La mancanza di sbocchi lavorativi per i laureati italiani è un problema serio. Tuttavia, a renderlo ancora più grave contribuiscono le scelte dei giovani, che spesso si orientano verso le facoltà umanistiche tralasciando quelle scientifiche o manageriali. Dovremmo invece seguire l’esempio di Singapore, un paese che non ha risorse naturali, ma che negli ultimi anni è cresciuto più dell’Italia. Perché ha investito nel capitale umano dei suoi giovani e oggi produce, in proporzione, il doppio dei nostri ingegneri e manager, un ottavo dei nostri avvocati e un quarto dei nostri umanisti.
Il Corriere della Sera ha di recente pubblicato un articolo dal titolo I laureati italiani? Sempre più disoccupati. (1) Ovviamente, la mancanza di sbocchi lavorativi in Italia è un serio problema. Però credo che sia reso ancora più grave dalla scelta improvvida della facoltà universitaria.
IL CAPITALE UMANO DI SINGAPORE
Nel 2004, quando insegnavo alla University of Pennsylvania, mi capitò sotto mano il libretto universitario più spettacolare che abbia mai visto: doppio major (laurea, diciamo) in economia e matematica, tutti A (il voto più alto possibile), e percorso universitario finito in tre anni invece di quattro. A chi apparteneva questo libretto? A Jasmin Lau, studentessa di Singapore, una delle due arrivate quell’anno a University of Pennsylvania con una borsa di studio dello Stato di Singapore.
L’aneddoto rivela un fenomeno più generale. Singapore sta facendo qualcosa di buono con i suoi studenti. Infatti, se guardiamo i punteggi Pisa del 2009 gli studenti di Singapore risultano secondi al mondo per capacità matematiche, mentre lItalia è al trentaquattresimo posto in classifica. (2) Singapore è anche una delle nazioni cresciute più velocemente negli ultimi trenta anni, e infatti ha ampiamente scavalcato l’Italia per Pil pro-capite. (3) Le due cose sono collegate: Singapore cresce non perché abbia risorse naturali–non ne ha–ma perché ha capitale umano.
COSA STUDIANO A SINGAPORE?
E allora, se Singapore ha capito tutto dell’istruzione, perché non andare a guardare cosa studiano i suoi studenti? Mi riferisco in particolare alla distribuzione degli studenti fra le diverse discipline di studio perché una cosa che mi ha sempre colpito dell’Italia è quante persone studiano discipline come Filosofia, che hanno scarsi sbocchi lavorativi.
Ho perciò costruito la seguente tabella incrociando i dati Istat sulla tipologia delle lauree rilasciate nel 2004 da corsi di 4-6 anni, con i corrispondenti dati per Singapore. (4) Naturalmente per riconciliare le differenti classificazioni ho dovuto fare alcune scelte un po’ arbitrarie, ma nulla che infici il messaggio di fondo. La tabella riporta le percentuali di laureati per disciplina. Si nota come i laureati italiani si concentrino su discipline umanistiche, mentre quelli di Singapore si concentrano su discipline scientifiche e manageriali.
Se prendiamo Singapore come un modello di una nazione che vive di capitale umano, che mi sembra debba essere la vocazione dellItalia, vediamo che non solo c’è una differenza di livello di istruzione (vedi i punteggi Pisa), cè anche una differenza di composizione della coorte dei laureati. Non è dunque troppo sorprendente che un sistema come quello di Singapore, che produce il doppio (in proporzione) dei nostri ingegneri e manager, un ottavo dei nostri avvocati e un quarto dei nostri umanisti, sia più capace di innovare e di crescere.
MA L’UMANESIMO PAGA?
Perché gli studenti italiani sono così sbilanciati a favore delle discipline umanistiche, non solo rispetto a Singapore, ma anche rispetto a qualsiasi concezione realistica della composizione della domanda di lavoro? È possibile che, in una maniera o nell’altra, tutti gli umanisti che produciamo se la passino meglio degli scienziati?
Per saperne di più mi rivolgo di nuovo all’Istat. La tabella seguente riporta un altro dato sul campione dei laureati italiani di cui alla tabella precedente: la percentuale dei laureati in ogni disciplina che, a tre anni dalla laurea, avevano un lavoro di tipo continuativo, dipendente, e a tempo indeterminato, il mitico “posto fisso” insomma.
La tabella evidenzia considerevoli discrepanze che vanno più o meno nella direzione che ci si aspetterebbe. Eccetto per i geo-biologi, i laureati in tutte le discipline scientifiche hanno una probabilità di impiego fisso superiore al 50 per cento, così come i laureati in discipline economico/manageriali. Nessun’altra disciplina raggiunge la soglia del 50 per cento.
Metto subito le mani avanti: la tabella dà un quadro troppo netto. Gli architetti, per esempio, non sono quasi tutti disoccupati: lavorano, e anche in modo continuativo; ma lo fanno come lavoratori autonomi (50,9 percento di essi, secondo lIstat)mentre la tabella riporta solo i lavoratori dipendenti. Per questa ragione la tabella va interpretata con cautela. Ma, nonostante questa limitazione, credo che la misura che ho scelto sia comunque correlata con quello che intendo misurare, cioè la facilità per i laureati di trovare un buon lavoro stabile. (5) Tenendo a mente la cautela interpretativa, la tabella ci dà comunque un messaggio: le discipline umanistiche non pagano, quelle scientifico/manageriali sì. O, per essere più precisi, è più facile trovare un lavoro dipendente a tempo indeterminato laureandosi in scienze o economia, che non in discipline umanistiche.
In conclusione: è vero che è difficile trovare lavoro, però è vero anche che la popolazione investe nel tipo di capitale umano meno vendibile sul mercato del lavoro.
(1) Larticolo, pubblicato sul Corriere della Sera del 6 marzo 2012, riprende un rapporto di Almalaurea sul mercato del lavoro che è interessante e consiglio a tutti.
(2) Pisa, Programme for International Student Assessment, è unindagine internazionale promossa dallOcse che mira ad accertare con periodicità triennale conoscenze e capacità dei quindicenni scolarizzati dei principali paesi industrializzati.
(3) Passando da un reddito pro capite pari al 40 per cento di quello Usa nel 1980, all’82 per cento nel 2010. Il rapporto Usa/Italia nello stesso periodo è rimasto praticamente invariato.
(4) Si veda, rispettivamente, “I laureati e il mercato del lavoro: Inserimento professionale dei laureati. Indagine 2007”, a cura di Francesca Brait e Massimo Strozza. Prospetto 1.2, pag. 16. E Ang Seow Long, “Gender Differentials in Fields of Study among Graduates”, Statistics Singapore Newsletter, September 2006.
(5) Misure che includono lavoro autonomo, occasionale, etc. sarebbero a mio giudizio meno utili perché sospetto che alcuni (molti?) di quegli architetti che si dichiarano lavoratori autonomi non abbiano abbastanza lavoro. Ecco perché ho preferito riportare la percentuale di lavoratori dipendenti come misura della facilità di trovare lavoro.
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Michele Filannino
A me sembra che di laureati, a prescindere dalla tipologia del titolo, in Italia ce ne siano fin troppi (probabilmente un raffronto con Singapore in termini assoluti più che percentuali gioverebbe). Credo che un aspetto considerevole sia quello delle scuole professionali, snobbate da quasi tutti gli studenti italiani in favore dei licei. Cosa ne pensate?
marco marini
L’articolo non prende in considerazione il fatto che diventare ingegnere oggi in italia è molto più difficile che diventare avvocato e non tutti possono riuscirci per cui la differenza di stipendio consecutiva molto bassa non incentiva la scelta di professioni tecnico scientifiche e non tutti i giovani (specie quelli di cultura medio alta) basano la scelta sul posto fisso ma vogliono anche un ritorno economico correlato alla difficoltà del piano di studi. altra cosa strana è che si evidenzia il dato in difetto per gli architetti che sono liberi professionisti ma non lo si dice per gli avvocati che sono quasi tutti ancora più liberi professionisti. per cui i dati sono abbastanza poco significativi. il dato significativo è invece che Singapore ha fatto una scelta e la persegue in modo coerente e sta ottenendo dei risultati. ultima nota di critica: ma chi l’ha detto che le professioni umanistiche non debbano esser valorizzate ? siamo sicuri che l’economia abbia bisogno e ‘assorba’ in modo non distorto tutti questi tecnici ? faccio notare che il ceo di intel, ottolini, è da 10 anni un italo americano laureato in economia e non un ingegnere come invece consuetudine in quel settore.
Gabriele Marcelli
Io sono un ingegnere e, in linea di massima, condivido le tesi dell’articolo: in Italia c’è bisogno di più tecnici, economisti, scienziati e meno avvocati, letterati e comunicatori. Non convidido invece il messaggio di fondo e cioè che sia “colpa” solamente degli studenti italiani, che scelgono di studiare principalmente materie invendibili sul mercato del lavoro: dobbiamo interrogarci sul perché di queste scelte. La responsabilità è anche delle imprese e della classe dirigente, perché in Italia studiare, e studiare sodo, materie difficili come l’Economia, la Matematica, la Statistica, la Biologia, l’Ingegneria, paga *molto* meno che negli altri paesi industrializzati. La triste realtà è che in Italia abbiamo un sistema economico tecnologicamente sottosviluppato: siamo importatori netti di innovazione e tecnologie ed i nostri “tecnici” (tra cui mi metto anche io) normalmente non innovano perché non è ciò che viene loro chiesto nelle aziende, quello che fanno è al più adattare tecnologia sviluppata altrove ai processi produttivi di imprese il cui core business è “vecchio come il cucco” e/o in ogni caso l’innovazione non è vista come un vantaggio competitivo ma come un costo.
Davide
Vorrei riproporre la questione da un punto di vista leggermente diverso: se Singapore avesse le risorse che abbiamo noi in Italia: storia, cultura, monumenti, architettura, arte, musica, teatro, paesaggio, coste, mare, montagna, ecc.. che tipo di studi farebbero i giovani?. Tutto il mondo ci invidia queste ricchezze. Ma noi in Italia per primi non ci crediamo, e da noi le professioni legate a queste risorse (che sono tipiche, specifiche, uniche, nostre, inimitabili) non decollano. Questo potrebbe essere fonte di riflessione a tutti i livelli, come ha evidenziato anche G.A.Stella nel suo ultimo libro (“Vandali”). Invece l’Italia, che pure conta ingegneri, tecnici e scienziati di tutto rispetto, cerca la crescita là dove la concorrenza è più spietata: il mercato globale della tecnologia e della produzione di merci. I filosofi da noi non trovano lavoro, ma forse, potrebbero aiutarci a riflettere un po’ prima di fare le nostre scelte vitali.
Marcello Romagnoli
L’analisi mette in cifra ciò che vado dicendo da anni. Cosa centra la RAI e cosa la vecchia trasmissione di “Colpo Grosso” dove ci si sollazzava facendo vedere ragazze procaci che mostravano il seno dopo le 23 (Ricordano i più maturi il loro ammiccante “Plin, Plin”?). Per altro la trasmissione non era della RAI ma tant’è. Quello che voglio dire è che la RAI dovrebbe fare meno trasmissioni ginecologiche alla “Colpo Grosso” e più informazione del tipo “Guarda ragazza/o che se ti laurei in ingegneria troverai lavoro, in filosofia no. Nei prossimi 10 anni servono dei chimici non dei laureati in lettere” e così via. Inoltre lo Stato dovrebbe abbassare le tasse per quei corsi che laureano figure richieste e dovrebbe alzarle per quelle meno richieste sottoforma di borse di studio date agli studenti più meritevoli.
Coculo
Si scambiano gli studenti con i pacchi da depositare su uno scaffale del magazzino piuttosto che su un altro. Ma se uno non ha alcuna attitudine per l’ingegneria, le discipline manageriali etc, mi spiegate come fa ad intraprendere questi indirizzi? Io, da ingegnere, farei crollare i ponti; da manager colerei a picco le imprese…
Claudia Basta
In un recente articolo comparso sul NYT la filosofa Martha Nussbaum propone una riflessione di orientamento del tutto inverso rispetto alla presente: ovvero elabora sulla necessita’ di superare l’equazione scienze applicate = crescita vs. scienze umanistiche = stagnazione, insistendo sull’apporto fondamentale delle discipline umanistiche alla coltivazione dello spirito critico; che e’ tra le premesse dell’innovazione. Anche io trovo questa contrapposizione semplicistica – soprattutto quando ad esempio viene preso un paese, come Singapore, noto per il suo regime di “soft dictatorship” e dove le sindromi depressive dovute a super-lavoro sono documentate da decenni. Il punto – e lo scrivo da docente universitario presso una facolta’ tecnica – non e’ incentivare la scelta di corsi di studio tecnico-manageriali; ma innalzarne la qualita’ e ridurre la distanza con quelli a carattere umanistico. Il punto, in Italia, e’ far si che i corsi di studio vengano scelti per contenuto e prospettive – e non “ingegneria per faticare – filosofia per vivacchiare”. Una democrazia ha bisogno di buoni ingegneri per innovare – e buoni umanisti per farlo in modo critico; riconoscendo spazio ad entrambi.
Paolo Quattrone
Condivido la necessità di bilanciare l’offerta con la domanda di lavoro nell’ambito delle professioni qualificate. Consiglio però di leggere un libro (“From humanism to the humanities” di Grafton e Jardine) che spiega come le humanities (prime fra tutte la filosofia) siano diventate una serie di discipline fine a se stesse (come poi le scienze) invece di contribuire a generare una classe dirigente che sia attenta allo sviluppo di qualità morali invece di una che si caratterizzi per la maestria in uno skill specifico. Il rischio è di confondere il mezzo (skill) con il fine (moral) e di fare dello skill una nuova morale in sè. Ció mi ricorda un po’ le polemiche sul governo ‘tecnico’ e soprattutto l’arroganza di chi crede di poter ridurre tutto ad una questione di skills. L’ideale sarebbe avere un un ingegnere filosofo o, ancora meglio, un economista filosofo… ma, allo stato, questa speranza manifesta una contraddizione in termini!
campastef
Mi fanno sempre pensare, specie quando mettono a parametro una citta’ stato (ove si parla inglese e cinese) ultraliberista con un paese come l’italia. Il contronto secondo me non regge. Che servano piu’ ingenieri e tecnici rispetto a laureati in discipline umanistiche mi sembra assodato. Altra cosa pero’ e’ valutare la capacita’ del mercato del lavoro di assorbirli ed impiegarli correttamente, data anche la minore dimensioni delle imprese italiane che non si puo’ cambiare dall’oggi al domani. Se un ingeniere fa il lavoro che prima faceva un perito meccanico vale nuovamente il paradigma del laureato in discipline umanistiche che esegue le mansioni di un diplomato. In termini di tempo di vita, si sono comunque buttati via cinque anni in entrambi i casi.
stefano
secondo me, il motivo per cui gli italiani non scelgono le materie scentifiche sta proprio nel fatto che esistono tanti tecnici che sono diventati tali pensando solo ai soldi e alle opportunità lavorative e non alla BELLEZZA DELLA SCIENZA!!!!. Se vogliamo che i giovani si indirizzino verso le materie scintifiche, occorre far riscoprire loro il LATO “estetico” e “umano” delle scienze, non possiamo dire ai giovani di scegliere della loro formazione e futuro calcolando semplicemente le opportunità di lavoro. Secondo voi che risultati potremmo ottenere suggerendo ai giovani di scegliere una facoltà in base alle opportunità lavorative? Pensate a quali potrebbero essere gli effetti controproducenti: i giovani più “svegli” (più entusiasti, vitali, volentorosi e speranzosi) deciderebbero di “opporsi al sistema”. C’è poi la tragedia tipica italiana: pensate a un “genio” scientifico che vive senza raccomandazioni in Italia …. che fine farebbe? dovrebbe ritenersi felice perchè riuscirà più facilmente degli altri giovani italiani a farsi assumere come semplice impiegato?
bob
se ci atteniamo alla Storia, come sempre dovremmo fare, basterebbe prendere un qualsiasi quotidiano e leggere la prima pagina degli ultimi 25 anni. Tutto si legge, ma una discussione concreta su un piano economico-industriale per il futuro di questo Paese non vi è traccia.Le banalità, che un clan politico in particolare, ha imposto alla politica, ha fatto si che il localismo becero ha dominato su una visione lungimirante di cosa deve fare un sistema-Paese per il futuro e con quali cittadini. Su una parte del territorio con maggiore aziende a tecnologia bassissima si sono persi anni su la discussione di introdure l’uso del dialetto a scuola.Non credo che il problema sia ingegnere o filosofo ( Marchioni è un filosofo). Il problema è la cultura. A mio avviso nasce un miglior Ingegnere da un liceo classico che da una scuola tecnica. Le tecnologie attuali permettono che a un perito chimico come me basta 1 anno per apprendere le nozioni tecniche ( non 5 anni di inutile Istituto tecnico). Ma se non sia ha un base culturale “filosofica” come facciamo a comprendere la Matematica? La scuola dal ’69 in poi è stata concepita solo come un ampio parcheggio per “professori” e ” somari”.
Fabrizio Villani
Italy ranking position 24 Singapore ranking position 26 Your argument is invalid. Credere che il problema dell’Italia sia dovuto solo a quello che la gente decide di studiare è veramente una visione piccola della realtà e dei problemi che ci sono da affrontare. Triennale in commercio estero (economia) con tesi su fotovoltaico, specialistica in environment and resource management specialisation energy studies. Futuro disoccupato in Italia… Il problema è che il sistema Italia non è in grado di assorbire personale con alte competenze perchè il nostro sistema economico è indietro di una trentina d’anni. Ingegneri e/o filosofi non cambia, siamo indietro punto.
Marina
Non credo affatto che sia un problema di scelte degli studenti, anzi. So che all’estero i laureati in facoltà umanistiche come Storia o Filosofia sono molto ricercati anche da banche e aziende. Credo sia piuttosto un problema di come sia impostato l’insegnamento in Italia: troppo legato alla teoria e povero di riferimenti al mondo del lavoro. E questo vale, a mio parere, sia per le facoltà umanistiche che per quelle scientifiche. Basta vedere che fine ha fatto l’intuizione di Massimo Marchiori.. in USA è diventata google, da noi è rimasta elegantissima matematica. Come ha puntualizzato qualcuno sopra, l’Italia (a differenza di Singapore) ha un patrimonio culturale e artistico di grandissimo valore, su cui sarebbe sbagliatissimo non puntare. Inoltre, è ora di slegare il concetto di innovazione da quello di tecnologia e di scienza. L’innovazione oggi interessa qualsiasi campo, quello sociale, artistico quello del turismo e della cultura e l’Italia ha un gran bisogno di modalità innovative di promuovere e valorizzare il proprio patrimonio artistico e culturale creando nuove aziende e nuovi operatori.
Angelo Summa
Però consentitemi una battuta: filosofi a Singapore?
giulio
Il neonato secolo discriminerà tra nazioni del bla-bla (le nazioni meridionali) e nazioni serie (le nazioni settentrionali). Le prime sono destinate alla povertà, perché la letteratura, la filosofia, le scienze della comunicazione sono tante belle parole, ma sono anche tanta aria fritta. Le seconde, avendo coltivato una solida base scientifica (lauree serie: ingegneria, fisica, ecc.) potranno sostenere il confronto con i concorrenti (non del “Nuovo”, ma del “Nuovissimo” Mondo: Brasile, Cina, ecc.). Sarebbe meglio che noi italiani, quindi popolazione del sud, ci crogiolassimo un po’ meno nell’aulica celebrazione degli antichi fasti classici e cercassimo di togliere i rifiuti dalle stade di Napoli.
anonimo
Sicuramente la distribuzione dei ragazzi sui diversi percorsi di studio in Italia è fatta male, ma alla fine dei conti è tutto il sistema Italia che è strutturato in maniera difforme di come è il resto del mondo. In Italia tutti i posti di lavoro di potere sono riservati ai laureati in legge (politica, prefetti, diplomazia, banche, etc, etc.). Alla fin fine anche per fare il manager, legge forse è la migliore delle lauree. All’ estero invece si può accedere a tutte queste cariche con qualsiasi laurea, anche per fare gli avvocati non è necessaria la laurea in giurisprudenza. Ma anche per fare i manager, come giustamente leggevo in un commento, se una persona non è portata finirebbe con il portare a rovina un’ azienda, il buon manager lo è dentro, non è la laurea che lo può stabilire, ma i risultati che avrà sul campo. Personalmente penso che in Italia si studi troppo e male, secondo me tre anni di Università andrebbero benissimo, siamo ancora rimasti alle Università del ‘700 che formavano scienziati, ma mica servono tutti scienziati. Ovviamente chi deve fare carriera universitaria dovrà studiare di più, ma non tutti dovranno farla.
marco
Ogni facoltà, anche quelle che creano più disoccupati, come giurisprudenza, cercano di diventare sempre più allettanti per poter attrarre più studenti e guadagnare di più dalle rate versate…Ovviamente in tempi di scarsi stanziamenti pubblici non è facile mantenere insegnamenti e materie dei baroni! Gli studenti sono male seguiti nelle scelte e il servizio di orientamento scolastisco è spesso fatto da docenti che non conoscono la realtà del mercato del lavoro e che non vengono formati per questo…Di che è colpa? Ovviamente dei partiti e della classe dirigente, capacissima di saccheggiare lo Stato e i cittadini, ma mostratasi completamente incapace di gestire e ammodernare il paese; è inutile insistere, nessun paese, come nessuna azienda, come nessuna squadra di calcio possono emergere senza condottieri capaci di creare e gestire sistemi efficienti; pensate che l’impostazione della nostra scuola pubblica risente ancora della riforma Gentile che guarda a caso privilegiava le materie umanistiche rispetto a quelle scientifiche! Tutto quel che leggo è ovvio, l’esempio di Singapore illuminate, ma come realizzare qualcosa di buono con questi mascalzoni da operetta all’italiana!!??
Silvio
Ciò che sappiamo fare meglio, in Italia, è l’analisi. Analizziamo tutto e con soddisfazione smantelliamo tesi altrui. La scelta degli studi è quanto di più individuale e personale esista. I corsi universitari costano troppo per la classe media, considerando sopratutto la scarsa offerta scolastica precedente. Questo è un fattore determinante. E’ un eroe chi ottiene la Laurea nei tempi previsti, se proviene dalle aree svantaggiate del Paese.
Enrico
Argomentazioni molto valide. Ma non si tiene conto di una cosa: tutto il mondo pagherebbe oro per ammirare le opere d’arte italiane, per visitare i nostri musei, per ascoltare la nostra musica. In questo la differenza con Singapore è colossale. Per cui a mio parere, l’analisi è completamente sballata. Che poi ci sia un problema nella preparazione universitaria è cosa evidente, ma di sicuro le materie umanitarie, per l’Italia sono un’arma in più, che nessun’altro paese possiede. Sono know-how unico e incopiabile, per dirlo come piace agli economisti.
Claudia S.
Concordo totalmente con la necessità di più ingegneri e managers, e meno filosofi e avvocati, per stimolare la crescita dell’economia italiana, oltre che per trovare più facilmente lavoro. Tuttavia la tabella “percentuali di laureati con impiego DIPENDENTE dopo 3 anni dalla laurea” è fuorviante: chi studia legge nella maggior parte delle ipotesi eserciterà la libera professione, quindi non sarà MAI un dipendente. Lo stesso accade a molti laureati in architettura. Trovo quindi sia da parte vostra sbagliato dire “nessun’altra facoltà ha percentuali di impiego sopra il 50%”, perchè in realtà si comparano situazioni diverse. Se poi vogliamo dire che il lavoro “dipendente” ha un valore intrinsecamente più alto di altri tipi di lavoro…beh, mi sembra poco in linea con la realtà.
Fabio Q.
Cio che l’autore dell’artcolo evidenzia e’ molto interessante. Tuttavia mi sento di condividere le riflessioni di Davide. L’Italia e’ il paese con il maggior numero di beni inseriti nell’elenco dell’UNESCO (world heritage, cfr. sito internet). Eppure non si riesce a valorizzarlo. I turisti stranieri che arrivano in Italia visitano in netta prevalenza le tre grandi citta’ che non possono non essere viste almeno una volta nella vita (Roma, Firenze, Venezia). Ma poi e’ difficile portarli altrove. Una recente puntata di Report si concentra proprio su questi punti (cfr. http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-11388569-77af-4d72-a688-709c0a05f188.html). Quindi non e’ che chi studia Beni Culturali stia sicuramente sbagliando. Sta sbagliando il Paese che non valorizza i suoi talenti in termini di capitale umano e di beni storici. Forse occorre porre in essere due insiemi di politiche: un gruppo volto a creare le condizioni per mettere a frutto il capitale umano in materie umanistiche iniziando a valorizzare l’enorme patrimonio di beni artistici che l’Italia possiede. Un altro volto ad accrescere la quota di studenti nelle materie che conducono all’innovazione.
Pietro Biroli
Bell’articolo, ma non sono d’accordo sul fatto di fare una “discriminazione” in base al corso di laurea. Anche se ora come ora l’economia richiede tanti ingegneri, potrebbe essere che in futuro abbia bisogno di piu’ filosofi e letterati. E allora perche’ non lasciare il meccanismo al mercato? Si potrebbe fare si che lo studente paghi delle tasse universitarie pari al tasso di disoccupazione dei laureati di quel corso di laurea (e magari di quella universita’): maggiore il numero di disoccupati che viene “prodotto” da una certa universita’+corso di laurea, maggiori saranno le tasse a carico dello studente, meno studenti vorranno fare quel corso. mi pare sia un buon modo di passare “informazione” a chi deve scegliere l’universita’ usando il “prezzo”, che certamente e’ una variabile che le famiglie prendono in considerazione quando scelgono il corso di laurea. Anche dal punto di vista politico sarebbe piu’ equo: lo stato non sussidia le facolta’ che “producono” disoccupazione, mentre da agevolazioni a quelle che producono il tipo di capitale umano che e’ richiesto dall’economia
Marinella Esposito
Mi chiedo come si fa a prendere a modello una città-stato come Singapore, un paese governato da una dittatura, paradiso fiscale e meta di evasori che l’hanno fatto arricchire, un paese senza storia, una marmellata di cinesi, indiani e indonesiani che non parlano nemmeno più la loro lingua perché il governo impone solo l’inglese nelle scuole. Si tratta di un paese che riesce a svilupparsi grazie all’opportunismo tipico delle città-stato. Come va ad essere un “modello” non mi è chiaro. Faccio presente al profesoor Persico, che ogni anno migliaia di ingegneri, fisici, economisti laureati in Italia emigrano all’estero perché non trovano lavoro in Italia. Se non riusciamo nemmeno a trattenere i “nostri” cervelli, che senso ha produrne ancora di più? Il problema evidentemente sta altrove.
pierpaolo riganti
Un conto è sostenere che in Italia ci sia bisogno di un numero maggiore di laureati in ingegneria, matematica, economia, chimica (affermazione saggia e condivisibile) e che, dunque, sia necessario incentivare l’iscrizione a tali facoltà (e magari rendere molto più difficile l’accesso alle facoltà umanistiche), un altro è sostenere l’inutilità delle discipline umanistiche, prima fra tutte la filosofia. Adam Smith,il primo economista della storia, era un filosofo morale!
filosofia
x commento, io lascio parlare i professori, ma personalmente penso che olte al fatto che la filosofia sia una materia scientifica, a me sembra che salendo, salendo, salendo si arrivi per necessità alla filosofia. Anche in matematica e fisica, salendo si arriva alla filosofia. Ma lascio parlare i professori, io non sono molto illuminato, diciamo così, tanto è vero che ho lasciato l’ Università.
Fabrizio
Ingegneri in Italia ce ne sono un sacco, e molto spesso l’entrata nel mondo del lavoro c’è subito, ma con un fisso a 600 mensili. A queste cifre spesso preferiscono fare i piastrellisti, idraulici o elettricisti che invece prendono fin da subito il doppio o il triplo di un primo impiego pre un ingegnere. Quindi non mi sembra che aumentando il numero di ingegneri si possa abbassare la disoccupazione o aumentare l’innovazione. Credo piuttosto che la preparazione possa essere diversa, ma già alle superiori. Tanti scelgono le facoltà umanistiche perchè concludono le superiori con un profondo odio verso la matematica, e la rifuggono cercando facoltà in cui è assente. Allora il problema forse è come si insegna la matematica alle superiori (e forse anche alle medie), e direi anche quale parte della matematica si insegna… Riguardo alla filosofia, conosco diversi “filosofi” che lavorano in banca o alle assicurazioni, e spesso sono i problem solver… insomma sono tra i più pagati perchè di mente aperta. Mi sembra che al momento la posizione delle aziende sia assumere i filosofi in quanto migliori manager sulla piazza!!!
Ingegnere
Forse anche per mancata selezione qualitativa della classe dirigente,di questi ultimi anni nel nostro paese ,posso affermare di aver sperimentato e recepito, raccogliendo i pareri dei miei ex colleghi ingeneri,diventati poi dirigenti e non , un generalizzato scontento sull’esperienza registrata durante la loro vita professionale in particolare agli inizi di carriera, nei rapporti con i capi e con la classe dirigente , che spesso si dimostrava presuntuosa o attenta solo alle cordate di carriera, e senza nessuna attenzione all’inserimento di nuovi collaboratori laureati. Questi che risultavano così abbandonati a loro stessi per la formazione e nell’ inserimento in azienda ,spesso in concorrenza con i diplomati servizievoli che davano minor fastidio alla loro poltrona e carriera . Altre volte si sono trovati come il sottoscritto con i classici ” faccio tutto mi ” che,scarsi di cultura aziendale e dirigenziale ,non hanno mai capito come utilizzare i propri collaboratori al meglio, facendoli lavorare sodo e arricchendo così di professionalità la stessa azienda.
Lucia Pasquadibisceglie
Io sono laureata in Economia. Sono di quelle di cui si ha tanto bisogno in Italia… pare. Eppure mia madre un giorno mi ha guardato negli occhi e mi ha chiesto: “Ma per quello che vuoi fare tu, un giorno lavorerai?” Niente paura, non ho intenzioni bizzarre nè sogni irreali. Mi sono specializzata in Responsabilità Sociale di Impresa. Dopo 3 mesi dalla laurea, lavoravo. Mi sono occupata di sostenibilità ambientale. Ho avuto il privilegio di vincere un tirocinio all’estero ed ho mollato per partire. Il punto è che io sto inseguendo un sogno. La mia laurea è un mezzo per realizzarlo. Ma è la forza del sogno che mi spinge… Conosco le correlazioni, le ho studiate durante il mio percorso di studi. Ma in questo articolo manca una variabile fondamentale: la forza di volontà! Restituiamo ai giovani la capacità di sognare. E ricordate che è un vero sognatore solo colui che lotta non per trasformare un sogno in realtà, ma la realtà in un sogno!
uqbal
Sulla questione dei laureati in lettere impiegati a t.i. c’è un effetto distorsivo del mercato del lavoro italiano: i i letterati diventano in primo luogo insegnanti, ma in questo campo lo Stato, che opera quasi in regime di “monopsonio” non assume a t.i. prima dei 40, e i neolaureati sono esclusi dalle assunzioni per legge (per un difetto della): oggi lo Stato favorisce la disoccupazione nel ramo. Poi vorrei capire che differenza c’è tra scienze umanistiche e belle arti/letteratura. La cosa è curiosa, perché nel secondo caso la differenza con Singapore è lampante, nel primo per nulla. La disparità più evidente poi è tra laureati in legge. Infine: “Insegnamento” non mi è chiaro cosa voglia dire, visto che al momento lo stato non forma insegnanti. Era una maniera impropria di definire “Scienze della formazione”?
anonimo
Se davvero in Italia servono più laureati in materie scientifiche perchè quelli che arrivano come immigrati non trovano occupazione come tali ?? O non vengono qui dalla Francia o dalla Germania etc ?
Piccola Dorrit
Se davvero in Italia servono più laureati in materie scientifiche perchè quelli che arrivano come immigrati non trovano occupazione come tali ?Perchè non vengono da noi ingegneri francesi, tedeschi o belgi, quando invece sono proprio i nostri laureati fisici, matematici e ingegneri ad andare all’estero?
Michele LG.
Sono un ingegnere laureato quinquennale, da più di cinque anni con alle spalle contratti precari e stage. Ditemi voi se ho azzeccato la formazione. E dire che sono anche un gestionale. Purtroppo è il sistema italia che non permette una crescita professionale di noi giovani qualsiasi studio facciamo. Grazie.
Francesco
Dove “i manager” stiano portando questo mondo non è che meriti molto apprezzamento, sicuramente non merita il mio. Mi sembra anche un modo troppo sbarazzino di legare cifre a valutazioni di opportunità: nei numeri di altre nazioni si possono leggere ricette per la crescita anche più efficaci, anche più pericolose.. Il nesso causale sollevato nell’articolo meriterebbe un approfondimento – e se andasse letto all’opposto? Singapore produce decisamente meno umanisti perché non ha un patrimonio culturale paragonabile all’Italia. Certo l’Italia dovrebbe valorizzare meglio il proprio, magari attraverso una migliore gestione (e allora sì servirebbe l’intervento di qualche ingegnere) delle legioni di umanisti sfornate dalle nostre università. Infine, scusi, un professore che si augura “meno filosofi” stride come un cantante che vorrebbe far chiudere giornali – come si può fare scienza senza filosofia? La scienza può avanzare veramente solo affrontando questioni epistemologiche e etiche che fanno ricorso alla filosofia!
claudio giusti
Singapore è considerato lunico paese totalitario di successo, sempre che non si prenda in considerazione la catastrofe del 1997. Sul suo miracolo vi suggerisco di leggere http://media.ft.com/cms/b8268ffe-7572-11db-aea1-0000779e2340.pdf
mauro
dunque facciamo finta che la percentuale di “tecnici” sia la stessa in europa e nei paesi orientali. facciamo il 30%. popolazione europea: ca 730.000.000 popolazione delle sole India e Cina: 2.500.000.000 in pratica 219.000.000 di qua e 750.000.000 di là. ah…di là sono a metà prezzo naturalmente. Non un ottima soluzione per la competività. La mia risposta è semplicistica…esattamente come la sua ricetta. si facciano delle facoltà umanistiche serie, selettive e innovative piuttosto. e competiamo sulla tecnica ma anche sui terreni su cui hanno molto, ma molto di più da recuperare.
euterpe
Mi rifiuto di porre la questione in questi termini, mi rifiuto di concepire sana una correlazione fra realtà diatopiche, storiche e culturali differenti come fra l’Italia e Singapore. L’anteprima è che L’Accademia di Brera è come ” l’impero romano negli anni della decadenza”, il Colosseo si ammala e Pompei crolla. Si, credo che da Storia dell’arte passerò volentieri a Fisica.
LorenzoH402
A Nicola Persico (e non solo) consiglio caldamente la lettura del libro di Martha Nussbaum, “Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica” (Il Mulino, 2011).
Marco
Dalle tabelle risulta che il settore in Italia “troppo gonfiato” è quello giudiziario. Questo probabilmente dipende dal settore giustizia che non funziona come dovrebbe e richiede più energie che in altri paese. C’è da notare che il settore giudiziario, per come è configurato, restituisce poco valore aggiunto. Molte delle risorse che vanno verso gli avvocati provengono da aziende che aspetteranno anni prima di avere un risultato, magari tardivo ed inutile. Allora una ricetta facile e di sicuro successo: snelliamo la giustizia in Italia, un grado di giudizio in meno? Eliminiamo la prescrizione a processo avviato? Facciamo in modo che le parcelle siano concordate all’inizio del processo? Eliminiamo tutta quella burocrazia inutile che spesso porta ad invalidare i processi? Non sono un esperto, ma il modo per rendere più utile ed efficiente la giustizia credo ci sia. Il fatto che la maggior parte dei parlamentari siano avvocati o giudici secondo voi può aiutare o no?
Paolo F.
Mia figlia si è occupata stabilmente già sei mesi prima della laurea breve in Lettere, con un impiego strettamente correlato al suo corso di studi. La mia conclusione è che prima ancora del percorso di studi contano le doti e le capacità (con la sola eccezione del pubblico impiego).
SAVINO
A contribuire pesantemente al problema occupazionale sono le raccomandazioni ed il fatto di preferire le capre alle persone serie. Dove c’è una capra viene assunta, dove c’è una persona seria viene scartata. Essere acculturati e saper pensare fa sempre bene. I veri scienziati sono solo quelli che hanno lasciato l’Italia. A che serve prendere lauree scientifiche se da noi i grossi progetti li fanno fare a dei geometricchi e i grossi bilanci li fanno fare ai ragionieri Fantozzi? Siamo l’esaltazione della mediocrità e dei don Abbondio anche nel tecnico. Laureati a spasso e dilettanti allo sbaraglio nei posti di rilievo.
Luigi Ricco
Mi permetta di obiettare sulle sue considerazioni partendo da un dato di fatto: nelle statistiche da Lei prese in considerazione, la categoria degli informatici è NA. Io sono un informatico. Nella mia sessione di laurea si sono laureati altri 40 colleghi, quindi siamo già 40 NA. Magari noi NA siamo finiti nella categoria dei filosofi? Grazie per la considerazione, Luigi Ricco
Nicola
L´analisi dovrebbe essere integrata con un altro paio di punti che lancio – e com’è il saldo con l´estero? siamo sicuri che non abbiamo ingegneri perché forse le nostre scuole di Ingegneria (o Management) non sono cosí competitivi e la gente preferisce andare all´estero? – Lei se la prende con i filosofi sin dal titolo, ma dimentica categorie come Architetti ed Avvocati. Per esempio, l´Italia ha più studenti di Architettura di tutti gli altri paesi UE-27 messi assieme. Siamo il II paese al mondo per densitá di architetti nella popolazione (dopo il JPN), con le conseguenti devastazioni del territorio che conosciamo bene. Simile per gli avvocati: siamo un paese con in vigore un numero di leggi che non siamo in grado di quantificare. Chiudo chiedendo perche usa solo Singapore come riferimento. Da geografo, è una scelta sbagliatissima perché Singapore è sostanzialmente una città-stato e andrebbe paragonato al più con la Finlandia. L´Italia dovrebbe essere confrontata con paesi di taglia simile e struttura socio-economica comparabile (UK, Francia, Germania, Spagna, Polonia).
Claudio Ferrara
dissento totalmente da questo articolo. Sono laureato in filosofia e sono, con profitto, un cosiddetto “lavoratore della conoscenza” da oltre 15 anni, durante i quali ho contribuito a dare lavoro a diversi giovani con una piccola attività di publishing. Nel corso degli anni ho incontrato decine di laureati in filosofia che sono, con successo, direttori del personale di grandi multinazionali, direttori marketing, fondatori di agenzie di comunicazione e “perfino” informatici. Viceversa ci sono moltissimi ingegneri che fanno gli impiegati o lavorano nei call center. Il problema non sono le facoltà umanistiche, ma l’impostazione troppo teorica di TUTTE le facoltà italiane e un ambiente generale che favorisce poco la valorizzazione delle soft skill, l’indipendenza e lo spirito imprenditoriale. Che senso ha paragonare l’Italia a Singapore? Forse che a Singapore hanno la scala o gli Uffizi, o la nostra tradizione letteraria? Su quale umanesimo potrebbero mai puntare, anche volendo? Invece noi, come spiega bene il recente manifesto della cultura del Sole 24 Ore, abbiamo proprio nella cultura un immenso patrimonio di opportunità e potenzialità da sviluppare.
alessio fionda
molti commenti hanno ragione: il problema è anche il legame con il mondo del lavoro, in italia nella maggior parte delle facoltà pubbliche esso è inesistente. d’altra parte non si comprende l’esistenza di molte facoltà senza sbocchi in particolare nel sud italia. avete idea che cosa sono i concorsi pubblici pieni di migliaia di laureati in giurisprudenza disoccupati la cui maggioranza non voleva fare il dipendente pubblico ma aveva creduto di poter fare il giudice o l’avvocato? inoltre, occorre da subito chiedere un impegno al governo monti perchè le informazioni e la letteratura nel campo dell’orientamento al lavoro siano divulgate massicciamente agli studenti delle scuole medie e superiori. oggi l’orientamento non esiste! solo qualche incontro fuorviante con ex studenti di quella scuola e pochi progetti pilota in qualche buona scuola.. il resto è lasciato alla convinzione sbagliate delle famiglie, alle loro possibilità economiche ed alle illusioni dei ragazzi
Paolo S.
Un breve commento ad un articolo che personalmente trovo pieno di lacune. 1 – Enfatizza la sua critica nei confronti dei filosofi (come se i laureati in materie umanistiche siano solo filosofi) mentre i tantissimi laureati in legge in più vengono sostanzalmente ignorati. 2 – La tabella che lei cita non dice se il posto fisso corrisponde alla laurea ottenuta. Come dire…conosco moltissimi ingegneri che hanno il posto fisso…ma non fanno gli ingegneri. Lei dà per scontato che se ci fossero più ingegneri allora avremmo meno disoccupazione. Ma non si può ragionare in termini percentuali come se i posti liberi per gli ingegneri fossero in percentuale. Sono valori assoluti.Oltre il 50% degli ing. trova lavoro dopo 3 anni (vanno meglio gli ‘economisti’ e i ‘chimici’). Se il numero di ing raddoppia non è assolutamente detto che il 50% rimanga…anzi probabilmente quella percentuale si abbasserebbe drasticamente. Credo sia una ovvietà. Il problema non è aumentare il numero di laureati in ingegneria ma aumentare la richiesta di ingegneri!In Italia nessuno più investe sull’innovazione e sulla qualità.
Fabio Q.
Riprendo il mio precedente intervento sull’opportunità di valorizzare le lauree umanistiche e tecnico-innovative nella convinzione che entrambe le categorie siano essenziali per l’Italia. A questo proposito cito D.J. Teece (cfr. Handbook of the Economics of Innovation, Elsevier, 2010, vol. I, pp.702-3) “6.2. Literati, numerati, and entrepreneurs There are three categories of talent required for innovation: the literati, the numerati, and entrepreneurial managers. The first two are closely related. The literati and the numerati are the highly educated classes of specialists. The literati tend to have both undergraduate and, usually, graduate education in arts and sciences, economics, business, or law. The numerati are likewise highly educated, with capabilities in mathematics or statistics, information systems, computer science, engineering, or accounting and finance. Both groups synthesize and analyze, but the former tend to be more specialized at synthesis and the communication of ideas” … “Firms must pay great attention to understanding how best to attract, retain, and motivate their most productive literati and numerati”
Lorenz
Sono laureato in discipline umanistiche, e per trovare lavoro (in azienda) son dovuto andare all’estero. Insomma, se ci sono opportunità, il lavoro c’é anche se si é meno “tecnici” é più “filosofi”, basta non aspettarsi di trovarlo in Italia. Il problema in Italia, é anche (tra i tanti) il surplus di offerta. L’università in Italia non é più luogo di selezione e formazione, bensi di svago (fatevi un giro nelle facoltà), cui tutti accedono, e tutti si laureano. Tanti giovani non dovrebbero fare l’università e basta, ma imparare altri mestieri: elettricista, idraulico, artigiano, ecc. in modo da poter diventare liberi professionisti e imprenditori, anziché disoccupati…
Giuseppe
Sono un ingegnere e a volte con i colleghi ci sentiamo operai sfruttati del XXI secolo. In Italia il lavoro di ingegnere potrebbe farlo un qualunque diplomato. La realtà è che neanche per noi ci sono prospettive, e il lavoro è di qualità bassissima!
Luca G.
Che serva un po’ più di cultura scientifica è indubbio. Mi chiedo se questa cultura debba esser così scissa nel sapere collettivo tra chi è ingegnere e chi è filosofo. Mi spiego: conosco, purtroppo, troppi ragazzi che escono dall’università (ramo umanistico) senza saper inviare una mail, senza saper usare un PC (che oggi è uno strumento come ieri era l’auto), senza capire le minime basi di logica e matematica, senza parlare l’inglese. Da qui il dipendente che di fronte la minimo problema sul pc si blocca, da qui i costi di una burocrazia cartacea vergognosa, da qui il segretario che non può comunicare con un cliente estero… tutti esempi di costi che magari, con un’ora di storia delle religioni in meno e un’ora di lingua o informatica in più, potevano essere risolti. Detta in maniera parabolica: perchè se conosci 2 frasi di Dante sei acculturato mentre se conosci i principi della termodinamica sei un freddo tecnico?
Michela Palombo
L’articolo è incernierato attorno ad un luogo comune che è sbagliato perchè anacronistico. Secondo tale ingenuo (se proposto ingenuamente) luogo comune in Italia sarebbe più opportuno che i giovani scegliessero studi ingegneristici, o scientifici in genere, in modo tale da avere maggiori opportunità di impiego lavorativo. Da almeno vent’anni chi in Italia si laurea in Ingegneria e debba contare solamente sulle sue qualità (senza nessun privilegio onomastico o di casta) si trova davanti uno scenario dinamico e stimolante: la gioiosa disoccupazione oppure la proposta di “contratti” a 600-800 euro al mese per lavori per i quali non serve una laurea in Ingegneria. Cosa fa allora il nostro Ingegnere? In molti casi se ne va fuori dall’Italia dove lo scenario è molto più monotono e scontato: un contratto in regola per un lavoro da Ingegnere con una paga (stranamente) assai più alta. Chi rimane in Italia è molto più fortunato: ha la possibilità di “arricchirsi professionalmente” passando (se è fortunato) da un lavoretto sottopagato all’altro nella prospettiva “sfidante” di arrivare a fine mese pagando affitto, carburante, bollette, cibo e “vestiti da Ingegnere” con 800 euro al mese: nice!
Giorgio A.
L’autore ha forse scordato che la crescita economica di Singapore è anche legata al fatto che si tratta di uno dei principali paradisi fiscali e centri di riciclaggio del denaro sporco del mondo. Si fa presto a paragonare la moderna Tortuga, con tutti le risorse che ruba, con l’Italia che invece non può “tosare”, previa “pulizia”, i capitali sporchi portati dall’estero.
Lucio Zaltron
lavorare di + (quantità) e + a lungo ( età) oppure lavorare – (tempo) e lavorare TUTTI ? Sono convinto che la risposta giusta sia la seconda ipotesi !
oltre
Ma sinceramente tutti questi problemi di quello che uno ha studiato succedono solo in Italia. Si potrebbe vivere così bene e felici, invece no dobbiamo complicarci la vita perché dobbiamo mantenere privilegi e rendite di posizioni. Sarebbe tutto più facile, devo assumere? non mi frega niente di quello che hai studiato o se hai studiato, stabilisco un criterio di selezione, se lo superi il lavoro è tuo. Che mi frega di quello che uno studia? perché quello che si studia deve essere discriminante? ognuno studia quello per cui è portato, poi per un determinato lavoro se supera la selezione lo fa, altrimenti passa ad altro, senza guardare quello che ha studiato o se ha studiato. Ma mi rendo conto che io ho una mente troppo oltre.
Massimo Lanfranco
Sono un geologo e prima di discutere l’articolo verrei sottolineare che non concordo con l’accorpamento del settore geo-biologico. Competenze e sbocchi professionali completamente diversi. Comunque, parlando di competenze scientifiche ed umanistiche, mi hanno appena inviato questa call, che invito a leggere perché dimostra la vera differenza tra i sistemi di formazione superiore: qui chiudono la Scuola di Dottorato in Scienze Strategiche (che ho frequentato) per assenza di finanziamenti, là aprono un centro di ricerca (http://www.rsis.edu.sg/about_rsis/career.html) inviando l’offerta di lavoro a ricercatori di tutto il mondo.
Francesca
Il problema è che in Italia il lavoro qualificato non c’è e i lavori che si trovano sono tutti demansionamenti pagati pochissimo. La maggior parte delle persone nella fascia 25-40 anni percepisce salari bassi sotto i 1300 euro (sempre che abbiano un lavoro), qualunque sia la specializzazione. E siamo qui tutti a processarci di aver sbagliato studi, a se studiavo quello, allora adesso sì che andava meglio…ma siamo tutti messi così! Io faccio parte del gruppo linguistico come laurea, parlo perfettamente inglese e tedesco, non è che questo mi sia servito a molto. Sono un’impiegata a 1200 euro al mese, è il meglio che sono riuscita a trovare, il mio diploma sarebbe stato più che sufficiente per raggiungere lo stesso risultato. Il problema è il sistema Italia e non tanto le scelte delle singole persone, che ormai sembrano tutte sbagliate…c’è stata una svalorizzazione generale della laurea da 20 anni a questa parte.
Gutul
Il vero problema, a mio giudizio, è la facilità con cui si riesce ad ottenere la laurea in Italia. Tanto per dire, la media dei voti di tutti gli esami del corso di Scienze Politiche (o filosofia, o lettere, o biologia) nell’università in cui ho studiato, si aggira attorno al 28/30. Ciò significa che larga parte degli studenti si laurea con la lode. Ora, sono tutti uguali questi studenti? Tutti bravi allo stesso modo? Ovvio che no! E allora, se devo assumere un laureato, come lo scelgo? Hanno tutti la lode, come discrimino? Semplice: li pago meno, dato che è probabile che io fallisca nel mio intento di selezionare un buon candidato. Questo sistema è perverso, abbatte la qualità dello studio e falsifica profondamente il mercato del lavoro (impedendo la selezione per merito). Le colpe? Delle università che se ne fregano e stanno al gioco per avere soldi dallo stato. Eh già, perché giustamente se i tuoi laureati hanno voti più alti (ovvero se i corsi sono più facili, ovvero se hai più iscritti) l’intelligentissimo stato italiano ti da più soldi. Robe da matti.
Andrea F.
caro Professor of Managerial Economics and Decision Sciences, perchè dall’alto della tua posizione ti metti a scrivere articoli che sono pura caciara mediatica? l’obiettivo di avere decine e decine di commenti di dis/approvazione è raggiunto ma il contenuto scientifico è fracamente molto povero. singapore demograficamente non esiste! la germania invece ha la stessa distrubuzione di laureati dell’italia (dati OECD) ma non viene neanche considerata. a quando un confronto con il liechtenstein o con il principato di monaco?
Alberto
La prima cosa che mi viene in mente leggendo l’articolo è che il paragone tra Italia e Singapore non è corretto. Vogliamo ricordare che è grazie alle materie umanistiche che l’Italia è quello che è oggi? Che la storia dei due paesi è differente quanto l’acqua e il fuoco, che la cultura è la ricchezza dell’Italia e che ancora oggi riesce a tenerci a galla, nonostante tutto? Poi se ci vogliamo limitare alla freddezza dei numeri, che di per sè non contano nulla, scriviamo pure roba del genere….questo articolo lascia il tempo che trova.
Enrico Montini
Sono ingegnere dal 1988. Dipendente, 1600 euro al mese, come il diplomato che ha iniziato a lavorare a 20 anni. Perché dovrei consigliare ad un giovane di fare come me?
davide
Servono più filosofi e meno ingegneri. Lo stesso Ciampi ha conseguito una laurea in lettere a Pisa. I problemi della crescita stanno nella preparazione insufficente data agli studenti universitari che quindi studiano poco, nella mancanza di apertura mentale che prevede l’inserimento di persone capaci al di là del tipo di laurea che hanno in mano.Se una persona ha gli strumenti per studiare, sa applicarsi e sopratutto non è semplicemente un tecnico che esegue a comando ma ha capacità critica può riuscire anche con una laurea in filosofia, anzi sopratutto se ha una laurea in filosofia. P.S Io non sono laureato in filosofia e faccio l’informatico!
Michele T
Sono un ingegnere di 43 anni che lavora come dipendente presso una grossa azienda di consulenza. I clienti sono (erano?) nomi altisonanti del panorama industriale italiano. In questo momento vedo che i giovani ingegneri non riescono a piazzarsi sul mercato se non con grossi sacrifici in termini di mobilità o di salario che incidono sulle scelte della famiglia. Siccome parliamo di persone che hanno quasi 30 anni ed escono da un lungo percorso di studi, quanto ancora devono sacrificarsi? Sempre meglio che non lavorare? Deve essere questo l’incentivo per laurearsi? Troppo rischio. Occorre valutare dove e come si desidera vivere quindi cercare di entrare nel modo del lavoro al più presto.
Alessandro Balestrino
Non so se una città-stato con governi autoritari sia un buon termine di paragone per una società complessa come la nostra e non so neppure quanto i dati proposti veramente supportino la tesi dell’autore. Ma il lavoro sollecita riflessioni importanti. Certo, anziché accentuare la distinzione fra le due culture alla CP Snow, mi parrebbe doveroso sottolineare che i saperi umanistico e scientifico si nutrono a vicenda: un buon filosofo deve sapere di ingegneria e un buon ingegnere deve sapere di filosofia. E tuttavia la formazione interdisciplinare di base non la dovrebbero fornire le università ma le scuole superiori, che invece tendono a specializzarsi fin dal primo biennio che pure è dell’obbligo. La didattica della matematica e delle scienze è debole, specie alle scuole elementari dove dovrebbe invece essere curatissima; e le materie scientifiche, a causa della specializzazione precoce e forte di cui sopra spariscono o quasi da molte scuole superiori. Io insegno una materia economica all’università. Quanti dei miei studenti mi dicono di non aver mai fatto fisica! E però, quanti non hanno mai fatto filosofia! E, si badi bene, tutte e due le categorie hanno difficoltà…
fagottino
Bene, allora si fa un bel fagottino, con dentro un esame di matematica, uno di fisica, uno di informatica, uno di chimica, uno di educazione civica e si fa studiare a tutti anche nelle facoltà umanistiche e giuridiche.
Maria Luisa Delvigo
Trovo preoccupante soprattutto il brusco e generalizzato calo di immatricolazioni: è senzaltro un pessimo segnale. Abbiamo uneredità culturale vasta e impegnativa e il diritto/dovere di conservarla e trasmetterla (questo è il senso della parola tradizione): per fare ciò bisogna conoscerla, cioè studiarla. Se fossimo in grado di gestire fruttuosamente i nostri beni culturali e artistici, avremmo un settore in grado di assorbire molti dei nostri laureati in materie umanistiche (non ci sono solo Pompei e il Colosseo che si sbriciolano, ma Biblioteche Nazionali, e non solo, prive di organico, ricchissimi musei e preziosi archivi privi di fondi e personale, ecc. ecc.). Quanto al numero degli iscritti alle facoltà umanistiche, credere che vi si studi aria fritta (come qualcuno dice) spinge anche i poco vocati a intraprendere studi sbagliati. Dalla scuola non viene poi nessun incoraggiamento a un auspicabile incremento degli studi scientifici: p. es. le preziose ore di sperimentazione che rafforzavano la preparazione matematica degli studenti del classico sono sparite, ma, niente paura, è stata cancellata anche unora di italiano al ginnasio…così abbiamo risparmiato!
Gabriele
Sono ingegnere, la penso come Giuseppe, in Italia il lavoro di un ingegnere lo fà il diplomato. Bassissima qualità del lavoro.
Milena Cuccurullo
In verità, dall’Istat risulta che nel 2001 i laureati in ingegneria erano 18.432, mentre quelli del gruppo letterario erano 15.051; economia contava il doppio dei laureati del gruppo politico-sociale (27.416 contro 13.806), maggiore persino rispetto ai giuristi (24.471). I filosofi erano appena 2.977. Non mi sembra che ci sia una carenza di ingegneri e manager. Il problema principale dei laureati italiani è invece l’altissima probabilità di essere sottoccupati, visto che sono troppo qualificati rispetto al nostro sistema economico e industriale. Se si guardano i dati sulle assunzioni previste dalle imprese «si conferma il dato [ ] di una concentrazione delle assunzioni previste verso titoli di studio più bassi» e, nel dettaglio, delle assunzioni previste nellindustria del Centro-Nord per il 2005, il 37% riguardava giovani con licenza media, il 10% laureati. La situazione peggiora a Sud, dove il 46% delle assunzioni nellindustria riguarda giovani con licenza media e il 3,9% laureati. Le assunzioni di personale intellettuale, scientifico e specializzato da parte delle imprese si riducono al 5,1% nel Centro-Nord e al 3,2% nel Sud. Se la domanda è bassa, lo è anche l’offerta.
joker
Vorrei dire solo che è ora di smetterla di spingere ragazzi ad intraprendere un corso di studi in ingegneria ( sempre che questa non sia ingegneria gestionale) perché difficilmente si troverà un occupazione degna di questo titolo. Molto meglio lavorare subito dopo le scuole superiori. Sicuramente si avrà uno stipendio più dignitoso.
AZ
… perche’ abbiamo bisogno di esportarne di piu’? La retorica sullo STEM shortage sta dilagando, vedo. Di solito si citano anche India e Cina, a causa del loro alto numero di laureati tecnici, collegandolo con i tassi di sviluppo di quelle nazioni. Singapore e’ piuttosto demode’, tant’e’ che (nel silenzio pressoche’ generale) le grandi multinazionali hanno cominciato a disinvestire e a chiudere centri di ricerca, laggiu’. L’aumento di offerta di laureati tecnici al limite potrebbe servire ad abbassarne il potere contrattuale e ad abbassarne ulteriormente le retribuzioni (si potrebbe assistere all’esaltante spettacolo di ingegneri/chimici/biologi che al loro primo impiego vengono pagati meno di un apprendista falegname – imperdibile, una immensa soddisfazione per chi non possiede il sudato pezzo di carta). Mettere il perito a fare il mestiere del laureato e’ un vecchio vezzo italico, e senza politiche VERE di incentivazione alla ricerca privata e all’assunzione di laureati (non brevi) sara’ ben difficile intaccare questa realta’.
Roby
E’ storia vecchia, hanno già aumentato il numero degli ingegneri, risultato? Meno lavoro, più precariato, sfruttamente e sottoccupazione. Uno che si iscrive a filosofia, non ha in mente di andare a progettare case, quindi paragonare un ingegnere a un filosofo o a un medico non ha nessun senso, non c’è competizione di questo tipo tranne forse che nel settore pubblico dove magari per certi posti un pezzo di carta vale l’altro. In generale agli annunci per ingegneri non va a rispondere uno laureato in storia e letteratura antica. Eppure di lavoro non ce n’è. Sono ingegnere e ho un sacco di amici ingegneri giovani. La manna è finita una volta bastava essere ingegneri e il lavoro era assicurato, ce n’erano pochissimi, oggi non è così. Ci sono già troppi ingegneri e non c’è abbastanza lavoro per tutti, chi dice che vuole aumentare sempre il numero sono sempre e solo le aziende e i datori di lavoro che cercano di sfruttare al più possibile le risorse che hanno, pagando un ingegnere come un operaio. E poi in Italia non si fa manco più un tubo, di grossi lavori civili proprio non ce ne sono, nel campo dell’elettronica la penisola è già affondata parecchi anni fa, resta un po di meccanica…
Roby
Sono d’accordo con questo “Il problema è che il sistema Italia non è in grado di assorbire personale con alte competenze perchè il nostro sistema economico è indietro di una trentina d’anni”. E’ come nascere in Africa: che futuro vuoi avere anche se studi? L’unica prospettiva è scappare.
Alfredo
Sono anni e anni che mi sento ripetere che c’è un gran bisogno di ingegneri! C’è un gran bisogno di ingegneri per pagarli ancora meno del quasi niente che guadagnano. Gli ingegneri in realtà sono troppi. Il ragionamento è questo: perché pagare un diplomato o un perito quando ad un prezzo perfino minore puoi avere un ingegnere??? Sono ingegnere, ho molti amici ingegneri. Per lavorare ti obbligano a diventare una finta partita iva. Così la retribuzione è totalmente libera e le tasse e i contributi te li paghi tu. E così spendono la metà di quanto spenderebbero per avere un qualunque dipendente. Vieni anche tu a fare l’ingegnere: preparazione molto profonda e lunga per fare un lavoro di bassissima qualità pagato meno di un cassiere del supermercato. Però vuoi mettere la soddisfazione di non avere ferie pagate ne’ la malattia e buttare metà delle misere fatture mensili in tasse e contributi previdenziali, per poi avere lo Stato che con gli studi di settore e con i minimi previdenziali ti estorce una paccata di soldi anche se non guadagni nulla !?
Elena
Mi sono fatta 16 anni di precariato prima di diventare ricercatrice universitaria in fisica. Un anno ho lavorato in un IRCCS con una borsa di studio. Il capo era un americano. Durante il colloquio per l’assunzione mi disse: non mi importa niente di che tipo di laurea hai, anche se sei laureata in lettere ma sai elaborare i dati di risonanza magnetica ti assumo lo stesso, se non lo sai fare ti caccio. In qualunque parte del mondo il sistema di assunzioni è diverso da qui. Non cerchiamo di nasconderci dietro le false statistiche: i miei studenti laureati in fisica con 110 e lode e dottorati stanno andando tutti all’estero per trovare lavoro. E di solito sono molto apprezzati, alla faccia delle classifiche in cui le università italiane non entrano mai!
Cinzia Cirillo
Sono una donna e sono anche ingegnere. Mi sono laureata nel 1994 con lode. Mi ricordo di aver mandato 50 curriculum in aziende italiane e 2 in aziende estere. Dall’Italia non ho mai ricevuto nessuna risposta, nemmeno un cordiale invito a riprovare in tempi migliori. Invece ho ricevuto subito una telefonata da Londra e un invito per un colloquio in Olanda. All’epoca non parlavo nemmeno inglese. Risultato lavoro stabilmente all’estero dal 1997. Comunque invito tutti a seguire la propria vocazione. Non bisogna essere ingegneri per lavorare e tantomeno per essere felici.
Francesco Buonocore
Sono un ing. elettronico di 31 anni che, per fortuna, ha un posto di lavoro dignitoso. Credo di essere un miracolato rispetto ai miei ex-colleghi di università anche di quelli che hanno conseguito la laurea con votazione migliore. Al giorno d’oggi, se potessi tornare indietro, completerei gli studi all’estero per poi rimanervi oppure se dovessi progettare un futuro in italia preferirei fare il pizzaiolo o il commesso, mestieri senz’altro più retribuiti ed apprezzati. saluti.
Marco
Sono un ingegnere informatico di 30 anni e guadagno 1500 euro mensili nette, lavoro a tempo indeterminato da 5 anni. Sono soddisfatto ? Boh … non sono disoccupato e il lavoro mi piace, ma prendo 300 euro meno della segretaria. Non penso di guadagnare molto di piu’ di un operaio (anzi forse guadagno anche un po’ meno di certi operai ) Il problema dei bassi stipendi secondo me rimane enorme.
perro
Avremo automobili stupende, calcolatori divini, ponti meravigliosi, ma nessuno si ricorderà a cosa servono!!! La disputa galimbertiana sulla “opportunità” di spingere gli studi scientifici rispetto agli studi umanistici non ci ha insegnato nulla? La filosofoa al mondo è servita più degli ingegneri… L’imposizione tecnocrata ha fatto si che si scambi per cultura la tecné degli studi tecnici!
Davide
Sono ingegnere da 4 anni, laurea vecchio ordinamento a Padova. Lavoro in una multinazionale e lo stipendio è di appena 1400 euro al mese. Se questi sono i risultati… ragazzi, non studiate ingegneria. Piuttosto fatevi una qualsiasi esperienza all’estero appena diplomati. Poi se avrete la forza di rimanervi fatelo, non tornate qui perchè solo i figli di papà e gli amici di avranno uno stipendio dignitoso.
Roby
Ho letto certe fesserie nei commenti, del tipo “La scienza può avanzare veramente solo affrontando questioni epistemologiche e etiche che fanno ricorso alla filosofia!”. Ma che cosa centra? La cultura e l’approccio scientifico non hanno niente a che fare con psicologia, filosofia, lettere, religione, etc. Si possono scrivere enciclopedie… e sull’interpretazione dei sogni e possono essere tutte diverse ed ugualmente valide, in matematica, 2+2 può fare solo 4. Ci sono persone che hanno davvero un complesso di inferiorità/superiorità per aver fatto scienze umanistiche? Cominciamo a togliere l’appellativo di “Scienza” a tutte quelle facoltà umanistiche come Scienze della comunicazione, Scienze dell’educazione, Scienze politiche, etc. Non esiste che al Politecnico mettano anche solo un esame che si chiami Filosofia della frattura, ahah. Anche se si parla spesso di letteratura scientifica, la prosa, la forma, la lingua, le figure rretoriche e il persuadere, non conta proprio niente in quel tipo di lettere. Cominciamo a ragionare invece sul fatto che una volta c’era solo il primario, poi con la rivoluzione industriale il secondario che ora sta scomparendo… cosa faremo domani?
Claudio
E’ vero, in Italia ci sono pochi ingegneri (e chimici, e vattelapesce ecc.) e troppa gente che si rigugia nelle facoltà umanistiche. Ma perchè avete preso proprio i filosofi come esempio delle facoltà umanistiche? Io sono laureato in filosofia, e ho naturalmente avuto difficoltà enormi a trovare un lavoro, ma l’ho trovato. Ma non mi risulta che i filosofi sono così tanti in Italia, e non vedo proprio che cosa ci “azzecchi” la filosofia con le altre materie umanistiche. Vi sono branche della filosofia per comprendere le quali altro che ingegneri che ci vogliono. E’ vero che la filosofia è una disciplina inutile per definizione. Essa non ha acluna utilità se non la conoscenza di alcuni “fondamenti” o assenza di tali nelle varie discipline, dalla scienza, (e anche all’ingegneria se vogliamo) all’arte. Una delle più grandi economie del mondo, gli USA, hanno prodotto alcuni tra i migliori filosofi contemporanei, proprio grazie a come la formazione universitaria è strutturata e alla capacità di fare ricerca n team anche in ambito filosofico. Va bene, sono d’accordo. C’è bisogno di ingegneri e anche di tecnici, di geometri, di ammministrativi ecc. ma non prendetevela con i filosofi
davide
economicamente l’italia ha troppi laureati, ma numericamente, in relazione a francia o germania per esempio, ne ha pochi. il fatto è che i laureati alle imprese italiane servono a poco visto che sono inprese medio piccole operanti in settori a basso valore aggiunto. l’idea è studiare qualcosa di scientifico qua e poi fuggire all’estero. senza dubbio. la soluzione non è consigliare ai giovani di iscriversi a ingegneria ma riuscire a creare e ad attirare gli investimenti in R&D. chiaramente se vuoi attirarli poi devi garantire di avere un capitale umano adeguato, ma il solo aumento del numero di ingegneri non provoca benefici.
Anidride Carbonica
Singapore non ha risorse naturali, ma non possiede neppure lo sterminato patrimonio artistico italiano. Difficile pensare ad un ingegnere che segue scavi archeologici, o che cura il restauro di una tela del Trecento. Come la mettiamo con questa specificità che tutti dimentichiamo, pensando soltanto al PIL, alle tabelle, ed a Paesi che non possono essere comparati completamente con il nostro? Grazie per l’ospitalità. PS Il sito de LaVoce è bello, e lo seguo da molti anni, ma non possiamo ritenere che soltanto gli economisti abbiano in mano le chiavi per leggere la realtà, ed indicare la via, così come non possiamo ritenere che un Paese sia fatto solo dalle imprese e dagli imprenditori.
sergio C
Lo scopo, se ce ne fosse uno, di una società e di tutti gli individui che la compongono non è il PIl. Non la produzione, non la ricchezza o tutto ciò che è un mezzo. Se i giovani scelgono le facoltà umanistiche è perchè non hanno ancora smesso del tutto di sognare una vita. E poco importa se gli economisti dicono altro, se il mercato del lavoro dice altro e i media dicono altro.. Lo scopo, o l’orizzonte meglio, deve essere la qualità della vita, la capacità di esaudire sogni e trovare conforto ai propri desideri, dai più semplici ai più complessi. Il modo di pensare espresso qui dicesolo una parte, e francamente, chiedere ai giovani, dopo tutto quello che sulle loro spalle è stato fatto, di scegliersi una facoltà di studi tenendo conto di ciò che qualcuno ha pensato conveniente ad una classe sociale ben definita, mi sembra la cosa peggiore che si possa dire. I giovani vogliono fare filosofia per capire cosa manca a queste proiezioni, studiano letteratura per sapere dove trovare le risposte che i paludati esperti non hanno saputo dare mentre cercavano di cucirgli addosso un vestito di banconote svalutate. Si deve pensare alla felicità dei cittadini, l’economia deve servire a questo.
PIERFRANCESCO
L’articolo è troppo semplicistico e superficiale la realtà è molto diversa, Premetto che sono un ingegnere laureato nel 1983 , ho trovato lavoro subito ( avevo decine di richieste) e ho avuto la fortuna di fare anche carriera e diventare Dirigente di Azienda , la realtà e molto diversa da come viene prospettata : le aziende in Italia hanno poco bisogno di laurati tecnici puri semmai servono delle figure che abbiano competenze tecniche con integrate capacità economiche, commerciali e di marketing, gestionali, psicologiche ecc cio significa principalmente che tra offerta dell’università e quello che serve c’è una discreta discrepanza che andrebbe colmata. Ci sono sicuramente troppi laureati in giurisprudenza , invece in un paese come il nostro dove abbiamo un enorme patrimonio artistico sicuramente possono essere utili anche i laurati in materie letterarie, ma anche in questo caso se vogliamo creare lavoro le conoscenze devono essere integrate con quelle economiche , marketing ecc. Bisogna rivedere il sistema universitario troppo improntato per la ricerca pura e l’insegnamento ( va bene ma i posti sono limitati in Italia ) e creare figure più spendibili sul mercato del lavoro
ol
x Pierfrancesco. Concordo sul fatto che le Università italiane sono troppo improntate per la ricerca pura e per l insegnamento invece che creare figure spendibili sul mercato del lavoro ( Sembrano finalizzate a se stesse). Infatti non si sente altro che di giovani che finita l Università, non è che cerchino di inserirsi nel lavoro aziendale, ma di entrare nelle Università come ricercatori. La ricerca non sarebbe il male se solo però si parlasse di ricerca fatta nelle aziende. Ricerca applicata, con un ritorno economico dei soldi spesi. Bisogna valutare le somme spese per la ricerca e le somme di ritorno economico. Non concordo invece sul tipo di preparazione richiesta dal mondo del lavoro. Certo per le aziende italiane piccole, servono conoscenze generiche, ma le aziende piccole sono ormai la debolezza. Servono aziende grandi e conoscenze molto specialistiche. Ingegneri sì, ma altamente specializzati, non ingegneri generici. Servono grandi aziende che fanno ricerca ed ingegneri che progettano, non generici ingegneri che non progettano. Per non progettare ci sono le altre facoltà, l ingegnere è un progettista. Anche gli ingegneri stranieri dovrebbero poter esercitare in Italia.
ol
Penso però che la specializzazione degli ingegneri vada fatta sul luogo di lavoro, a livello universitari bisognerebbe dargli le basi delle diverse tecnologie. Sotto questo aspetto concordo su una formazione flessibile, ma che spazi in ambito tecnologico. Non mi piace l’ idea di formare ingegneri che facciano altro. Secondo me gli ingegneri devono essere formati a fare gli ingegneri, altrimenti è per questo che non bastano mai. Spesso sento dire che per progettare i ponti ci vogliono gli ingegneri, vero, ma in realtà quanti dei laureati in ingegneria fanno l’ esame di ponti? forse nemmeno il 10% dei laureati.
Davide
Un articolo poco approfondito. Servirebbe indagare meglio la questione, vista la sua importanza.
Maria Vitali
Non credo che i giovani italiani siano affetti da insano amore per la filosofia; il punto è che mentre le facoltà scientifiche continuano ancora a fare selezione, quelle umanistiche sono state parcellizzate in una serie di corsi risibili (da conservazione dei beni culturali a scienze della comunicazione e a non so che altre alchimie ministeriali) in cui il pezzo di carta non si nega a nessuno. giusto per fare un esempio. Un vecchio esame universitario di latino consisteva in : 6 libri dell’Eneide, 3 opere complete di cicerone, un libro di Tacito e uno di Lucrezio+ storia della letteratura+ corso monografico+ storia della lingua latina. Un programma del genere lo si affronta solo se il latino lo si sa, sennò si impazzisce per due anni. all’epoca per un laureato in lettere latino era obbligatorio. ora o lo hanno tolto (perchè a che serve nel 2000?) o ha un programma ridicolo (equivalente a una interrogazione da liceo vecchio stampo). gli attuali indirizzi umanistici sono abbordabili per tutti. Le facoltà scientifiche per fortuna non funzionano così ma è proprio per questo che hanno meno iscritti. Maria Vitali
Livia Perego
Gentili Signori,
la scrittura, la storia, l’arte, la filosofia sono indispensabili all’essere umano e pilastri della formazione dell’individuo: l’uomo non si riduce a ciò che fa, ma è prima di tutto ciò che è – osservate le relazioni violente, distorte, superficiali, incapaci di affetto durativo che esistono: tutte risultato di coscienze non sviluppate.
Lo spirito umano esiste, e dà dolore se non ben cibato – e poi: se le facoltà umanistiche si sono impoverite, ciò è dovuto al disprezzo materialistico e al semplicismo di coloro che ancora credono che siano facoltà di laurea in niente, adatte soltanto a cervelli di gallina che non fossero capaci di affrontare le “facoltà dure” e capaci soltanto di recitare le poesiole come all’asilo…padroneggiare le profondità della coscienza mediante il linguaggio significa essere pienamente uomini, non vacui sacchi di vento – con buona pace di coloro che ancora non hanno chiaro che la vita emotiva, sensitiva, intellettiva, estetica, contemplativa, affettiva dell’uomo non si ciba soltanto di grafici e tabelle ed equazioni – “umanistico” significa “profondo”, non ignorante in scienze varie – e: tutti questi insegnanti di scienze incapaci e frustrati e svogliati in queste nostre scuole (sperimentato io stessa)?