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UN AUMENTO EQUO DELLE TASSE UNIVERSITARIE

Ringrazio Andrea Ichino e Daniele Terlizzese per la loro risposta puntuale al commento critico all’articolo di Daniele Checchi e Marco Leonardi. Nella possibile riforma strutturale che andrò a proporre terrò in considerazione, sottolineando punto per punto, gli elementi portati alla luce da Ichino-Terlizzese.
Questa mia ipotetica proposta di riforma del sistema universitario italiano si basa sull’idea che, allo stato attuale dei fatti, ulteriori modifiche marginali alla vigente struttura avrebbero costi (sia di implementazione che di accettazione sociale) molto superiori agli eventuali benefici. D’altro canto i benefici derivanti dal ridisegnare ex-novo l’intero sistema avrebbero verosimilmente luogo solo dopo diverso tempo. Da qui l’idea di una possibile ristrutturazione del solo sistema di tassazione che faccia da base a nuove migliorie come, ad esempio, quelle illustrate dai due autori sopracitati che ben si integrerebbero con il mio modello teorico.

VECCHI GLI ATENEI, VECCHI GLI STUDENTI

Per decidere in quale modo riformare l’attuale sistema di rette universitarie  bisogna concentrarsi su quelle che sono le principali inefficienze dell’attuale sistema. Una criticità da cui partire è, a mio avviso, l’elevatissimo numero di studenti fuori corso. Parlando dei soli corsi di studio triennali nel 2010 il 40% degli studenti era iscritto fuori corso e il 60% si era laureato oltre i tre anni canonici. Non bastassero questi dati, di per sé preoccupanti, va detto che solo il 13% degli iscritti risulta avere un’età inferiore ai 22 anni, mentre il 34% ha più di 27 anni. Il dato che però desta maggiore perplessità è che il 27% delle facoltà in Italia non abbia nel 2010 alcuno studente laureatosi con meno di 22 anni: ciò significa che più di un corso di laurea su quattro produce solo studenti “vecchi”. Non c’è da stupirsi dunque se si parli dell’università italiana come di un vero e proprio parcheggio.

LA PROPOSTA

Personalmente credo che un buon sistema di incentivi potrebbe ridurre queste inefficienze. Quello che propongo qui è infatti un modello che riduca parallelamente il numero di studenti fuori corso,  concentrando gli abbandoni solo dopo i primissimi anni dall’immatricolazione.
Una possibile soluzione sarebbe quella di alzare le “rette relative”, ovvero la quota di retta a carico dello studente che attualmente è di circa il 20% a fronte del 80% finanziato dallo stato. Ad esempio, queste quote potrebbero invertirsi:  il che equivarrebbe, secondo le ultime stime di Federconsumatori a far pagare circa 5000 euro ad ogni studenti e i restanti 1000 allo stato. Con i soldi così risparmiati sarebbe possibile istituire nuove borse di studio sia per chi non ha la possibilità di affrontare le spese universitarie sia per gli studenti meritevoli.
Il sistema di incentivi potrebbe essere strutturato in modo che, dopo aver sostenuto un test d’ammissione per l’immatricolazione, alla fine di ogni anno accademico la retta venga parzialmente rimborsata in funzione della media dei voti ottenuta dallo studente. Una media del 30 e lode su tutti gli esami dell’anno equivarrebbe a una completa esenzione dalla tassa. Di fatto questo comporterebbe per gli studenti bravi la necessità di ottenere un prestito solo per il primo anno, andando a pagare in media meno di quanto non paghino nel sistema attuale. Questo invece non varrebbe per gli studenti meno bravi, che dovrebbero confrontare la nuova spesa universitaria, superiore a quella del sistema vigente, con i rendimenti attesi dell’istruzione terziaria. L’incentivo economico, inoltre, concentrerebbe gli abbandoni solo nei primi anni ed eviterebbe non solo le situazioni estreme (anche se attualmente piuttosto ordinarie) di studenti che si ritirano dopo 6-7 anni passati fuori corso ma anche lo stesso numero complessivo di studenti fuori corso. Ovviamente continuano a valere le considerazioni sull’avversione al rischio già ben illustrate da Andrea Ichino e Daniele Terlizzese nella loro risposta che menzionavo prima.
Nella retta così strutturata sarebbero compresi infine tutti i servizi offerti tipicamente dall’università, quali lezioni, accesso alle strutture ecc…, ma un solo tentativo di esame. Dal secondo tentativo lo studente dovrà pagare un supplemento per ogni volta che lo sosterrà. I supplementi in questione potrebbero essere strutturati in diversi modi: potrebbero essere delle tasse fisse per ripagare i costi di gestione oppure potrebbero essere anch’essi funzione della media ottenuta in precedenza e/o del numero di volte che si tenta il medesimo esame. Questi però sarebbero solamente un inasprimento aggiuntivo del sistema di incentivi, in quanto è verificabile che il solo rimborsare la retta universitaria anno per anno in funzione della media ottenuta, aumentandone però l’entità, sarebbe di per sé sufficiente ad ottenere sensibili miglioramenti per le problematiche qui trattate.
Una trattazione più analitica sia dei dati sopraesposti che del modello in questione è disponibile nel file allegato.

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L’ATTESA

10 commenti

  1. Pietro Biroli

    L’idea mi piace, ma secondo me e’ importante far si che davvero ci sia un solo tentativo per esame, oppure che le penalita’ per la ripetizione dell’esame siano abbastanza elevate da non indurre gli studenti a rifiutare sistematicamente voti sotto una certa soglia. Altrimenti basta continuare a fare l’esame fino a che non si prende 30 e lode e ci si laurea a 29 anni ma “a gratis”. Inoltre bisogna prendere in considerazione l’eventualita’ di inflazione dei voti e la particolarita’ italiana di poter “contrattare” il voto di un esame orale: studenti che supplicano i professori per avere un voto maggiore, altrimenti “devo pagare troppo e non me lo posso permettere”.

  2. Cecilia

    Un sistema di incentivi basato sulla media dei voti presuppone che il voto rifletta in modo effettivo e coerente il merito dello studente. Non è proprio così: ad esempio il livello dei voti varia da una facoltà all’altra (è noto che le facoltà umanistiche hanno medie più alte), da docente a docente, e ci sono corsi più “facili” e più “difficili” (sia corsi di laurea sia corsi di insegnamento singoli). Ciò attirerebbe studenti verso corsi in cui è possibile prendere voti alti più facilmente, indipendentemente dalla qualità dell’insegnamento, anzi probabilmente a scapito di essa (i corsi fuffa sono già alquanto popolari, immaginiamoci se ti fanno pagare meno tasse!). Addio valore aggiunto della laurea! Un’alternativa potrebbe essere legare la riduzione delle tasse non al livello della media dei voti ma alla posizione nella distribuzione: ad es. il 10% degli studenti con voti più alti pagherebbe poche tasse, il 10% con voti peggiori pagherebbe molto e tutto quello che si vuole in between. Anche questo potrebbe creare qualche distorsione ma dovrebbe assicurare che gli incentivi vadano effettivamente ai più bravi (almeno relativamente) e non ai soliti furbetti.

  3. Giorgio

    Francamente fatico a capire i vostri ragionamenti, tutti quelli espressi nei diversi articoli. Capisco il punto di partenza, la mancanza di risorse, e capisco il punto di arrivo, bisogna trovare queste risorse prelevandole dagli studenti e dalle loro famiglie. Tutto quello che sta in mezzo, da non economista, mi pare economicismo. Prendiamo il caso degli studenti fuori corso “che si ritirano dopo 6-7 anni passati fuori corso”. Qual è il problema che volete risolvere? Per come la vedo io il problema è che ci sono persone che vorrebbero portare a compimento gli studi ma che non ci riescono, questo dal punto di vista degli studenti, e che ci sono persone che se sono in grado, per la loro formazione predecedente, di completare gli studi dovrebbero poterlo fare nei tempi previsti e se non sono in grado dovrebbero rendersene conto presto e lasciare l’università, dal punto di vista della società. Come un sistema di regole e di tasse punitivo potrebbe risolvere il problema mi sfugge completamente. Cordiali saluti.

  4. Alessio Rampini

    Ottima proposta che però medierei con chi meritoriamente lavora per mantenersi allo studio e che non andrebbero MAI penalizzati.

  5. Ettore

    L’idea di legare la tassazione universitaria ai risultati raggiunti è buona, ma non mi sembra una novità. Già oggi questo meccanismo opera, tenendo conto dei voti ricevuti e dei crediti formativi (su questi bisognerebbe ragionare…). In pratica la proposta residua sarebbe di innalzare le rette. Per quanto riguarda la penalizzazione per chi sostiene lo stesso esame più di una volta, non mi sembra corretto. E non in linea con la volontà di premiare il merito. Tantopiù che con l’informatizzazione delle procedure universitarie il costo del singolo esame si è enormemente ridotto. Spingere gli studenti ad accettare voti che essi non ritengono in linea con la loro premiazione è demotivante e potrebbe produrre un livellamento verso il basso del profitto degli studenti. Un ragionamento serio andrebbe fatto sul meccanismo dei cfu, che pretende di pesare oggettivamente la difficoltà e la mole di ogni insegnamento, e questo è veramente assurdo.

  6. Roberta

    Sono d’accordo con l’articolo, l’università deve essere un impegno serio. Per quanto riguarda le borse di studio avrei una modesta proposta: abolire i sussidi in denaro e convertirli al 100% in servizi allo studente. Libri, trasporti, mensa e alloggio oppure affitto pagato dall’ente per il diritto allo studio. Il tutto calibrato a seconda del tipo di studente: fuori sede o no e a seconda della facoltà: architettura e medicina per esempio comportano spese maggiori. In questo modo, credo, si otterrebbero diversi vantaggi: l’emersione di parte dell’immenso “nero” che affligge le città universitarie con la stipula di contratti regolari con i privati e l’impegno per la qualità degli appartamenti sicuri e decenti. A ciò aggiungo sarebbe disincentivata l’avidità che porta molti non bisognosi a fare carte false per aggiudicarsi quelle somme. Propongo inoltre pene molto più severe in caso di dichiarazioni mendaci. Durante gli anni di studio universitario per ben due volte mi sono vista soffiare la borsa di studio da figli di evasori che infatti spendevano quel denaro in divertimenti rischiando al massimo di non poterle più ottenere per ilo resto degli anni di studi

  7. Matteo de Pamphilis

    Condivido lo spirito generale delle proposte, in particolare apprezzo la proposta del rimborso e del tentativo unico. Esprimo un’unica perplessità legata alla mia personale esperienza. Frequento l’ultimo anno della facoltà di giurisprudenza dell’università di Bologna, ho la media del 28 e non mi considero dotato di particolari qualità di studente. In effetti, nella mia esperienza ho visto molti esaminatori dal trenta facile, il che si tradurrebbe, secondo la proposta dell’articolo, in un problema economico per un ateneo. Come fare in modo di rendere selettivi anche i singoli esami? Forse scardinando quella preminenza dell’oralità tipica di tante facoltà?

  8. stefano mosca

    Non penso che il solo aspetto economico così come proposto risolva il problema. Ogni studente in base al corso di laurea prescelto dovrebbe impegnarsi su un numero minimo di esami da superare nell’ anno o nel biennio. Se tale obiettivo non sarà raggiunto ci potrà essere una deroga ( con regole molto chiare) dopo di che sarà allontanato. Risultato: minor numero studenti per corso, più attenzione del docente verso lo studente e sopratutto ragazzi motivati a completare gli studi

  9. Carlotta Modesti

    Una proposta come quella fatta nell’articolo è inapplicabile, per diversi motivi. Il primo è una ragione sociale: a tutti, anche ai migliori, capita di avere difficoltà di applicazione, di studio o semplicemente di superamento di un esame, considerando anche i rapporti umani sottostanti alla mera prova. Certuni studenti, per quanto dotati, potrebbero trovare ostacoli di difficile superamento ad uno o più esami. Tra questi, potrebbero trovarsi studenti lavoratori e/o studenti nella fascia minima, i quali dovrebbero fare sacrifici francamente ingiusti per ottenere una seconda/terza/ennesima chance a cui hanno attualmente diritto pagando la tassa d’iscrizione annuale. Dall’altro lato della barricata troveremmo una massa bovina di figli di papà (diverse gradazioni, medesimo concetto) ai quali la mora non cambierebbe in alcun modo l’esistenza, anzi. Come fumare, come bere, come bruciarsi le sinapsi con la cocaina, questa ridicola invenzione diventerebbe uno status quo, una tacca sulla cintura di chi “se ne frega”, di chi è trasgressivo con la carta di credito altrui. Ad maiora.

  10. bocciolo

    Una volta i fuoricorso non le pagavano le tasse perché avevano già pagato tutto durante gli anni in corso, dovevano solo terminare gli studi ricevendo i servizi per cui avevano pagato, non si capisce perché non si debba farli finire dopo che lo Stato ha pagato per loro già tanti soldi. Fin quando fruttano si tengono e dopo si buttano? Il problema è che bisognerebbe dividere i costi della ricerca da quelli della didattica, e gli studenti dovrebbero essere tenuti fuori dai costi della ricerca. Chi riceve un solo euro pubblico non può alzare le tasse, altrimenti lasci la struttura pubblica e vada ad insegnare in una privata. In realtà bisognerebbe creare concorrenza tra Università pubbliche, private, ed altri percorsi di formazione fuori dai contesti universitari. Mettendo queste tre alternative in competizione tra loro sarebbero costrette ad offrire il meglio. Lasciando la formazione superiore solo nelle mani dell’ Università, in un’ ottica di monopolio non si migliorerà mai niente.

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