si ripercuote sulla qualità delle lauree, che si abbassa, e reintroduce la selezione. Selezione che non si basa però sulla qualità dello studio (meritocrazia), ma sulle possibilità economiche. Non è difficile capire in che modo: chi non ha la possibilità di accedere ai livelli superiori dell’universita (specialistica e dottorato) deve accontentarsi di conseguire la laurea triennale, il cui valore, come mostra l’articolo, è nullo o quasi, in quanto i voti non rappresentano l’effettiva preparazione e sono livellati tutti verso l’alto. Conseguanze: scarsa preparazione dei laureati, impigrimento di docenti e studenti, selezione non meritocratica ma economica.

  20. Francesco Mendini

    Il problema andrebbe affrontato spostando l’attenzione degli utenti del mondo universitario dall’ottenere facilmente (e, possibilmente, con buona votazione) un titolo, all’ottenere facilmente un lavoro. Il sistema scolastico è strutturato in modo da portare lo studente a non pensare alla propria carriera come ad un percorso che poi andrà inserito in un curriculum al fine di trovare occupazione, ma come un processo a gradini: se ne fa uno per volta, senza "business plan"!! Nei paesi anglosassoni è profondamente diverso. Gli alunni annualmente, e fin dalle elementari, sono sottoposti ad un test nazionale, che serve a misurare il livello della preparazione di chi frequenta le diverse scuole. In tal modo i genitori possono scegliere dove mandare il proprio figlio a studiare, in considerazione dei costi e del miglior risultato che si possa ottenere. Da questo sistema discende la volontà dei singoli a scegliere una scuola non perché più facile, ma perché più seria. Dal loro canto poi le università, ai fini dell’ammissione degli studenti, valutano il loro c.v., dando peso non solo ai voti, ma anche alla scuola frequentata.Il sistema così è virtuoso. Da noi non lo è affatto.

  21. Marco Trombetta

    Dopo vari anni spesi insegnando in una università tradizionale, da tre anni insegno in una business school. In questo tipo di istituzioni il problema dell’eccesso di voti alti e’ risolto obbligando i professori a dare i voti secondo la distribuzione normale. Solo uno o due A+ per gruppo, un 5% di A, un 15% di A-, un 25% di B+, un 35% di B, un 15% di B-, un 5% di C+. Il sistema ha dei limiti e livella verso la media. Pero’ risolve il problema ben più grave dell’appiattimento verso l’alto (veramente pensiamo che un 30% degli studenti sia "eccezionale", i.e da 110?), evita l’esistenza di esami cuscinetto (non puo’ esistere un esame dove tutti prendono 30), evita grosse discrepanze tra gruppi della stessa materia ma con professori diversi (il migliore del gruppo prende sempre A+, indipendentemente dal professore). Certo perché il sistema funzioni bene, il professore deve sforzarsi di produrre un esame che discrimini bene e faciliti l’utilizzo della campana di Gauss. E per ottenere studenti in un esame facoltativo bisogna fare un bel corso e non semplicemente promettere 30 a tutti. Pero’ funziona…

  22. maria rosaria

    Dalla mia esperienza di triennalista, ritengo che tale sistema si sia rivelato un vero e proprio flop. Gli stessi docenti si sono dimostrati impreparati a gestire il cambiamento e questo ha portato ad un divario abnorme tra le diverse facoltà. Tutto questo influisce ovviamente anche sulla votazione, soprattutto in quegli atenei,nei quali i programmi d’esame,esageratamente ridotti, costituiscono un vero e proprio insulto all’intelligenza umana.

  23. Carlo

    Quanto variano questi dati da facoltà a facoltà? Ho sempre sentito dire che nelle facoltà umanistiche i voti sono piu’ alti, ma sarebbe interessante un confronto sulla base di dati concreti. Inoltre, c’e’ da considerare che in alcune facolta’ o corsi di studi c’e’ una forte selezione all’ingresso. Non mi riferisco solo al numero chiuso, ma a corsi di studi, come matematica o fisica, a numero aperto che pero’ attraggono pochi studenti, anche perche’ notoriamente molto impegnativi. In altre parole: le facolta’ di economia o di legge attraggono moltissimi studenti, chi piu’ motivato e brillante, chi meno, ma credo che matematica o fisica attraggano pochi studenti e tutti abbastanza motivati e brillanti, quindi non mi stupirei se in questi corsi la distribuzione dei voti non fosse affatto normale.

  24. massimo leonardi

    Molto interessante l’articolo. Non sono però daccordo di attribuire maggior peso alla media degli esami, rispetto alla tesi per valutare meglio il soggetto, soprattutto rispetto al mondo delle aziende. Ritengo che la votazione di esame, cuscinetto o meno, proprio per la struttura stessa dell’esame sia determinata da una serie di fattori casuali (la fortuna) e non (la capacità di performance). Inoltre ci sono i fattori distorsivi di cui ha scritto molto opportunamente Crosetto. Ai miei tempi, per non penalizzare troppo il voto di laurea, a Ingegneria a Pisa la media dei voti si calcolava solo sugli esami del triennio, applicando un concetto opposto a quello esposto da Modica, e senza intaccare la “credibilità” della valutazione finale. La tesi, se sperimentale e condotta con serietà, rappresenta il condensato di tutta la carriera scolastica e può dare indicazioni più attendibili sulle attitudini del laureato. Nel mondo del lavoro si riproducono con più frequenza le condizioni della tesi che non quelle dell’esame. Forse il problema sta nei parametri di valutazione dei professori e delle Università stesse: voti più alti, più gradimento, più iscritti, più finanziamenti.

  25. Carlo Pretara

    Argomento interessante, anche se non prioritario. Perchè ormai le aziende sono abiutuate a valutare loro e non si fidano più molto del voto. Per riparare, tre semplici misure: 1) Correlare il voto della LS a quello della L: da quando si è spezzata la media si è registrato un ovvio aumento delle medie alla LS, in quanto più si va avanti negli studi e più i voti si alzano, in media. 2) Definire meccanismi unici in tutto il paese sull’attribuzione dei punteggi. Non è possibile che ogni università decida come attribuire i punteggi finali. Vietare meccanismi strani che sottopesano i voti bassi. 3) Rendere lo scrutinio finale per il voto di laurea segreto (ora il voto è una sorta di compromesso tra i prof in base al loro "potere") e consentire, con il meccanismo unificato, di arrivare alla lode solo a chi ha una media >29.

  26. Lucandrea Massaro

    Tutto verissimo. Sono un laureato (triennale) in storia, uno specializzando in religioni ed un ex rappresentate degli studenti in una università romana. Il problema del voto, del peso della laurea e in una distribuzione efficace del carico didattico è un problema che sarebbe risolvibile senza scomodare il parlamento. Basterebbe un accordo tra le università tramite la Crui, l’autonomia degli atenei lo concede. ‘Lidea di cambiare qualcosa ripugna il 90% della classe docente di questo paese, credetemi lo dico per esperienza diretta. Questo inoltre mi ricorda un vostro intervento – sempre su questi temi – in cui, a proposito della Ivy league all’italiana, auspicavate che ci si basasse su parametri ferrei e non sul generico "venga chi vuole" e quindi un criterio così fortemente meritocratico (3-5 anni di studio contro 3-4 mesi di lavoro di tesi – a volte in subappaltate – in un contesto in cui una esigua minoranza sceglie la ricerca) sarebbe poco accolto.

  27. luca pinese

    L’autore ha posto in evidenza un problema reale nel nostro paese con ricadute negative sul futuro lavorativo delle attuali generazioni di studenti. Quale chiave di lettura deve usare chi gestisce la selezione del personale, vedendo un simile spostamento dei voti verso l’alto? Come confrontare un 110 conseguito in due diverse università? Come valutare un trenta conseguito in un corso che al momento della laurea non esiste più? Cosa fare di fronte a corsi di studio, i cui programmi, in alcuni casi, non tengono conto delle innovazioni e delle trasformazioni del mondo del lavoro? Spesso tanti laureati, terminato il percorso di studi, hanno difficoltà a entrare nel mondo del lavoro: l’università ha fornito loro nozioni, ma non utili strumenti per affrontare il mondo del lavoro. L’università, a mio avviso, dovrebbe formare le future generazioni, sperimentando forme di studio/lavoro, inserimenti lavorativi, studiando forme di collaborazione, di incontro e di confronto con le aziende e con il mondo del lavoro. Queste esperienze sarebbero molto utili agli studenti.

  28. Pacelli Oreste

    Suggerirei di prendere in esame una spetto del problema: le materie che vengono studiate nel corso di studi richiesto per consegure la laurea sono davvero attuali ed in ogni caso necessarie a creare la figura professionale richiesta dal mondo del lavoro ? Il metodo didattico con il quale vengono presentate è efficace? stimola e premia lo spirito di iniziativa dell’allievo? Insegno in una Istituto tecnico industriale di Milano e vorrei avere la possibilità di allegare una documentazione che testimoni (almeno per il mio caso ma non penso che sia isolato) a quale punto di degrado è giunto l’attuale sistema formativo.

  29. De Rosa Andrea

    Professor Modica trovo che la sua affermazione sia quasi corretta, per essere in toto giusta avrebbe dovuto aggiungere il divario esistente fra le facoltà nell’insegnare e nel giudicare, non a caso Lei insegna a Palermo e si sa: ciascuno parla della realtà che più gli è vicina, grazie.

  30. Alessandro Mattiussi

    Concordo quando si parla di diversità e singolarità di alcuni atenei (ma anche di facoltà e di corsi di laurea), e anche sul problema del numero eccessivo di esami che la riforma ha portato, fatto che induce spesso gli studenti a "provare" un esame anche senza esserne preparati. Ma vorrei porre l’accento su un’altra questione: se non ricordo male i contributi pubblici alle differenti università sono dati in base al rapporto fra numero di laureati e numero di iscritti (grazie che poi passano tutti), e l’importanza del singolo esame dipende, come già sottolineato in un commento, dalla valutazione degli studenti al corso stesso. Ma è possibile che non siano utilizzati dei criteri oggettivi e quantificabili per la valutazione ed il finanziamento degli atenei (es: numero di laureati inseriti nel mondo del lavoro su numero di iscritti) e sulle valutazioni dei corsi (ad es: la tanto temuta "valutazione didattica" dei professori universitari)?

  31. Luigi

    Qualcuno ha deciso di distruggere l’istruzione prima con l’ipocrisia dell’obbligo, poi con il mercato dei diplomifici e dei successivi laureifici posto, ciliegina sulla torta, in concorrenza con le strutture pubbliche. Si sono confuse le necessità di riforma con l’anarchia su cui guadagnare o campare. Infine i crediti formativi per la laurea triennale. Uno scandalo di cui si parla poco. Ora il cocktail è esplosivo. Cani e porci si diplomano ed addirittura si laureano. Pazzesco!

  32. Michele Caivano

    Consiglierei di non generalizzare. Sono uno studente e le assicuro che nel mio corso di laurea la materia cuscinetto è una sola a fronte di 29 esami difficili. Inoltre ricordo che la gaussiana è applicabile in regime di perfetta casualità. In altre parole se la media è 25 deve essere equiprobabile prendere 30 e prendere 20. Ovviamente non è così: molti possono rifiutare un 20 ma nessuno rifiuterebbe un 30 quindi gli eventi non sono equiprobabili. Applicarla forzatamente non può che generare errori. Distinti saluti.

  33. Federico Orlandini

    Sono laureato in Ingegneria delle Telecomunicazioni ed ho lavorato nella ricerca universiatria per quattro anni. In questi anni ho vissuto la mutazione dell’Università, da sistema per la creazione di un’elite di iperspecializzati, in una estensione di quello che è il liceo. Come sempre abbiamo assistito ad una "mossa italiana": pochi dei nostri studenti riescono a raggiungere la soglia della laurea? E allora abbassiamo la soglia. Ovviamente dopo i fautori di questa politica del "tutti bravi" erano già in pompa magna a snocciolare le nuove percentuali di laureati, omettendo però che la qualità è scaduta verso il basso. Il classico "italian-style" nella soluzione dei problemi.

  34. Umberto Iolli

    Ciascuno studente dovrà progettare il suo piano di studi con l’aiuto di un tutor, il quale avrà il compito di guidare lo studente verso una scelta degli esami che sia coerente con le sue peculiarità e le richieste professionali offerte dal mercato del lavoro. All’esame potrà essere promosso ovvero rimandato alla sessione successiva senza alcuna annotazione di voto. Sul libretto universitario verrà annotato il nome dell’esame con accanto: superato o rimandato. A questo punto le aziende non potendo selezionare gli studenti sulla base del voto di laurea saranno costrette ad acquisire informazioni qualitative quali: l’università in cui è stata conseguita la laurea, l’elenco degli esami sostenuti, i nominativi dei docenti con cui l’esame è stato sostenuto ed infine. In questo modo gli studenti: saranno incentivati a caratterizzare il proprio percorso di studi (piano di studi) in modo che rispetti le aspettative dell’azienda per la quale desidererebbero lavorare; sceglieranno i migliori docenti e cercheranno di superare ciascun esame evitando di essere rimandati ad un esame che essi stessi considerino estremamente importante per il proprio percorso formativo e/o lavorativo.

  35. ilsaimon

    Discussione interessante, ma attenzione: bisogna tenere conto dei tempi di laurea. Alla fine le aziende (private, per i concorsi PA non credo ci siano questi problemi) guardano sì il voto di laurea, ma anche e sopratutto il tempo impiegato per ottenerla. Conosco molte persone laureate con 110 che però magari hanno impiegato 7 anni per laurearsi. Il voto può anche essere 110 e lode, ma poi non trovano lavoro, nella maggioranza dei casi. Quindi alla fine il fatto che 1/3 si laurei con 110 è un segnale di avvertimento che si è troppo larghi di manica, ma segnala (sopratutto in italia), che molte persone ci mettono un’eternità a laurearsi, facendo pochi esami per volta pur di prendere 110 – ma poi rimangono fregate dai tempi.

  36. Corsi Franco

    A parte la non corretta applicabilità dell’analisi gaussiana ad una statistica sulle votazioni d’esame (l’evento "30" o l’evento "20" non si verifica in maniera casuale come in qualsiasi fenomeno fisico ), mi sembra non sia stato preso in considerazione che il punteggio risultante dai singoli esami alla quale si somma il voto attribuito alla tesi si costruisce moltiplicando il voto del singolo esame per il "credito" relativo ad ogni esame. Un esame "facile" ad esempio, può avere un credito di 3, uno difficile 6 o 7. Il problema è che molte Università (…o singole facoltà) largheggiano con le votazioni perchè in questo modo pensano di "catturare" più studenti, e quindi più sovvenzioni.

  37. giube

    Ricordi di 20 anni fa ormai alla Bocconi. Una laurea tardiva a 26 anni con 97/100, ma con 3 anni di lavoro all’estero cumulati tra USA, Francia e Brasile, 4 lingue ben parlate ed ecco un lavoro a Parigi come PM internazionale di una multinazionale. Eppure il voto non era stratosferico, la media inficiata da due 18 in matematica e statistcica, materie mai usate nella mia vita professionale. Conclusione? Va bene il voto, va bene la media nelle materie chiave (a patto di comprendere bene quali siano: a economia e commercio con specializzazione marketing è più importante matematica e statistica o sociologia e inglese?), ma conta sapere le lingue, aver fatto un po’ di esperienza, essere mobili geograficamente. Ancora oggi, da AD di una multinazionale in Italia questi sono i criteri che cerco di applicare nella selezione e non sarà un 110 e lode con bacio accademico a condizionarmi più di tanto, che sia ottenuto con il vecchio e caro metodo della media/3*11 dei miei tempi o con quella ponderata sulla base delle materie chiave eliminando quelle "cuscinetto". Cordiali saluti

  38. marcello battini

    Quando la matematica è utilizzata per interpretare la realtà, si segue un percorso virtuoso. Una distribuzione di frequenze che si allontana eccessivamente dalla curva di Gauss è da considerare una dimostrazione inoppugnabile di come il buon senso sia scomparso nella gestione della cosa pubblica.

  39. Luca Fusaro

    Il dato analizzato, uno studente su tre si laurea con 110 e lode, mi sembra non molto veritiero. Quali università avete analizzato? Università pubbliche o private? Bisognava fare un’analisi dettagliata. All’Università della Calabria sono pochi quelli che si laureano con 110 e lode, e non uno su tre. Gli studenti del campione sono rappresentativi di tutte le università d’Italia? E’ importante anche gli anni che una persona ci mette a laurearsi. Sicuramente le aziende cercano laureati con voti alti e se ce ne sono molti risulta inesistente il meccanismo di selezione, ma dire che ci sono troppi 110 e lode nelle università mi sembra irreale. Magari fate un’analisi delle Università dove esiste maggiormente il fenomeno, perchè vi ricordo che in molti altri paesi industrializzati, gli studenti si laureano con un’età media molto inferiore a quella italiana. Io punterei il dito anche su questo problema, che il nuovo ordinamento invece di risolvere ha peggiorato, visto il maggior numero di esami che uno studente deve superare per laurearsi rispetto al vecchio ordinamento!

  40. Gigi

    Il numero dei crediti non corrisponde affatto alla difficoltà dell’esame, bensì alle ore di studio e/o lezione necessarie al conseguimento degli stessi.

  41. maurizio turrisi

    E’ il sistema universitario che non funziona. Credo che ci siano altre possibilità per abbassare l’età media delle persone laureate. Mi chiedo che senso ha istituire dei corsi a numero chiuso se poi si fanno fare le lezioni di quelle materia "pesanti" insieme agli altri corsi, magari dentro un cinema come è successo a me a Palermo? I picchi, ovvero i 110 & lode di nome e di fatto ci sono ancora per fortuna, ma la maggior parte dei 110 & lode che sforna questa università sono solo "primi della classe" ovvero persone che sanno "la lezione del giorno" ma poi non sanno ragionare perché non sanno confrontare quello che studiano. Credo che l’univeristà deve dare gli strumenti per saper ragionare e non deve essere una istituzione che distribuisce numeri.

  42. marianna putignano

    Innanzitutto ringrazio l’autore per il pregevole contributo offerto ad una questione tanto nota quanto altrettanto poco dibattuta. L’inedita generosità con cui gli atenei italiani elargiscono le attuali votazioni (sconosciuta a chi, come la sottoscritta, ha conseguito una laurea cosiddetta vecchio ordinamento con il massimo dei voti) è sotto gli occhi di tutti. Anche – e soprattutto – sotto gli occhi di coloro che operano nel campo della selezione del personale. Tuttavia, a mio modesto avviso, la faccenda dei voti magicamente lievitati va considerata solo la punta di un iceberg che affonda in acque ben più profonde. Lo schema della formazione sequenziale (prima studio poi lavoro), poteva andare bene fino a qualche decennio fa, quando il mercato economico (e, di conseguenza quello del lavoro) era profondamente diverso e ancora improntato alla ricerca di valide professionalità su cui investire e a cui affidare la crescita delle aziende italiane. Oggi il mercato globale non cerca più competenze ma preferisce puntare su intraprendenza, dinamismo e capacità di adattamento.

  43. marianna putignano

    A mio modesto avviso, la faccenda dei voti magicamente lievitati va considerata solo la punta di un iceberg che affonda in acque ben più profonde. Lo schema della formazione sequenziale (prima studio poi lavoro), poteva andare bene fino a qualche decennio fa, quando il mercato economico (e, di conseguenza quello del lavoro) era profondamente diverso e ancora improntato alla ricerca di valide professionalità su cui investire e a cui affidare la crescita delle aziende italiane. Oggi il mercato globale non cerca più competenze ma preferisce puntare su intraprendenza, dinamismo e capacità di adattamento. L’imperativo della competitività dissuade sempre più le imprese dal farsi carico della formazione iniziale dei neo laureati (che richiede tempo e quindi rappresenta un costo che non si traduce per l’azienda in produttività immediata). Un’università nozionistica, priva di laboratori ed esercitazioni pratiche, estranea a modelli di alternanza istruzione – lavoro e oramai derubata anche del suo ruolo naturalmente selettivo non è quello di cui studenti e imprese hanno attualmente bisogno.

  44. cristian masci

    Non è eliminando le materie "cuscinetto" dal calcolo della media che si aumenta il valore informativo degli esami a disposizione di un potenziale datore di lavoro: contano più le esperienze e il modo di lavorare durante il periodo di prova (quando esiste …). Inoltre, non si fa cenno al fatto che le Università dell’Italia meridionale usano assegnare voti di laurea molto alti al nobile scopo di aiutare i "propri" ragazzi nella ricerca di un lavoro.

  45. Giusy

    Lunedì 15 dicembre sarò dottoressa anche io, prenderò la laurea in matematica. Questo corso di studi (nonostante l’ottima istruzione liceale) si è mostrato estremamente difficile, però, con impegno sono riuscita ad ottenere una media discreta. Il mio lavoro di tesi è durato circa 6 mesi. Ho affrontato un tema (formazione di Pattern nei sistemi Rd) che solitamente si affronta nelle tesi di dottorato di ricerca e questo perchè il mio relatore pretendeva una tesi "very hard". Io non so se arriverò al 110, comunque sia posso testimoniare che questi discorsi non valgono per molte facoltà, dove gli studenti tendono a diminuire e i corsi di laurea a chiudere! Ovviamente non mi riferisco a quei corsi di laurea attivati solo per far guadagnare i professori, si sta parlando di facoltà come fisica, chimica e matematica. Ma così dove si va a finire?

  46. gabriel

    Questa analisi mi pare fuorviante. Mi sono laureato pochi mesi fa in economia-laurea triennale (in due anni e mezzo) con 97/110, all’università di RomaTre. Il voto medio di uscita di laurea dalla mia facoltà (dati 2009) è 98.3, e la frequenza di 110 e 110L è appena dello 0.06 (durata media degli studi 4.2 anni). Trovo sia opportuno invece, anche se andrebbe a mio discapito, correlare il voto della triennale a quello della magistrale. E’ anche vero che questo porterebbe ovvie discriminazioni agli studenti provenienti da atenei seri, come ritengo, seppur con evidenti limiti, il mio; a vantaggio degli studenti provenienti da atenei assai più abbordabili. Posso dire che nel mio percorso triennale nessuno mi ha regalato nulla, ho studiato come un pazzo eppure di 30 ne ho presi solo tre. Nella specialistica il voto mi si alzerà inevitabilmente. Dover fare 11 esami è diverso da farne 25, e uno studente può permettersi di accettare solo voti dal 27 in su. Saluti

  47. Fabio Besta

    Carissimo professore. Lei ha ragione su quanto sostiene, ma mi preme, ricordarle che alcuni professori stentano a promuovere esami ammissibili per tutti coloro che hanno studiato il corso in maniera doverosa. Lei è un professore e sa quante volte il suo corso è stato un flop: e quanti suoi alunni lasciano la lezione durante la spiegazione. I motivi sono due: 1) Irresponsabilità dei giovani scolari; 2) Difficoltà di comprensione necessariamente tipica delle sue lezioni. Molti studenti preferirebbero studiare e lo studio trasformarlo, in qualche misura, in risultati. Ma purtroppo, l’avidità di molti insegnanti e l’incomprensione di altrettanti, si rivelano evidentemente nocivi per tale scopo, obbiettivo formativo: di realizzazione singola.

  48. francesco

    Salve gentile Signore, la mia giornata andava piuttosto bene prima di imbattermi in questo articolo e l’unica cosa che mi rincuora é che é un po’ vecchiotto e lei nel frattempo forse ha cambiato idea.
    La sua analisi della questione é profondamente distorta a mio avviso perché:
    A) Dov’ è scritto che i voti (degli esami o di laurea) debbano rassomigliare ad una curva gaussiana?
    B) Lei parte dal presupposto che le imprese private possano trarre beneficio dal segnale in questione. Ne é certo?

    Riprendendo il punto a) l’università di Palermo é un campione per niente casuale. (il discorso vale anche se omettiamo la parola Palermo). In una parola selection into treatment. Inoltre per quanto riguarda Palermo o un’altra università in particolare ci potrebbero essere dei spillover effect(io nn mi stupisco che gli artigiani di Capodimonte siano tutti bravi e vicini, o che i pizzaioli a napoli siano tutti bravi, magari si sono insegnati qualcosa a vicenda).

    Per il punto b) invece le dico semplicemente che non sono a conoscenza di studi seri che dimostrino l’efficacia di una selezione tramite voti universitari (ma ammetto che questo potrebbe essere un mio deficit e che forse ci sono in tal caso non infiammerò maggiormente il tono della discussione).
    Infine per le sue opinioni su se è giusto o meno che la tesi valga tanto, potrei anche essere d’accordo ma restano opinioni.
    Cordiali saluti.

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