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NERO SU BIANCO MA SCRITTO AL CONTRARIO

La riforma del modello contrattuale è fondamentale per permettere a tutti i lavoratori di avere un contratto più tempestivo e per rafforzare il legame fra salari e produttività. Ora Confindustria ha presentato una proposta formale. Prevede il superamento dell’inflazione programmata con l’indice di inflazione previsionale, aumenti applicati esclusivamente alle retribuzioni contrattuali e l’inserimento di una clausola di garanzia. E’ un passo avanti perché è un punto di riferimento per la discussione. Ma si prefigge il contrario di ciò di cui l’Italia ha bisogno.

Con la chiusura del tormentone Alitalia finalmente si tornerà a parlare di riforma del modello contrattuale. È una riforma fondamentale per permettere a tutti i lavoratori di avere un contratto più tempestivo e per rafforzare il legame fra salari e produttività. La riforma è sempre stata rimandata, con tanto di plateali abbandoni del tavolo o, più semplicemente, rinvii formalmente giustificati dalla necessità di perseguire obiettivi più prioritari. Come se la contrattazione salariale e sulle condizioni di lavoro non fossero il compito prioritario dei sindacati e delle organizzazioni datoriali. Stando alle dichiarazioni ufficiali, sembra però che ormai tutti si siano convinti che la riforma non è più rinviabile e che i tempi per chiudere siano davvero maturi. Bene.

LA PROPOSTA DI CONFINDUSTRIA

La Confindustria ha elaborato una proposta formale di riforma del sistema contrattuale. La proposta è finalmente scritta nero bianco, un grande passo avanti perché offre un punto di riferimento preciso. La durata del contratto viene elevata a tre anni, sia per quel che riguarda la parte economica che per quel che riguarda la parte normativa.
Confindustria propone anche di sostituire il tasso di inflazione programmata con un indice previsionale triennale, elaborato da “un soggetto terzo di riconosciuta autorevolezza e affidabilità”, depurato da alcune voci di inflazione “importata”, ossia di inflazione non generata all’interno del paese. Il nuovo indice dovrebbe venire applicato soltanto alle componenti della retribuzione effettivamente stabilite nei contratti nazionali (i minimi tabellari e il valore medio degli scatti di anzianità) abbassando dunque i livelli su cui applicare l’aggiustamento. Il resto degli aumenti dovrebbe essere determinato a livello di azienda, attraverso la contrattazione di secondo livello, e dovrebbe quindi variare da impresa a impresa.
È infine prevista una clausola di garanzia per i lavoratori che non saranno coperti dalla contrattazione aziendale. In altre parole, il contratto nazionale dovrebbe prevedere, oltre all’aumento legato all’inflazione prevista, un ulteriore incremento retributivo da applicare solo e soltanto a quelle imprese, per lo più piccole, nelle quali la contrattazione di secondo livello non ha luogo.
Il documento prevede, infine, un insieme di procedure (molto complesse) per evitare che i rinnovi contrattuali avvengano con eccessivi ritardi. In particolare, si prevede di attribuire a un comitato interconfederale formato da Confindustria e dai sindacati confederali il compito di verificare i motivi che hanno portato, per un dato contratto, a eccessivi ritardi di rinnovo.

I LIMITI DELLA PROPOSTA DI CONFINDUSTRIA

Le principali novità della proposta sono dunque tre: il superamento dell’inflazione programmata con l’indice di inflazione previsionale, la proposta di applicare gli aumenti esclusivamente alle retribuzioni contrattuali e l’inserimento di una clausola di garanzia. Vediamoli uno per uno.

Inflazione previsionale: un oggetto misterioso

L’inflazione programmata è sicuramente un concetto obsoleto, da superare dopo l’entrata nell’euro. Tuttavia, l’inflazione previsionale è un concetto arbitrario, complicato e poco trasparente. Chi dovrebbe produrre quest’indice previsionale di inflazione? Senza dubbio l’indice non potrebbe essere prodotto dai sindacati o da Confindustria, anche perché le parti avrebbero incentivi distorti. E quale altro indovino può prendersi questa responsabilità? Il concetto è poco trasparente, perché introdurrebbe aumenti al primo livello che dipendono molto da quando il contratto viene firmato, inducendo di conseguenza pericolosi comportamenti dilatori: se l’inflazione sta aumentando, i sindacati avranno incentivo a ritardare la trattativa, per aspettare un indice di aumento maggiore; viceversa, quando l’inflazione sta diminuendo, gli incentivi a ritardare la firma del contratto saranno dei datori di lavoro.

L’appiattimento retributivo

La proposta di applicare gli aumenti soltanto ai minimi tabellari e alle retribuzioni convenzionali ha l’effetto di comprimere la struttura salariale, in quando tende a coprire dall’inflazione soltanto le retribuzioni inferiori. Nel primo livello di contrattazione verrebbe garantito un aumento di un certo numero di euro (ad esempio 100 euro), da applicare a una retribuzione convenzionale decisa sul tavolo delle trattative. La retribuzione convenzionale è però sempre inferiore alla retribuzione di fatto, in quanto quest’ultima incorpora anche aumenti di retribuzione concessi dal singolo datore di lavoro (i cosiddetti superminimi). Ciò significa che, di fatto, i 100 euro di aumento finiranno per incidere maggiormente sugli individui che in azienda hanno una retribuzione inferiore, così come ai tempi della scala mobile. L’Italia ha invece bisogno di ridurre la compressione salariale e premiare con incrementi salariali maggiori gli individui che hanno maggior produttività. Un meccanismo di questo tipo ha anche l’effetto perverso di provocare aumenti maggiori nel Mezzogiorno. Continuiamo a ipotizzare che l’incremento sia di 100 euro. Sappiamo dai dati Istat che 100 euro in più a Napoli valgono, in termini di potere d’acquisto, quanto 125 euro a Milano. La proposta elaborata da Confindustria implica che i 100 euro vengano dati a tutti i lavoratori con quell’inquadramento su tutto il territorio nazionale. Significa comprimere ancora di più la struttura salariale. Tutto il contrario di ciò di cui l’Italia ha bisogno.

Le clausole di garanzia

Infine, le clausole di garanzia hanno un obiettivo condivisibile. Il sistema deve effettivamente poter garantire aumenti a tutti i lavoratori, anche quelli che non hanno la contrattazione aziendale. Il meccanismo proposto, tuttavia, non lega l’aumento di salario di garanzia ad alcun parametro di produttività. Al contrario, stabilendo un incremento uguale per tutti tende anch’esso ad appiattire la struttura retributiva. Se invece gli incrementi retributivi fossero collegati all’andamento del reddito operativo lordo per addetto, si riuscirebbe a legare salari e produttività anche nelle imprese in cui non si svolge contrattazione di secondo livello e a impedire una compressione della struttura salariale. Come abbiamo già suggerito in passato (LINK Boeri Garibaldi premio a due livelli), come base di calcolo per una simile clausola di garanzia potrebbe essere usata la base imponibile dell’Irap legata alla produttività.

Postilla

Michele Tiraboschi sul Sole24ore diel 30 Settembre in un articolo di prima pagina intitolato "Veri e Falsi Riformisti” accusa genericamente "gli economisti de lavoce.info" di essere dei falsi riformisti perchè rei di criticare una proposta  di Confindustria "fortemente innovativa" sulla riforma della contrattazione. L’articolo peraltro, non fornisce alcun argomento relativo alle critiche e alle proposte da noi avanzate. Ci teniamo a informare i lettori del Sole che siamo noi gli  autori della critica e che la stessa è riportata sul sito in un articolo dal titolo "Nero su bianco, ma scritta al contrario". Avranno così modo di valutare loro stessi la fondatezza delle nostre critiche. Del testo di Tiraboschi ci sentiamo peraltro di condividere un’affermazione: "Confindustria non ha certo bisogno di difensori d’ufficio". Soprattutto, aggiungeremmo, quando scrivono sul giornale di Confindustria.

 

 

 

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16 commenti

  1. piero

    Il contratto nazionale, per sua stessa natura, non può che prevedere misure di carattere generale. Non ha senso differenziare le retribuzioni su base geografica, per il fatto (inoppugnabile) che il costo della vita è diverso; altrimenti, bisognerebbe distinguere non solo tra nord e sud, ma anche tra città e provincia, tra famiglie monoreddito o meno, tra single e coppie con o senza figli o familiari vari (magari disabili), tra chi ha la casa e chi no, e cosi via. La retribuzione contrattuale paga il lavoro, la mansione, per quantità e qualità; non il singolo soggetto secondo la sua condizione personale.

  2. Assalve

    Gli spunti di critica sono tutti condivisibili, e sostanzialmente possono essere ricondotti ad un unico grande punto mancante: ancora una volta il grosso problema è legare gli aumenti salariali alla produttività, sia a livello nazionale che aziendale. Non si fanno passi avanti in questa direzione, né in quella di una maggiore decentralizzazione delle contrattazioni. Sarei forse meno severo sull’inflazione previsionale: ha il merito di cancellare l’inflazione programmata e in linea di principio si avvicina di più al concetto economico di inflazione attesa; chi e come debba formulare l’aspettativa può essere oggetto di studio (e dialogo).

  3. piergiorgio

    Condivido le considrazioni sull’appiattimento salariale. E’ questa una tendenza ormai consolidata nelle aziende private da qualche anno con l’introduzione degli aumenti assorbibili conferitia titolo di anticipo dei futuri aumenti contrattuali, quindi di fatto, data l’esiguità degli importi, assorbiti nel superminimo al verificarsi dell’aumento contrattuale. Questo atteggiamento condiviso dalla maggior parte delle grandi imprese mi fa sorgere però il sospetto che una contrattazione di secondo (e a maggior ragione di terzo) livello possa effettivamente risolvere il problema dei contratti. Inoltre con le diffuse politiche industriali che prevedono come prima risorsa i tagli dei costi, il che vuol sostanzialmente dire limitazione dei salari, è improbabile pensare ad un investimento delle aziende sulla professionalità riconosciuta e ricompensata piuttosto che verso una mediocre qualità del lavoro a prezzi decisamente più contenuti.

  4. gianp

    Vi è un orientamento secondo il quale si ritiene, nella sostanza, che i livelli salariali debbano essere direttamente rapportati ai livelli di produttività della singola impresa. E’ oramai risaputo da ricerche svolte ovunque che la produttività dell’Italia è ai livelli puiù bassi del mondo industriale. Quando si sente ciò il pensiero, veicolato dai media, va a schiere di lavoratori che lavorano poco e male o al massimo non a sufficienza. In conseguenza, incremento di produttività implicherebbe intensificazione o efficientizzazione del lavoro. Ma la classica funzione di produzione ci dice che la produzione è funzione del lavoro sì, ma anche del capitale investito, in termini di reciprocità. Cosa manca di più allora all’apparato produtivo del nostro paese, lavoro indefesso o capitale investito e tecnologia? Se sono queste che sono carenti allora quale produttività si potrà andar a negoziare?

  5. stefano micossi

    Mi sembra che il contenuto del vostro articolo sia meglio del suo titolo. Infatti, non mi pare proprio che il contenuto dimostri che la proposta di schema contrattuale sia il contrario di quel che serve al paese. Mi sembra in realtà che perdiate molto tempo a parlare di un aspetto minore, cioè della parte inziale del nuovo schema contrattuale – la quale ovviamente giocherà un peso minore nel risultato totale – mentre non dedicate una parola alllo spazio che il meccansimo di determinazione della parte aziendale giocherà nella determinazione delle retribuzioni totali – spazio che produrrà quasi per definizione aumenti legati alle condizioni locali di lavoro. Se poi vi sembra davevro possibile immaginare di proporre un meccanismo per l’aumento iniziale diverisificato per regione, senza che il sindacato lasci il tavolo dopo due minuti. Beh…pre un sogno. In effetti, da questo punto di vista, il carattere regressivo dell’aumento iniziale è un ottima cosa.

  6. Alberto A. Villa

    Personalmente interpreto la proposta di Confindustria, come se sia voluto assecondare la perdurante tendenza delle OO.SS. a mantenere una contrattazione nazionale, cercando però di svuotarne il più possibile i nefasti effetti. La riduzione al minimo possibile della quota retributiva appiattita a livello nazionale ed a cui ancorare aumenti previsti dell’inflazione è un risultato di per sè auspicabile, al fine di poter gestire a livello secondario (aziendale) i livelli di retribuzione che io definisco "variabili" e premiali. Gli stessi lavoratori spesso apprezzano gli schemi premiali, che incentivano i comportamenti virtuosi per l’azienda, introducendo differenziazioni di retribuzione a favore dei soggetti che si impegnano e che contribuiscono ad ottenere quei risultati di squadra. Se quindi i risultati nefasti ed i difetti di questa proposta confindustriale serviranno strategicamente a sottrarre spazio, cioè quota percentuale del salario complessivo alla Contrattazione Nazionale, a favore della parte variabile della retribuzione, che meglio potrà essere impiegata per valorizzare il comportamento virtuoso del singolo lavoratore, si potrà ottenere un auspicabile risultato.

  7. FRANCESCO COSTANZO

    Grazie per il Vs. articolo, da molto tempo leggo i Vs. contributi sul tema salariale/contrattuale e ritengo che le Vs. proposte siano in gran parte condivisibili. Già in precedenza avevo scritto su questo sito commenti/domande in merito all’incertezza sui metodi di calcolo dei parametri di "produttività": I Vs. pareri sull’inflazione previsionale confermano i miei "timori". Ora intravedo mesi di "trattative serrate" su questo argomento. Non mi sembra però di aver mai letto un Vs. contributo dettagliato che presenti un’alternativa di indicizzazione salariale a quella proposta da Confindustria dell’inflazione previsionale, per la contrattazione di primo livello. Se avete un documento disponibile, credo sia importante che voi lo pubblichiate/riproponiate, e lo presentiate all’attenzione del pubblico in alternativa al "metodo Confindustria", perchè ritengo che il calcolo dei parametri di indicizzazione sia il fondamento di qualunque proposta di riforma contrattuale, e condivido con voi che questo è un momento irripetibile da non farsi sfuggire per avviare una riforma seria nei contratti di lavoro del nostro paese.

  8. Tarcisio Bonotto

    Il dibattito sulla busta paga e le regole che la vanno a costruire, data dalla notte dei tempi. Qual’è l’obiettivo della retribuzione? Dare un quantum per le necessità, retribuire le capacità, etc. Vi è un dibattito in corso sulla necessità di calcolare la retribuzione in funzione della "Garanzia delle Necessità Minime (alimenti, vestiario, abitazione, sanità, educazione) per sopravvivere, a tutti. In secondo luogo, dopo aver soddisfatto queste necessità il surplus dovrebbe essere distribuito tra tutti/e i/le meritevoli in base al valore del loro servizio alla società" (P.R. Sarkar). Ciò significa che l’esistenza è l’obiettivo primario e gli incentivi vanno poi riconosciuti ai meritevoli, per mantenere il dinamismo sociale. Ma la nostra teoria economica sembra non avere chiari gli obiettivi essenziali, sembra infatti che come necessità minima siano considerati solo gli alimenti. Allora la sfida è il calcolo del reddito minimo, per zona geografica che possa soddisfare le necessità di base. I balzelli della busta paga, anzianità, premi produzione, tasse regionali, non regionali, non vanno a costruire una garanzia all’esistenza, per tutti gli italiani.

  9. francesco piccione

    Mi sembra che la proposta di confrindustria sia in linea di continuità con quanto sta avvenendo da tempo. negli ultimi dieci anni i profitti sono aumentati del 94% mentre i salari sono rimasti invariati, riuscendo a contenre solo gli effetti dell’inflazione. oggi gli industriali si presentano al tavolo delle trattative ed avanzano proposte come se avessero qualcosa da recuperare. sono sinceramente indignato per quanto proposto. spero che non si griderà contro gli estremisti sindacali quando si faranno gli scioperi generali. da anni la distribuzione della ricchezza va in un’unica direzione, ora è giunto il momento che tocchi qualcosa anche al lavoro salariato. per inciso, ad impoverire troppo i lavoratori ne soffre tutto il sistema: se le famiglie non hanno soldi non consumano e si contrae la domanda interna di beni e servizi.

  10. Piero Torazza

    L’analisi è tecnicamente condivisibile: la perdita di competitività del paese è sistematica. Eppure: 1) le ore lavorate da molte categorie tra le più alte eccetto gli americani con pochissime ferie e tanti problemi 2) gli stipendi sono tra i più bassi dell’occidente. Quindi la perdita di produttività è poco legata al costo del lavoro e molto ad altri fattori: scarsa innovazione, pochi ingegneri molti laureati in economia/avvocati, debito pubblico e tasse, infrastrutture, elevatissima corruzione anche nel privato. Chiunque frequenti le aziende private (tralascio il pubblico:) sa benissimo che la Meritocrazia conta anche lì molto poco: la cultura di clan dell’italiano medio è totalizzante. Depotenziando "ulteriormente" l’adeguamento salariale generalizzato si apriranno i divari tra insider ed outsider, tra chi nelle aziende è agganciato al carro giusto e chi no. Questo abbasserà molto la produttività reale (non statisticabile): le persone discriminate per fattori ameritocratici lavoreranno male. Il vero problema non è il contratto: è la mentalità familistica di imprenditori (predicano libertà, cercano aiuti statali) e lavoratori in cerca del "posto".

  11. Pietro

    Provo a schematizzare alcuni punti su cui riflettere.. 1) Un contratto nazionale deve per forza essere un contratto che tutela tutti. Differenziazioni di salario per regioni, carichi famigliari etc non puo che essere delegato alla fiscalità ordinaria e non certo ad un accordo fra due parti sociali, Sindacato e Confindustria. 2) Inflazione Programmata / Previsionale.. Pare che sia fondamentale la differenza su quale tipo di inflazione basarsi..Il punto vero, a mio parere, è avere un parametro Inflazione che sia il piu possibile vicino alla realtà e non hai sogni, misurabile ed a cui tutti sono tenuti ad adeguarsi.. A questo proposito, mi pare che i primi accordo firmati dopo il 1993 e basati sull’inflazione programmata, hanno sortito effetti positivi proprio perché tutti, tutte le parti sociali sono state attente ad applicare aumenti che tenevano conto di un parametro Inflazione programmata che, a sua volta, era un valore che aveva un senso, non certo come 1,7 programmata dal govermo per quest’anno.

  12. Adri

    Mah, sarò un marziano ma nelle ultime due aziende dove ho lavorato, la mia produttività è stata premiata e riconosciuta (dopo, ovviamente, aver contrattato col mio capo) con un superminimo congruo (per entrambi). Credo quindi che i risultati pratici del nuovo modello contrattuale, si limiteranno ad una ulteriore riduzione del reddito da lavoro dipendente generale. Uffa: quand’è che la moltitudine di capitani coraggiosi inizieranno ad investire in organizzazione e innovazione per rimanere sul mercato? Perchè da 20 anni a questa parte il contributo più significativo alla competitività delle imprese è derivato dalla perdita di potere d’acquisto reale?

  13. battista savini

    Penso che come abbia già detto Francesco Costanzo nel suo commento, sia importante avere in mano il sistema di calcolo. Immagino che all’interno ci sia, almeno in quello di confindustria, il dato sull’assenteismo, e se così fosse bene fa Epifani a fare un passo indietro, sarebbe pericolosissimo, e le aziende vedono il dato negativo della produttività legandolo spesso ad esso.

  14. stefano monni

    trovo pienamente condivisibile il passo indietro di Epifani sul nuovo modello contrattuale per varie ragioni. La prima riguarda il superamento dell’inflazione programmata con l’inflazione previsionale, peraltro triennale. Primo problema: chi è il soggetto terzo che dovrebbe avere queste capacità previggenti sull’inflazione futura? E perchè non si deve calcolare l’inflazione importata? Forse che questa ultima non incide come quella interna sugli stipendi? Non si capisce poi ( ammetto di non aver esaminato attentamente la riforma) cosa succede se nell’arco del triennio le previsioni fatte risultano sbagliate. Ultimo aspetto controverso come giustamente evidenziato nell’articolo riguarda la parte dello stipendio che riceverà l’aumento; perchè solamente le retribuzioni contrattuali?

  15. Aram Megighian

    A me pare che anche da parte di Confindustria, vi sia una sorta di pensiero fisso nella ricerca di "ridurre il costo del lavoro", come se questo fosse (l’unica) origine dei mali dell’economia italiana. Un pensiero che porta i piccoli imprenditori del NordEst ad esigere dei "dazi" per combattere la concorrenza sui loro stessi prodotti, delle nazioni emergenti con basso costo del lavoro. Sono daccordo invece con numerosi commenti che puntano il dito sullo scarso investimento in Ricerca e Sviluppo (R&D) delle imprese italiane. Eurostat (dati 2005) dà un investimento privato sotto il 30% dell’intero settore R&D italiano. In Germania, questo è del 70%, pur essendovi là salari ben più elevati e un impiego orario simile a quello italiano. Questi dati Confindustria non li tratta mai, forse perchè denunciano una scarsa capacità manageriale dei nostri imprenditori, tutti presi a contrastare i presunti "nemici" del momento (sindacati, cinesi), ma non i veri problemi dell’industria italiana (basso livello tecnologico, bassa innovazione, abbandono di settori strategici, scarsa ricerca, flessibilità scarsa e utilizzata solo per abbassare il costo del lavoro e non per innnovare).

  16. Pietro Palermo

    Mi permetto di dissentire sulla criticità da voi evidenziata circa i rischi appiattimento salariale derivanti dal nuovo modello contrattuale, dato che: 1- nelle aziende serie il merito viene riconosciuto con superminimi decorosi, mentre il primo livello nazionale dovrebbe servire a porre un "pavimento" di modo che tutti si possa vivere con dignità; 2 – legata alla concezione di cui al punto 1, poco importa che al meridione i salari reali tenderebbero a crescere nel tempo dato che: a) bisogna accertare che davvero i livelli dei prezzi siano difformi tra Nord e Sud (avete mai provato a fare la spesa tutti i giorni o comprare casa in un comune rivierasco della Calabria tirrenica? O a spostarvi in aereo avendo quale partenza/arrivo Lametia Terme e non Linate?); b) bisogna accettare pacificamente che la situazione di disparità di livello di prezzi rimanga per sempre? La convergenza economica auspicata negli ultimi 150 anni dovrebbe ridurre l’eventuale divario esistente. c) Pensate davvero che il problema per le aziende meridionali sia il livello delle retribuzioni contrattuali? No, quelle di fatto le regola il lavoro in nero. Tuttavia le aziende non crescono: che sia dell’altro?

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