La manovra di agosto ormai non c’è più. Ma dovrebbe rimanere in vigore l’articolo 8 che legittima gli accordi aziendali su flessibilità dei contratti di lavoro, organizzazione del lavoro e recesso dal rapporto di lavoro. Il testo non è di semplice interpretazione, ma potrebbe prevedere una deroga dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. La disciplina dei licenziamenti sarebbe così modificata, creando una situazione paradossale e dando luogo a un contenzioso infinito. Non è certo questo il modo di riformare le normative su assunzioni e licenziamenti. E la legge deve servire a definire diritti minimi non derogabili.
Il decreto approvato il 12 agosto dal Consiglio dei ministri, allarticolo 8, contiene una norma relativa alla legittimità di accordi aziendali in materia di flessibilità dei contratti di lavoro, organizzazione del lavoro e recesso dal rapporto di lavoro di difficile interpretazione, al punto che i giuristi non si riescono a mettere daccordo sul suo significato. In particolare, il comma e) recita che i contratti aziendali con validità erga omnes su tutti i lavoratori dellazienda possano regolare anche le modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite Iva, la trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio.
ANCORA PIÙ INCERTEZZA
Non è chiaro se queste norme stabilite dalla contrattazione aziendale possano derogare a quelle di legge, a partire dallarticolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Presumibile che diano luogo a dispute interminabili accentuando ulteriormente lincertezza che regna nellinterpretazione del nostro diritto di lavoro, come sostenuto da Pietro Ichino sulle colonne del Corriere della Sera il 26 agosto. Supponiamo comunque che prevalga linterpretazione più estrema e cioè che larticolo 8 del decreto legge del 13 agosto 2011 possa davvero derogare larticolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Se così fosse, la disciplina dei licenziamenti in Italia sarebbe modificata e ci si troverebbe in una situazione paradossale e quasi schizofrenica. Da un lato, il famoso articolo 18 dello Statuto dei lavoratori rende quasi impossibile il licenziamento senza giusta causa. Da un altro lato, il nuovo articolo 8 potrebbe rendere lecito un accordo aziendale che prevede licenziamenti individuali e collettivi non più impugnabili dai singoli individui, derogando così allo stesso articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Questo modo di concepire il ruolo della contrattazione aziendale è sbagliato. Vediamo perché.
QUALI DEROGHE HANNO SENSO?
È giusto che i contratti di lavoro aziendali possano derogare alle disposizione dei contratti collettivi nazionali, come peraltro previsto dallaccordo tra le parti sociali del 28 giugno 2011. Il punto fondamentale è che bisogna distinguere tra deroga dei contratti nazionali e deroga di una legge dello Stato. Se azienda e lavoratori si accordano, per ragioni organizzative o anche solo per salvaguardare posti di lavoro, su un livello salariale inferiore a quello stabilito dal contratto nazionale, è bene che tale deroga sia lecita. Ma quando imprese e lavoratori si accordano su deroghe a una legge dello Stato, si crea una situazione complicata e paradossale. Il singolo lavoratore che si trovasse coinvolto in un licenziamento previsto da un accordo aziendale perderebbe il diritto di impugnare tale licenziamento? È davvero una situazione troppo confusa e che non può che aumentare il contenzioso. Ma in realtà è anche paradossale: è come se in materia di diritto familiare la legge dello Stato, da un lato, vietasse il divorzio, ma al tempo stesso concedesse ai coniugi il diritto di derogare dalla legge di Stato con un accordo tra le parti.
DALLE DEROGHE AGLI STANDARD MINIMI
Non è la prima volta che il nostro diritto del lavoro permette che alcune leggi dello Stato siano derogabili dalla contrattazione collettiva. Sin qui, i margini di derogabilità erano stati comunque fortemente circoscritti. Nellaccezione più radicale dellarticolo 8 si rende invece di fatto derogabile lintero diritto del lavoro.
Come economisti facciamo fatica a capire perché una legge dello Stato dovrebbe essere derogabile soltanto dalla contrattazione collettiva e non dalla contrattazione individuale. Delle due una. O le leggi dello stato in materia di lavoro si possono derogare tra un accordo tra le parti (siano essi collettivi o individuali) o non si possono derogare. Noi preferiamo la seconda impostazione e pensiamo che il principio delle deroghe andrebbe rovesciato. Un mercato del lavoro più maturo dovrebbe garantire dei diritti minimi e fondamentali attraverso una normativa superiore. È la logica degli standard minimi che abbiamo più volte enfatizzato. Gli standard minimi dovrebbero applicarsi a tutti i lavoratori, indipendentemente dallesistenza di un contratto di lavoro di primo (nazionale) o di secondo (aziendale) livello. I diritti minimi dovrebbero riguardare la disciplina dei licenziamenti, la previdenza sociale e, secondo la nostra visione, anche il salario minimo, che dovrebbe essere specificato per legge. In termini di contratto di lavoro, il contratto unico di inserimento con tutele progressive garantirebbe alle imprese la flessibilità in entrata e ai lavoratori un orizzonte di lungo periodo. Una volta stabiliti i diritti minimi non derogabili, le parti potrebbero poi stabilire qualsivoglia accordo e contratto a livello nazionale o aziendale, integrando ma non violando queste disposizioni. Sarebbe una strada certamente più semplice e più trasparente anche per riformare le nostre normative su assunzioni e licenziamenti, ma le cose semplici non interessano quasi mai la politica economica italiana.
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Matteo Bortolucci
Semplicemente, se fino ad oggi il contratto collettivo nazionale di lavoro era una base sotto la quale non si poteva comunque scendere, al momento quella base che chiamerei “salvagente” può non esistere più determinando non più la tutela del lavoratore, ma la tutela esclusiva del lavoro.
Claudio
Carissimi de Lavoce.info, vi leggo ormai da anni e ho avuto la fortuna di apprezzare i vostri punti di vista e le vostre opinioni su numerose questioni. Ho scoperto che in Italia esiste una folta schiera di economisti, giuristi, esperti di vari settori che hanno ottime idee e una visione del mondo seria ed aperta. Mi chiedo però come mai alle orecchie di chi comanda in questo Paese La(vostra)Voce non raccolga mai consenso ed approvazione. A chi si affidano questi potenti? Di quali consiglieri politici, economici si circondano? Per non parlare degli esperti del diritto che confezionano le norme pasticciate e molto spesso incostituzionali che questa parte politica sforna con tanta semplicità e non curanza eppure ormai governa (quasi) indisturbata da un Ventennio! Cosa è successo al mio Paese?
nino cortorillo
Oltre alle considerazioni del testo che condivido vorrei aggiungere due ulteriori considerazioni: 1. Si ipotizza una previsione di licenzibilità individuale, senza giusta causa, in piena fase recessiva ed in presenza di un accesso al lavoro che prevede attualmente quasi esclusivamente rapporti di lavoro precari. Non a caso i paesi euopei che hanno allentato le norme di tutela sulla non licenziabilità lo hanno fatto in fasi se non di alto sviluppo, certamente non analoghe alle attuali. 2. I paesi che si sono spinti verso forme di licenziabilità, se non si voglia assumere il Congo o la Cina come modello, hanno una robusta struttura pubblica che prevede sia ammortizzatori sociali universali che di sostegno reddito che proteggono il lavoratore dopo la perdita del lavoro. A questo si aggiunga uno stato che sostiene la mobilità attraverso una formazione e riqualificazione reale. A noi resta solo un’idea vendicativa del lavoro che artefice il Ministro Sacconi permetterà in ogni impresa di avere una regola ed una legge diversa. Svuotando così il principio stesso di universalità dei diritti fondamentali.
Salvatore
Quando capirete che non si può affidare ad un ladro il proprio portafoglio? Quale logica ha un contratto nazionale, che deve essere la base minima, con una sua deroga? Forse la stessa logica che consente a Formigoni di governare anche se una legge nazionale prescrive i due mandati, solo perché non la si è recepita?
Claudio Resentini
E’ del tutto evidente che l’obiettivo ideale di Berlusconi e dei suoi sodali (Sacconi in primis) è l’eliminazione o almeno la neutralizzazione del diritto del lavoro stesso e con esso dei diritti dei lavoratori e perfino dell’idea che esistano dei diritti peculiari dei lavoratori. La regolazione ideale del rapporto di lavoro per costoro si ridurrebbe alla stipula di un contratto individuale che non tenesse in minimo conto della disparità di potere tra le parti coinvolte, contrariamente alla ratio del diritto del lavoro italiano. Questo processo è in corso da tempo e sta modificando subdolamente il carattere perequativo del nostro diritto. E’ una visione fintamente neutrale ed estremente classista e fa davvero specie che a promuoverla sia qualcuno, come Sacconi, che si proclama ancora socialista (sic). Che tristezza! A mio parere invece l’accordo sulle deroghe al Cccnl. incredibilmente firmato anche dalla Cgil, è perfettamente allineato con questa visione regressiva.
Maurilio Menegaldo
Quanto denunciato dall’articolo è solo un ulteriore tassello verso la destrutturazione del diritto in Italia, con la conseguenza del prevalere della legge del più forte: oggi il padronato, magari domani (come già un tempo) il sindacato. In altre parole, uno dei pilastri di una democrazia liberale e della sua civiltà giuridica, ossia la certezza del diritto, sta andando definitivamente a farsi benedire. Può bastare infatti l’accordo di tre o quattro persone (tra cui, come detto, vige la logica dei rapporti di forza) per annullare una legge della Repubblica, emanata da un parlamento che rappresenta, piaccia o no, tutto il popolo. In queste condizioni, si va verso una sorta di nuovo feudalesimo, stavolta su base economica, dove ogni potentato si fa le sue regole. Ma perché queste cose non c’è nessuna forza politica e sociale che le dice? Forse perché ognuno, in questa anarchia prossima ventura, pensa di ritagliarsi la propria porzione piccola o grande che sia di potere e di clientele?
Enzo Bagini
Siamo alle comiche finali. Se passasse l’interpretazione più radicale dell’art. 8 non solo si realizerebbe la situazione paradossale descritta nell’articolo, ma sarebbe sconvolto dalle fondamenta il principio della gerarchia delle fonti giuridiche per cui un contratto tra “privati” avrebbe la possibilità di derogare ad una Legge dello Stato: praticamente il Far West!
carla binci
Semplicemente credo che se tenessimo presente prima di tutte le normative la dignità della persona saremmo capaci i ritrovare i “diritti” non derogabili dai quali nessuna rifoma di legge e nessuna manovra – pur necessaria – può prescindere. Possiamo allargare le possibilità positive di trattativa e di “accordo” ma solo al fine di applicare le norme al caso concreto per dare un giusto risultato, ma non per lasciare spazio a qualsivolgia abuso.
Matte
Vi sono molti dubbi circa la portata della norma in questione. La possibilità di derogare alla contrattazione nazionale, da parte della contrattazione di secondo livello per le materie indicate nell’art. 8, sussiste. Al contrario vi sono parecchi dubbi sulla possibilità di derogare da parte della contrattazione di secondo livello alla legge. Infatti, il legislatore non l’ha espressamente previsto. Lo stesso quando ha voluto rinviare ai contratti collettivi la regolamentazione di alcuni aspetti del rapporto di lavoro l’ha scritto esplicitamente nelle norme. Quindi, mi sembre un po’ presto per fasciarsi la testa. In conclusione sia per come è stato ideato sia per come è stato scritto (nonché i suoi contenuti) l’art. 8 é un pastrocchio.
Tarcisio Bonotto
Sono d’accordo con Tito Boeri e Pietro Garibaldi sui diritti minimi non derogabili, per lavoratori e lavoratrici, “le parti potrebbero poi stabilire qualsivoglia accordo e contratto a livello nazionale o aziendale, integrando ma non violando queste disposizioni”. Mi sembra possa essere una pietra miliare dell’ordinamento sociale. Egr. Tito Boeri, ma perchè voi economisti non fate fronte comune, una voce unica, per suggerire ai nostri politici, spesso incapaci di muoversi e di comprendere le dinamiche sia sociali che economiche, delle politiche economiche per l’Italia? Possibile che un solo Ministro dell’economia sia responsabile, in un mare magnum di problematiche, di formulare in isolamento e senza sentire il parere degli economisti, degli imprenditori et altri, nelle diverse regioni, delle politiche così flebili e inconsistenti come molte sfaccettature dell’attuale manovra economica? Non solo ai posteri, l’ardua sentenza. Sono sicuro che considerando i diritti delle persone, come variabile economica, la nostra economia non potrebbe che migliorare.
Matteo
In tema di diritti minimi del prestatore di lavoro va rilevato come già parecchie leggi sono state emanate per garantirli: ad esempio l’orario di lavoro è regolamentato per legge così come i minimi di giorni di ferie a cui ha diritto il lavoratore , diritto alla privacy, divieto di controllo a distanza, divieto di discriminazione etc.. Fatta questa premessa non si può non osservare come lo Statuto dei Lavoratori, che è del 1970, può e deve essere modificato anche all’art. 18. Infatti, i dipendenti di aziende con più di 15 dipendenti godono di una forte tutela in caso di licenziamento illegittimo (reintegrazione + pagamento retribuzioni arreto indennità pari a 15 mensilità) mentre gli altri non hanno diritto alla reintegrazione ma solo ad un’indennità risarcitoria pari al massimo a 6 mensilità: abbiamo quindi dipendenti di serie A e dipendenti di serie B. Ci vorrrebbe una forma di tutela unica, modulata ma diversa. L’art. 18 è ormai superato. Il governo ha cercato di intervenire goffamente con una norma di legge fumosa. Ma il problema rimane: prima o poi dovremo ammodernare tutto il nostro diritto del lavoro o ben pochi vorranno investire in Italia.
Roberto Fiacchi
Fermo restando il massimo rispetto per gli autorevoli articolisti, mi chiedo come si possa continuare ad imbottigliarsi in disquisizioni esclusivamente tecnicistiche, perdendo, a mio parere, il nocciolo del problema. Ritengo che in atto ci sia una precisa strategia che tende a mettere indietro le lancette dell’orologio delle conquiste civili: nella fattispecie c’è chiarissimo il tentativo, facilitato dal caos nazionale ed internazionale, di togliere ai lavoratori conquiste che hanno richiesto sacrifici durissimi anche di vite umane. Se questo è il punto, non credo che la priorità sia inseguire le pur intelligenti e professionali considerazioni e proposte di validi studiosi, che rischiano di restare nella loro esclusiva torre d’avorio, mentre i giovani, soprattutto, perdono ogni possibilità di difesa. Non dimentichiamo che siamo in Italia, non in uno di quei Paesi con una consolidata cultura civica in cui lo stesso precariato può diventare una risorsa. Come è possibile avere una classe dirigente che continua a ragionale lontana dalla realtà? Quindi, credo occorra avere Sindacati, tutti, pronti a lottare di nuovo con forza per il bene del Paese.
enzo
Sarebbe interessante un confronto con la legislazione dei nostri partners europei.
Confucius
Se ho ben capito, le parti sociali (anche a livello locale) possono accordarsi per derogare dalla legislazione vigente in materia di lavoro. Mi sembra una deriva molto pericolosa ed un precedente potenzialmente catastrofico. Sembrerebbe che il Governo (e quindi lo Stato) abbia dato facoltà ai privati di soprassedere alle leggi vigenti qualora entrambe le parti interessate siano d’accordo. Lo Stato ha dunque rinunciato ad uno dei poteri (il potere legislativo). Date le premesse, non so cosa possa rimanere del potere giudiziario, se ognuno può farsi le leggi ed i regolamenti a proprio piacimento. La Magistratura verrebbe quindi declassata ad organo di arbitrato. Lo stesso potere esecutivo avrebbe come compito di rendere cogenti decisioni prese da altri. A questo punto, del contratto sociale che rimane?
Matteo B.
Non penso che un accordo aziendale sottoscritto ai sensi dell’art. 8 possa pregiudicare la possibilità di impugnazione del licenziamento. In primo luogo perchè l’accordo in parola può intervenire sulle “conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro” e non sulle condizioni che lo rendono lecito (giusta causa e giustificato motivo). In secondo luogo perchè il diritto all’impugnazione del recesso innanzi al giudice ha un fondamento costituzionale (art. 24, comma 1) inderogabile dall’autonomia collettiva. Infine non vedo come possa sostenersi che una deroga siffatta sia finalizzata a realizzare le finalità di cui al comma 1 dell’art. 8 (maggiore occupazione, emersione del lavoro nero, ecc.)
Matteo m
In teoria da una prima lettura della norma: il lavoratore impugna, il giudice dichiara illegittimo il recesso e condanna il datore di lavoro a …. Applicare l’accordo collettivo che disciplina le conseguenze del recesso (ad es risarcimento del danno pari a tot mensilità anzicheé alla reintegrazione nel posto di lavoro). Ma questa norma va considerata nell’insieme delle altre norme che compongono l ordinamento giuridico ed internazionale e prima di aver fatto questa comparazione non di puo’ esser certi della sua effettività ne della non contrarietà a norme di rango superiore.
Anonimo
Il lavoro è un diritto…quindi una ricchezza “privata” e in quanto tale salvaguardata….
Alessandro
Leggevo su un quotidiano qualche giorno fa che la norma prevede altresì che il datore di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa (diciamo usufruendo della deroga dell’art. 8) debba corrispondere al lavoratore 13 mensilità. Ora mi chiedo (da giovane precario che si è appena affacciato sul mondo del lavoro): Non è forse questo un modo per disincentivare il datore di lavoro a firmare un contratto a tempo indeterminato preferendogli un contratto a scadenza?
gerardo l.
L’analisi come al solito è interessante. L’idea dei diritti minimi inderogabili, uguali per tutti i lavoratori, mi sembra una buona idea. Il problema in Italia è sempre lo stesso, le cose ragionevoli che possono contribuire a migliorare i rapporti sociali non vengono accolte con favore, non tanto dai cittadini/ lavoratori quanto da coloro che dovrebbero rappresentarli. Le ragioni? Credo che siano tutte da ricercare nella scarsa Democrazia e nell’autorefrenzialità delle organizzazioni. Più il sistema è ingarbugliato e più cresce il potere di negoziazione di ciascuna organizzazione. Una sola cosa in merito al salario minimo fissato per legge. Mi risulta che nei Paesi nei quali il criterio è stato adottato, periodicamente, viene adeguato. Non ritengo questa una pessima cosa e mi piacerebbe che la cosa venisse chiarita.
Stefano Slataper
Giuridicamente, non c’é nulla di inverosimile nel fatto di rendere una certa disciplina dispositiva con il non lieve limite della attribuzione della disponibilità solo a certi soggetti. L’unico neo di ‘sta faccenda è quello che identificate voi e cioé il fatto che alla legge spetta dire quali sono i limiti. E qui il nostro legislatore ci sta dicendo che, a dire il vero, insomma, cioé…. quale sia il limite non lo sa e che si arrangino le parti sociali. E’ una mostruosa debacle politica non sapere più indicare cosa va bene e cosa non va bene. La nonna si può ammazzare o no? Boh, non so , dipende dall’andamento della borsa.