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ZERO TITOLI PER UN POSTO A VITA

I concorsi universitari di questi mesi sono gli ultimi con le vecchie regole. Soprattutto per i ricercatori sono gli ultimi che garantiscono il posto fisso. Ed ecco che prima all’università del Piemonte Orientale poi in quella dell’Insubria, vincono gli unici due candidati che non hanno alcuna pubblicazione vagliata da valutazione esterna. La buona notizia è che alcuni commissari non hanno votato per i vincitori. Ma non è accettabile che i ricercatori che hanno pubblicazioni sottoposte a giudizi rigorosi debbano sottostare a verdetti come quelli di Alessandria e Varese.

In attesa che le nuove norme per il reclutamento dei docenti universitari, decise dall’ex-ministro Gelmini, entrino in vigore, si stanno svolgendo in questi mesi gli ultimi concorsi con le vecchie procedure. I posti da ricercatore di queste tornate concorsuali sono assai ambiti perché sono ancora per posizioni a tempo indeterminato, mentre secondo la nuova normativa i vincitori avranno contratti a tempo determinato con una valutazione finale che deciderà del loro passaggio alla tenure (cioè al posto a vita). Ma il fatto che si tratti degli ultimi concorsi con le vecchie regole non può giustificare esiti del tutto contrari a ogni elementare concetto di meritocrazia.

PRIMA NEL PIEMONTE ORIENTALE…

Qualche mese fa, in un concorso per ricercatore per il settore SECS P01 Economia politica presso l’università del Piemonte Orientale, una candidata con zero pubblicazioni refereed (cioè soggette al vaglio di un valutatore) e zero citazioni (senza cioè che qualcuno avesse citato i suoi lavori) era stata dichiarata vincitrice. Anzi, per essere precisi: aveva vinto il concorso l’unica candidata con nessuna pubblicazione soggetta a valutazione esterna e nessuna citazione! (La tabella con le pubblicazioni può essere trovata qua). Tutti gli altri candidati avevano pubblicato qualcosa? Peggio per loro, aveva deciso la commissione. Poi, una petizione di un gruppo di ricercatori e dottorandi, dall’originale nome di “SECS in the cities”, appoggiata da professori con base sia in Italia che all’estero, aveva indotto il rettore del Piemonte Orientale a non firmare i verbali del concorso. Ma la soddisfazione è durata poco.

…POI A VARESE

Proprio la settimana scorsa, l’università dell’Insubria (sede di Varese) ha chiuso un concorso per ricercatore per il settore SECS P02 Politica Economica. La tabella con le pubblicazioni dei candidati la trovate qui. Il vincitore è facile da identificare: è quello che ha tutti zero nelle varie caselle. Leggendo i verbali del concorso si deduce che in realtà il vincitore ha una pubblicazione su rivista (di cui però non si riesce a trovare traccia sul web) e cinque capitoli di un unico volume collettaneo curato dal presidente del commissione giudicatrice. Tre di tali capitoli sono coautorati proprio con il presidente della commissione. Ognuno tragga le proprie valutazioni.
È bene dire che nei concorsi c’è sempre un margine di discrezionalità. Commissari diversi possono arrivare a conclusioni diverse sui meriti dei vari candidati. E gli indicatori bibliometrici non sono certo l’unico criterio da adottare nelle valutazioni comparative tra candidati. Ma i concorsi di Alessandria e Varese hanno questa peculiarità: i vincitori sono gli unici ad avere una serie di zeri negli indicatori bibliometrici, in altre parole, nelle dimensioni “oggettive”. Saranno anche dei ricercatori di talento che produrranno molto nel futuro, ma fino a oggi non ne abbiamo alcuna prova.
Nel caso dell’Insubria la situazione è peggiore di quella del Piemonte Orientale, dato che l’esito del concorso è già stato firmato dal rettore e certificato dal sito del ministero. Non so bene cosa si possa fare a questo punto concretamente. Ma due cose vanno dette. La prima è che in entrambi i casi un commissario su tre ha votato per un candidato diverso dal vincitore, mostrando che non tutti i docenti sono uguali. Non ripetiamo il solito refrain dell’università italiana senza meritocrazia, per favore. È vero spesso, purtroppo, ma non sempre. La seconda è che, come sa bene chi prova a mandare i suoi lavori alle riviste internazionali, l’attività di ricerca è per la maggior parte di noi una serie di schiaffi (sotto la forma di lavori respinti per la pubblicazione) interrotta da brevi momenti di felicità (le accettazioni). Molto più facile è la vita di chi scrive e pubblica senza sottoporsi alla disciplina della valutazione dei referee. Proprio per questo non è giusto e non è accettabile che i ricercatori che si sono impegnati e hanno pubblicato debbano sottostare a verdetti concorsuali come quelli di Alessandria e Varese da soli. Il nostro silenzio sarebbe per loro uno schiaffo in più.

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23 commenti

  1. simone volpato

    Non mi sorprendo, ed una provocazione, dell’esito anche in relazione al fatto che nell’affaire Martone, che qualche pubblicazione l’aveva, la commissione ha giudicato le potenzialità future del candidato. In questo caso i vincitori sono stati investiti di una grossa responsabilità: dimostrare che sanno fare ricerca. Come scriveva Cesare Pavese alla Pivano “attenta a non fare come i corvi che vanno tra i pavoni con le code finte”.

  2. arturo

    A caserta, presso la seconda università di Napoli, in un vecchio concorso ha vinto un giovane sconosciuto – alla maggior parte dei giovani studiosi – grazie all’appoggio di due membri su tre. Con un cv scadente ha portato a casa un bel posto a vita. Ma come può accadere che nessuno reclami e, ancor più grave, che nessuno, pur sapendo, prenda provvedimenti?

  3. filippo gregorini

    il problema, a mio modesto parere, è il seguente: il membro di commissione che vota per un candidato “inadeguato” o comunque “meno adeguato di altri candidati” non è comunque responsabile della scelta. nel senso che nessuno gli chiederà di rispondere del suo voto (in termini di reputazione, perlomeno). se ai commissari potesse essere imputato il “costo” di una scelta sbagliata (sempre in termini di reputazione, fondi di ricerca etc.), credo che si potrebbe agevolmente risolvere o perlomeno mitigare il problema. poi serve una precisa volontà politica di imprimere una svolta in senso meritocratico e trasparente, ma questo è un altro (e più complesso) discorso…

  4. Marinella Esposito

    È bene ripeterlo ancora e ancora: gli indicatori bibliometrici non sono una misura oggettiva e valida di qualità scientifica. Sono solo una misura di visibilità. Uno viene citato spesso perché dice delle cose sbagliate vale come uno che viene citato per dire cose sensate. Poi sono falsati dagli editori delle riviste scientifiche che ormai ricattano gli autori: o citi altri articoli in questa rivista (per fare aumentare il fattore di impatto o non ti pubblico. Inoltre sono distorti in favore delle riviste anglosassoni. In realtà gli indicatori bibliometrici sono una grande trovata commerciale di Eugene Garfield e del suo ISI, che si è arricchito convincendo gli altri che lui aveva trovato degli indicatori oggettivi per misurare il merito. Tutto falso, ovviamente. Infatti in giro per il mondo li stanno abbandonando (vedi Australia). In Italia arriviamo sempre in ritardo. C’era chi voleva il nucleare quando tutto lo stavano abbandonando, adesso ci affidiamo agli indicatori bibliometrici quando gli altri li stanno già scartando…

  5. Alessandro Cigno

    Sono assolutamente indignato. Bisogna dare ampia pubblicita’ ai nomi dei presidenti e dei commissari implicati.

  6. S. De Panfilis

    Premessa: provengo da un altro ambito accademico e probabilmente nelle scienze esatte tutto e’ coseguentemente esatto, incluse le eventuali tabelle. Il suo articolo mi e’ sembrato dunque un po’ lezioso nel discutere quanto gli esempi da lei riportati siano rappresentativi di una tendenza generale. Il fatto e’ noto. E non e’ moda recente, ma inveterata. E non e’ affatto vero che non la regola non sia scritta, ma e’ anzi stampata con caratteri di fuoco nelle menti di tutti coloro che si avvicinano, tremebondi o strafottenti, al cospetto di una commissione per un concorso universitario. E nonostante tutto, con una certa ritualita’ un poco stantia, si riscopre ciclicamente il concorso truccato o la commissione prevenuta, la parentela nascosta piuttosto che la vigliacca rappresaglia. Il parlamento e’ certo la sintesi dell’Italia intera. L’universita’, con le sue eccellenze e le sue mediocrita’, lo e’ dell’Italia colta, preparata, della classe dirigente, che, sapientemente dirigendo, ha diretto nella direzione sbagliata. Il problema non e’ di chi o come recluta chi o cosa, ma di chi si assume o meno la responsabilita’ di quanto fatto. E purtroppo quest’assunzione latita a tutti i lvelli.

  7. Mario F.

    Caro professore, meno male che ci siete voi a fare queste segnalazioni! Ma non c’è modo di rifare perlomeno il primo dei due concorsi, quello non ratificato? E non sarebbe possibile trovare un meccanismo perché queste selezioni siano più trasparenti? Ad esempio lei come ha trovato queste informazioni, se posso chiedere?

  8. liliana palermo

    …..adesso capisco perchè la Gelmini era tanto odiata !!!ha cambiato le regole del feudo !!

  9. Damiano Vezzosi

    Perché non è ancora entrata in vigore, se è stata approvata oltre un anno fa?

  10. arnaldo pascoli

    In risposta a chi commenta che gli indicatori bibliometici non sono una misura di qualità pongo una semplice domanda (o due). Chiedo se sia meglio, a parità di preparazione, un candidato con un minimo di impatto o comunque citato pur con tutte le magagne (potenziali) descritte dalla signora esposito o un candidato COMPLETAMENTE sconosciuto a qualsivoglia rivista come ne caso di quelli citati nell’articolo? e poi esiste in natura (rectius: solo in Italia) il genio incompreso dalle riviste?

  11. patrizio monfardini

    Caro Prof, mi pare abbastanza ovvio che quando i posti a tempo indeterminato scarseggiano si scatenano i peggiori istinti per sistemare i propri protetti. Io stesso ho qualche esperienza passata in merito. Il problema è che chi firma per far vincere uno con zero pubblicazioni poi non ne risponde in nessuna sede. E magari lui stesso è stato a sua volta selezionato così. E il meccanismo si ripete. Uno che vince così immeritatamente sarà per tutta la vita a disposizione di chi gli ha regalato il posto di lavoro. Sarà schiavo. Si può fare buona ricerca da schiavi? Io ho qualche dubbio

  12. AM

    giustissimo suscitare clamore per una situazione del genere, ma attenzione con le generalizzazioni. Scrivere nella home page “…Per il momento vediamo solo concorsi in cui vengono promossi sistematicamente coloro che non hanno alcuna pubblicazione.”, è inesatto e dannoso. Diversi degli ultimi concorsi vedono vincere candidati con tanti titoli e pubblicazioni.

  13. Vincenzo

    C’e’ un disperato bisogno di questo tipo di denunce !! E’ importante che queste cose si sappiano e vengano denunciate in pubblico il piu’ possibile facendo i nomi e cognomi dei raccomandati. Sarebbe bello che la lista di queste persone fosse di pubblico dominio cosi’ che tutti possano prenderne visione anche quando scelgono a quale universita’ iscriversi.

  14. AM

    Indubbiamente le pubblicazioni sono un elemento oggettivo di valutazione, ma spesso, come rileva l’Autore, è difficile farsi pubblicare gli scritti. Le riviste ambite sono bombardate da paper e possono pubblicarne solo alcuni, indipendentemente dalla qualità. E la difficoltà di farsi pubblicare, a parità di valore dello studio, non è eguale per tutti. Entrano in scena allora altri fattori come il giro di conoscenze e di esperienze accademiche internazionali, il prestigio dell’ateneo e della scuola di appartenenza. Il referaggio non è sempre cieco, ma anche quando lo è, vi sono alcuni referee notoriamente indulgenti o frettolosi e altri arcigni che bocciano quasi tutto. Basta smistare il paper alla persona giusta e il gioco è fatto.

  15. Fabio Ranchetti

    Concordo, con un 'proviso': non facciamo però "di tutta l'erba un fascio". Negli ultimi due recentissimi concorsi a ricercatore di Economia Politica (uno non ancora chiuso) a cui ho partecipato, come commissario, i vincitori sono/saranno (per quello ancora non chiuso) ricercatori/ricercatrici di primissimo 'livello'. Penso che lo stesso sia accaduto e stia accadendo anche in altri concorsi di Economia Politica. I casi citati non sono la norma.
    La reputazione presso l'intera comunità scientifica (non solo nazionale) è qualcosa che, a molti di noi, sta a cuore.

  16. Mario Milani

    Magari abolendo il posto a vita per tutti a cominciare dagli attuali ordinari e subordinando i rinnovi contrattuali alla valutazione della ricerca e della didattica si potrebbe iniziare a risolvere il problema. Si dovrebbe anche legare la distribuzione ordinaria dei fondi alle università e ai singoli dipartimenti valutando la produttività scientifica dei dipendenti. in questo modo la responsabilità nell’assunzione di un candidato poco qualificato risulterebbe in un danno economico concreto. in tal modo i dipartimenti sarebbero obbligati ad assumere i migliori ricercatori se non vogliono chiudere per mancanza di fondi.

  17. marco

    Abbiamo strapagato politici e consorterie in questi venti anni-Da tangentopoli in avanti i partiti non sono riusciti a mettere un ministro della pubblica e della ricerca degno di nota e competente in materia; senza una guida competente che organizzi un sistema efficiente nessuna azienda può ben funzionare-pensiamo solo che la nostra scuola risente ancora nell’impianto dell’impostazione data da Gentile e che nonostante l’innalzamento dell’obbligo scolastisco nessuno ha pensato di fare una riforma dei cicli-L’università purtroppo ricorda ancora il sistema medioevale feudatari-vassalli-valvassori e servi dela gleba strutturatosi nelle corporazioni volute dal fascismo-forse sarebbe arrivato il momento di cambiare qualcosa…che ne dite? e poi vogliamo spiegare una volta per tutte ai ministri cosa sono i neutrini!?

  18. bob

    Per chi non ha la mentalità o l’abitudine al merito (in Italia l’80% delle persone) si possono fare tutte le leggi che vogliamo l’inganno si trova sempre. Per cui vale la regola, che la legge come una casa regge con fondamenta solide, cioè se non si ha una base culturale solida e quindi una visione del mondo ampia, possiamo fare tutte le leggi che vogliamo.Io provengo da una famiglia di piccolissimi imprenditori, con un papà che per far ripartire la sua attività nel dopoguerra si è fatto 5 anni di miniera in Belgio per racimolare in tempi brevi capitale. Il sottoscritto ha lavorato per una multinazionale canadese dove a fine mese contavano solo i numeri. Mi scuso se illustro la mia storia ma la porto da esempio di come uno la può pensare. Ci sono intere famiglie che per generazioni di padre in figlio sono ricorse al politicucchio di turno per avere un posto. Le regole per questi sono inutili!

  19. giovanni prarolo

    Attenzione fausto (e tutti quelli che spingono sul confronto riportato nelle tabelle), sostituisci il nome dei candidati che hanno vinto nei due famosi concorsi con un qualsiasi job market candidate uscito da una top N americana: molto probabilmente avrà ZERO pubblicazioni, ZERO citazioni, etc.: ci saremmo forse lamentati se avessero preso il candidato “americano”? O avremmo applaudito alla lungimiranza delle commissioni? perchè non “alzare il livello dello scontro” e puntare su finanziamenti alla ricerca pesantemente condizionati alla qualità? allora sì che ci penseranno due volte a prendere tizio invece dell’americano…

  20. Marcella Corsi

    I casi citati nel”articolo sono solo la punta di un ICEBERG. In tempi non sospetti, e lontana dai clamori del web, avevo denunciato l’alto tasso di concorsi da ricercatore “truccati” ovvero ad alto livello di protezione: l’analisi era stata fatta sui verbali (all’epoca cartacei) dei concorsi da ricercatore in discipline economiche, svoltisi nel corso di più di un decennio. Dato interessante: il tasso di protezione tra i vincitori era più alto per gli uomini che per le donne, e aumentava nel tempo! Chi è interessato guardi “Che ‘genere’ di economista?: la professione di economista nell’università italiana”, Il Mulino 1999 (relativo capitolo).

  21. Giorgio

    Credo che ultimamente si stia focalizzando un po’ troppo l’attenzione solo sulla ricerca. Conosco casi di docenti (professori o ricercatori) che hanno ottenuto il loro posto sulla base della pregievole produzione scientifica, e poi si sono dimostrati dei menefreghisti completi verso la didattica e le incombenze burocratiche (scaricando tutto sui loro ricercatori precari, che così sono più segretari che ricercatori…) per dedicarsi solo alla ricerca (c’è pure qualche caso che ha smesso di fare anche quest’ultima, tra l’altro…). Nessuna azienda al mondo assume sulla base del solo voto di laurea, allo stesso modo non vedo perché un’Università non debba valutare i candidati sulla base anche delle loro caratteristiche di affidabilità, serietà e capacità didattica (non mi si dica che i ricercatori non dovrebbero far didattica, visto che l’hanno sempre svolta ed è certamente più utile alla nazione rispetto al 99% delle ricerche campate per aria e lette da nessuno, pubblicate a raffica solo per seguire la moda anglosassone del publish or perish).

  22. Fabio Sabatini

    Concordo con quanti ritengono che un uso indiscriminato degli indici bibliometrici possa arrecare dei danni. Ciò che a me sembra determinante, nella tabella presentata dall’ormai famigerato blog, è il fatto che – al di là degli indici – a quel concorso abbiano partecipato dei ricercatori che hanno pubblicato su riviste referate e abbiano, tutti, perduto contro un candidato che la fatica logorante del peer review evidentemente non la ha mai affrontata, come testimonia anche la mancanza di working paper in inglese nella sua produzione. A me, molto francamente, non importa niente della fila di zeri nelle caselle degli indici bibliometrici. Quella, concordo coi tanti detrattori della bibliometria, potrebbe anche non voler dire nulla. A scandalizzarmi, in tanti casi di concorsi dubbi come quello dell’Insubria, sono gli zeri nelle caselle che riportano, semplicemente, l’elenco delle “pubblicazioni su rivista” dei candidati vincitori.

  23. Giacomo

    Qualche lettore ha commentato l’ottimo articolo di Panunzi con un radicale “aboliamo il posto a vita!”. Il rischio di reazioni populistiche da parte di tante persone esasperate è presente e scusabile. Tuttavia il problema qui non è la durata del contratto o la forma contrattuale. Il problema è l’esame: il titolo corretto dell’articolo sarebbe dovuto essere “VINCERE UN CONCORSO PER TITOLI CON ZERO TITOLI”. Questo è lo scandalo: fare delle regole con il solo scopo di aggirarle. Il peso dei titoli andrebbe stabilito ex ante, non lasciato alla discrezionalità della Commissione. Esempio pratico: “avere un articolo pubblicato su una delle riviste scientifiche appartenenti al seguente elenco (seguirà elenco) attribuisce 5 punti aggiuntivi per ogni pubblicazione…” etc. E così via. Tutto deve essere scritto e riscontrabile senza troppe difficoltà da chi voglia chiedere ragione della decisione presa. Se si lascia troppa discrezionalità nel “pesare” i titoli da commissione a commissione, da Ateneo ad Ateneo, da anno ad anno… Non si potrà mai parlare di concorso pubblico oggettivo, ma di recite basate su copioni prestabiliti.

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