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La risposta ai commenti

PER GLI STUDENTI SCETTICI

Supponiamo di ridistribuire in maniera casuale tutti i calciatori delle prime 90 squadre di calcio della Lombardia, a partire dalle Serie A e B e via via proseguendo per le divisioni minori. Cosa accadrebbe a Milan e Inter nel medio termine? Retrocederebbero in campionati di divisioni minori, la partecipazione in Champions League diventerebbe un miraggio, i calciatori di talento italiani e non migrerebbero verso altre squadre, gli spettatori abbandonerebbero gli stadi, i giovani più promettenti non si iscriverebbero alle loro scuole calcio, gli sponsor non supporterebbero più i due club. Mutatis mutandis, quella descritta è più o meno la situazione delle università italiane rispetto a quelle anglosassoni. L’’Italia ha bisogno di università che stanno all’’higher education come Milan, Inter, Juventus, Roma stanno al calcio.

MERITOCRAZIA E DEMOCRAZIA

Possono convivere? Da piccolo avrei voluto entrare nelle giovanili dell’’Inter, ma non ne avevo la stoffa. Qualcun altro c’’è riuscito e io ho trovato la mia realizzazione in un altro campo (non di calcio). L’’importante è che nel mio paese ci fosse innanzitutto una Inter e a me fossero date opportunità pari agli altri per potervi accedere. E’’ inutile pretendere università omogenee perché la selezione, dopo, la fa in ogni caso il mercato (quello reale) del lavoro.

FATTIBILITA’

Perché mai Harvard, Oxford, ecc. dovrebbero saper condurre una selezione efficiente dei docenti e noi no? Basta misurare il tasso di concentrazione di top scientist dell’’Università Vita-Salute S. Raffaele di Milano per realizzare che anche in Italia è possibile. La proposta di policy è percorribile perché farebbe felici molti, senza scontentare nessuno.

COSTO

La progressiva chiusura delle sedi universitarie distaccate e il continuo incremento del numero delle matricole rendono in ogni caso necessario un progressivo aumento della capacità produttiva delle attuali università. Il costo incrementale di nuove università, al netto di quello per l’’espansione, è quindi relativamente basso. Il ritorno socio-economico dell’’investimento è evidentemente altissimo. Sistema produttivo e amministrazioni locali (la Provincia autonoma di Trento si è già mossa in tal senso) dovrebbero adoperarsi tutti, insieme al governo, perché ciò si realizzi. Il più grande aiuto di stato legale che possa esser fatto al sistema industriale è realizzare la gemmazione di nuove top university dalle esistenti. Where there is a will, there is a way”

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  1. mny

    Secondo me la debolezza di questa proposta è qui "L’importante è che nel mio paese ci fosse innanzitutto una Inter e a me fossero date opportunità pari agli altri per potervi accedere". l’Inter esiste ma non sono date a tutti pari opportunità per accedervi. in IT permangono, a differenza di UK e altri paesi, enormi disuguaglianze sociali che bloccano, da decenni, la mobilità sociale. prima conseguenza visibile e confrontabile della mancanza di reali "pari opportunità". in altre parole e restando nella metafora, l’Inter seleziona e selezionerà solo i figli dei suoi ex giocatori, allenatori, ecc. e guarderà anche al vivaio di qualche squadra di serie B o C. Le resteranno invisibili i giocatori di squadre minori non per questo, magari, meno dotati. l’ultimo colpo di scure sulle borse di studio (-90% in meno) non farà che rafforzare questo sistema già iniquo.

  2. Alessandro Figà Talamanca

    Credo che i costi di trasformazione del nostro sistema universitario in un sistema articolato in università di serie A e serie B o C siano proibitivi. Cerco di fare calcoli più precisi in un "post" pubblicato su noise. Qui vorrei solo aggiungere che, mentre è salita negli ultimi dieci anni la percentuale di diciannovenni che si iscrivono all’università (siamo ora al 50%), non è aumentato (né aumenterà prevedibilmente) il numero delle matricole (a causa del calo demografico.) Non siamo cioè nelle condizioni di espansione in cui ci trovavamo negli anni settanta quando la articolazione in università di diverso livello, o con "missione" diversa, fu clamorosamente rifiutata. Tuttavia, come spiego, nel "post" ritengo possibile diversificare l’offerta didattica e le funzioni dei docenti all’interno delle singole istituzioni.

  3. Ajna

    Resta il problema del fatto che la bontà di un ricercatore/scienziato/docente è al momento affidata ad altri colleghi, non tanto al mercato; pensare che le sovvenzioni private (assai avulse dalla nostra cultura) possano ovviare e correggere mi pare un po’ velleitario. Mi piacerebbe, lo dico senza vis polemica, che l’autore mi portasse poi un po’ di numeri in discussione: i numeri delle realtà estere citate o meglio ancora i numeri delle ricadute positive in rapporto ai costi di realtà come la Normale, il Sant’Anna o l’IMT lucchese (quest’ultimo forse troppo giovane per fare buoni conteggi, lo ammetto).

  4. Tommaso

    In Italia c’è una forte diffidenza per tutto quello che è liberismo in senso vero. Le risposte date da alcuni lettori su questo tema ne sono la conferma. E’ difficile capire/ far capire che un contesto che stiomla le persone a realizzare se stesse sia un bene per tutti. Per contro, l’idea che un centro possia pianificare il meglio per tutti, e per tutti uguale, e’ ancora diffusa. Molto del consenso a Vendola viene proprio da questa parte, del resto. Dire che in UK non esistono differenze sociali, come scritto nel precedente post, denota una certa ignoranza dell’UK. Le differenze sociali ci sono e fortissime. A me sembra siano minori in Italia. I motivi sono lunghi da spiegare e quindi mi fermo qui. Saluti e grazie.

  5. Mauri Roberto

    A mio parere, invece, il problema più grave in Italia è la mancanza di community colleges, cioè di università in cui i docenti non fanno ricerca, ma insegnano 3 corsi a semestre, fornendo una preparazione professionale con un percorso breve di un paio d’anni. Forse alcune delle sedi distaccate si potrebbero già trasformare in community colleges, ma non ho visto ancora nessuna proposta al riguardo. Per quanto riguarda le top universities, credo che vada seguito l’esempio della Normale e del Sant’Anna di Pisa, cioè strutture piccole, che si appoggiano a grosse università per l’insegnamento. Oltretutto, da quel che vedo, perlomeno in campo scientifico, i rami secchi nelle universita’ storiche stanno andando in pensione, mentre i giovani ricercatori hanno tutti un PhD, hanno trascorso uno o due anni all’estero e, scientificamente, sono molto meglio preparati dei vecchi professori.

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