La Camera inizia l’esame del disegno di legge sull’università, norme di reclutamento comprese. Veniamo da un lungo blocco dei concorsi e da norme restrittive sull’adeguamento dell’organico. Ma un blocco di assunzioni e carriere seguito da una riforma radicale spesso comporta la successiva assunzione di una massa di ricercatori qualitativamente eterogenea. E lascia un segno indelebile sulla produttività scientifica media. In Italia è già accaduto dopo le riforme del 1980 e del 1998. Nel Ddl 1905 ci sono tutte le premesse per una futura nuova onda anomala di assunzioni.
Il 14 ottobre si apre alla Camera la discussione sul disegno di legge 1905, inteso a rinnovare profondamente le “norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento”. Il Ddl è stato preceduto da un lungo blocco dei concorsi, seguito da norme restrittive in materia di adeguamento dell’organico da parte delle università. (1)
SEQUENZE PERICOLOSE
Un lungo blocco di assunzioni e carriere seguito da una riforma radicale, quale premessa per un successivo sblocco, non è una sequenza nuova e può essere molto dannosa. Il blocco prolungato induce gli scienziati più produttivi ad andare all’estero o cambiare professione e genera una gran quantità di precari della ricerca o di docenti la cui carriera è sospesa, qualitativamente molto eterogenei. Il successivo sblocco concederà molte posizioni a tempo indeterminato anche a soggetti, rimasti in attesa, ma molto meno produttivi di chi, nel frattempo, ha abbandonato il sistema o potrebbe entrarvi successivamente. La situazione si aggrava se lo sblocco viene associato a un massiccio reclutamento ope legis, basato su selezioni solo formali e tale da saturare a lungo il sistema, dando così origine a un nuovo blocco. L’università italiana ha già conosciuto due sequenze simili: nel 1980, con l’approvazione della legge 382 (con ope legis); e nel 1998, con la riforma che introdusse il sistema attualmente in vigore (senza ope legis).
In un nostro studio realizzato insieme a un collega francese, e recentemente pubblicato dal National Bureau of Economic Research, abbiamo analizzato la situazione di due paesi europei, la Francia e l’Italia, il cui sistema di reclutamento è molto centralizzato a livello ministeriale e dunque particolarmente soggetto a sequenze di questo tipo. (2) Lo studio considera tutti i 2.151 fisici francesi e i 1.769 colleghi italiani di ruolo nel biennio 2004-05 presso gli atenei dei due paesi: i maître de conférence e professeur in Francia e i ricercatori e docenti di prima e seconda fascia in Italia. (3)
Un primo sguardo ai dati rivela immediatamente l’alternarsi di lunghi periodi di “siccità” e improvvise onde anomale di reclutamento. In particolare, sono ben visibili gli effetti delle riforme del 1980 (per l’Italia) e del 1984 (per la Francia). (4)
La figura 1 mostra infatti come circa il 10 per cento dei maître de conférences e professori francesi attivi nel 2004-05 avesse preso servizio nel 1985, un anno dopo la riforma. Per l’Italia il dato è ancora più clamoroso: il 33 per cento circa dei ricercatori, associati e ordinari attivi nel 2004-05 aveva raggiunto quel ruolo proprio nel 1980 (figura 2). Confrontando le due figure si nota anche un profilo temporale simile nelle assunzioni e promozioni: un crollo dopo il picco seguente la riforma, seguito da assunzioni regolari, ma basse, nel caso francese, e pressoché nulle nel caso italiano fino alla riforma del 1998, seguita sua volta da una ripresa di assunzioni e carriere, più diluita nel tempo.
Ma il risultato più interessante è che le due grandi coorti in ingresso, del 1985 per i francesi e del 1980 per gli italiani, lasciano un segno indelebile sulla produttività scientifica media dei rispettivi paesi. Gli scienziati appartenenti alle due coorti risultano stabilmente meno produttivi dei loro colleghi: il numero medio di articoli per anno su riviste con elevato impact factor è stabilmente più basso. Per i ricercatori italiani, risulta più bassa anche la qualità (articoli pesati per impact factor della rivista). Il caso italiano è il più grave ed è ben esemplificato da queste stime: i 62 professori ordinari entrati in ruolo nel 1980 hanno successivamente pubblicato ben 314 articoli in meno di quanto avrebbero potuto fare i loro pari grado entrati in anni successivi; la perdita per i professori associati e i ricercatori è rispettivamente di 785 articoli e 639 articoli. Va notato che i concorsi locali, susseguitisi dopo la riforma del 1998, più regolari nel tempo, non hanno condotto a fenomeni di simile portata.
RICERCATORE ADDIO
Il Ddl 1905 contiene in sé le premesse per una futura onda anomala assai simile a quella del 1980: propone infatti l’abolizione della figura del ricercatore a tempo indeterminato per sostituirla con quella del ricercatore a tempo determinato (tre anni rinnovabili per altri tre) senza assicurare le risorse per l’assunzione in ruolo dei più meritevoli tra questi né delineare criteri chiari per individuarli fin d’ora (i ricercatori 3+3 sono infatti assunti senza nemmeno la necessità di un bando sulla Gazzetta ufficiale). Tra sei anni una massa eterogenea di precari 3+3 in scadenza di contratto busserà alla porta dello sfortunato ministro di turno e chiederà di essere regolarizzata. Per costoro il Ddll 1905 già prevede una soluzione, ovvero l’assunzione diretta da parte dell’ateneo che li ha impiegati, previo l’ottenimento di una “abilitazione nazionale” a numero non chiuso. Ma già ora tutti i ricercatori in servizio, che aspettavano pazienti lo sblocco dei concorsi da professore associato, sono entrati in agitazione, temendo di essere lasciati indietro e chiedendo quindi di avere la stessa chance che viene promessa ai 3+3. Tutto è pronto affinché la futura “abilitazione nazionale” si trasformi in una nuova ope legis.
L’effetto dell’onda anomala del 1980 si sente ancora oggi e suggerisce che la prima preoccupazione del ministro dovrebbe essere quella di evitare il ripetersi dell’alternanza di lunghe siccità e piene improvvise nelle assunzioni. Il disegno di legge promette sì assunzioni regolari, ma la promessa è contraddetta dal blocco delle risorse e dalle regole imposte anche agli atenei in buono stato di salute finanziaria, oltre che da un generale ritorno al centralismo ministeriale. Che garanzie dà questa impostazione sull’effettiva durata del blocco in corso? E sulla sua resistenza alla prossima, inevitabile, ondata di piena?
(1) Il testo e la sintesi dal Ddl sono reperibili da http://www.senato.it/leg/16/BGT/Schede/Ddliter/testi/34595_testi.htm. Una sintesi stringatissima dei provvedimenti restrittivi sul reclutamento è disponibile al link: http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/scuola_decretolegge/Sintesi.pdf
(2) Lissoni F., Mairesse J., Montobbio F., Pezzoni M. (2010), “Scientific Productivity and Academic Promotion: A Study on French and Italian Physicists“, NBER Working Paper No. 16341
(3) Per ragioni tecniche sono esclusi astrofisici e fisici nucleari, oltre a un 3 per cento circa di soggetti con cognomi molto comuni, i cui problemi di omonimia impedivano di calcolare senza errori il numero di pubblicazioni.
(4) Nel caso francese, l’equivalente alla legge 382 del 1980 fu la cosiddetta legge Savary del 1984, che riformava il sistema e al tempo stesso regolarizzava numerose posizioni precarie.
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Paolo Manasse
Molto interessante, leggero’ il paper.
Sandro Giachi
A prescindere dal fatto che la questione dei ricercatori è assolutamente uno "specchietto per le allodole" per distogliere l’attenzione dalle questioni principali della riforma (ossia riforma della governance e del diritto allo studio in conseguenza ai tagli finanziari) è quasi divertente vedere come questo governo dice di fare una cosa poi ne fa un’altra: "combattere il baronato" e "premiare la meritocrazia" abolendo il concorso per professori associati attraverso la chiamata diretta (preceduta da un’inutile e quantomai demagogica "abilitazione"), è francamente ridicolo. Ogni riforma va pensata nel contesto socio-culturale di riferimento: copiare meccanismi anglosassoni in un paese mafioso e clientelare come l’Italia non stimola buone prassi, ma certifica le "cattive prassi" esistenti. Francamente dubito che il livello qualitativo dei ricercatori che verranno assunti sarà buono e questo processo è perfettamente coerente con quanto mostrano i vostri dati. Va bene introdurre la figura del ricercatore a tempo determinato, ma perchè eliminare il concorso pubblico? In Italia i concorsi truccati sono numerosi, ma perlomeno costituiscono un freno al clientelismo baronale.
francesco sylos labini
Grazie agli autori per quasta ottima e puntuale analisi della situazione. Sono tuttavia ancora piu’ pessimista in quanto mi sembra che vi sia una esplicita intenzione per un sottodimensionamento dell’universita’: basti pensare che il 40% del corpo docente andra’ in pensione nei prossimi dieci anni (quelli della 382) e con il blocco del turnover ed il taglio ai finanziamenti non ci sara’ il dovuto ricambio. Allora la questione da discutere dovrebbe essere, esplicitamente e non implicitamente come conseguenza delle politiche che si sono adottate, se questo ridimensionamento sia salutare. A parte il fatto che non lo e’, se paragoniamo il caso italiano a quelli di altri paesi europei, la maniera in cui vengono fatte le cose, con tagli orizzontali che colpiscono tutti, e’ sbagliata e frutto di una politica miope. Pagheranno il conto le nuove generazioni oltre che gli attuali precari (50,000 unita’) ed i ricercatori.
simone
Nel frattempo si licenzia un testo che contiene una "promozione" ope legis per 9.000 ricercatori strutturati e che, allo stesso tempo, scippa di fatto alcune centinaia di posti da ricercatore già finanziati dal governo Prodi.
Altamante Fruzzetti
e a tratti scorretta. I ricercatori non sono entrati in agitazione per diventare associati, bensì per difendere il futuro dell’università pubblica italiana (eh già, esiste anche chi difende delle idee, e non solo il portafogli). Sostituendo la figura del ricercatore con una figura professionale interinale, l’attuale emorragia di tecnici (per i giornalisti: fuga dei cervelli) diventerà esodo, desertificando la ricerca italiana. E un paese senza ricerca non ha un grande futuro.
luca.jourdan
Una cosa mi sfugge in questa analisi. i posti promessi da associato sono 9000, su un totale di 25000 ricercatori circa. Questo significa che 16.000 ricercatori rimarranno tali. di questi – si dice – alcuni sono vicini al pensionamento, altri non hanno interesse a fare uno scatto di carriera perchè il loro stipendio diminuirebbe. Ma quanti sono in realtà i ricercatori appartenenti a queste due ultime categorie? Senza questi dati mi sembra piuttosto azzardato parlare di ope legis e fare paragoni con il 1980.
sekhmet
Non mi sono chiarissime le conclusioni che si vogliono raggiungere con questa analisi. Che sarebbe meglio se il reclutamento avvenisse regolarmente anno per anno, con certezza di finanziamenti e con una quantità di posti che permetta di evitare di ricorrere in modo eccessivo a personale precario per coprire vuoti di organico? Certo, però mi sembra che al momento il latte sia già stato versato. Sarei anche curioso di sapere se nel lavoro, viene presa in considerazione l’età media degli assunti. I matematici di Bourbaki sostenevano che la carriera di un matematico finisse a 40 anni. Probabilmente esageravano, ma è vero che, almeno nelle scienze dure, la produttività cala fisiologicamente con l’età. Non è che dopo un blocco delle assunzioni, i primi ad essere assunti siano i più anziani, che avranno più titoli e pubblicazioni di colleghi più giovani, ma che hanno già passato il loro picco di produttività?
Giuseppe Ghini
Molto interessante. Sono d’accordo quasi su tutto. C’è però un ma: rispetto alla mai sufficientemente esecrata 382/1980 la situazione e’ diversa. Le universita’ dovranno pagarsi i propri ricercatori e questo cambia, perché ogni singola università dovra’ fare conti di Budget e di Requisiti minimi. Inoltre, un’onda anomala si presenta solo quando precari diventano di ruolo: riguarda cioe’ i ricercatori a t.d., mentre il caso dei ricercatori a t.i. che diventerebbero associati è un’altra partita, piu’ vicino a questioni di ordine pubblico e di ministero del welfare che a questioni di politica accademica. Tanto piu’ che molti di questi sono ricercatori d’annata, quelli, appunto dell’onda anomala provocata dalla 382 e che andranno in pensione non appena ricevuto il passaggio ad associati. Il Miur ha fatti un calcolo realistico, quasi cinico: costa meno promuoverne una certa quantita’ ad associati a carico delle singole università, passando la patata bollente alle singole facolta’, piuttosto che riconoscere a tutti – ope legis la terza fascia docente e una maggiorazione di stipendio. E il tempo gioca a favore del Ministero. Grazie, GG
Giuseppe Esposito
Questa non-riforma enuncia una serie di principi e poi, sistematicamente, li contraddice tutti. Partiamo dallinizio. LUniversità è da migliorare? Se sì e se si propone una riforma così articolata e radicale, allora è ineludibile la conclusione che qualche distorsione, finora, cè stata. Eppure questa ovvia premessa è sistematicamente negata nel resto del provvedimento. Si presenta una sequenza di innovazioni, nella beata certezza che esse facciano sparire i problemi; senza curarsi minimamente di introdurre alcun meccanismo di controllo volto a prevenire e correggere storture e abusi. Governance? Nel CdA entrano gli esterni, ma non i controlli su eventuali conflitti di interesse. Reclutamento? Si introduce labilitazione nazionale, ma a numero aperto, senza controlli sulle chiamate né monitoraggio sugli idonei non chiamati. Lotta al nepotismo? Non selezioni aperte, trasparenti e verificabili, ma promozioni ope legis per gli interni, insieme a elaboratissimi percorsi irti di vincoli, ostacoli e paletti per gli esterni.
maurizio canepa
Un articolo interessante che mette in piena luce uno dei problemi del nostro sistema universitario. L’onda anomala del 1980 (una specie di "solitone") è infatti una delle cause della attuale fase di stanchezza accademica, con un numero troppo elevato di docenti ormai anziani. La seconda fase di ingressi (1998-2004) ha avuto l’aspetto positivo, a parte il numero di promozioni eccessivo, e le storture ben note del meccanismo di base (una miriade di concorsi locali), di garantire paradossalmente flussi più continui, più simili ai modelli europei. Un reclutamento virtuoso dovrebbe infatti essere sostanzialmente continuo e non episodico. La "riforma" Gelmini (non c’è nessuna riforma a costo zero) presenta tre grossi rischi; (1) una futura ope-legis mascherata; (2) la demolizione nei fatti del ruolo di associato, che saranno ridotti al rango dei vecchi assistenti di ruolo; (3) l’eccessivo potere nelle mani degli ordinari (andati in ruolo proprio con i concorsi del 2000-2001, a parole fortemente criticati). Un ritorno al passato remoto di cui nessuno sentiva la mancanza.