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OCCUPAZIONE: LA RIPRESA SFIORATA E SFUMATA

Dopo un buon primo semestre, i posti di lavoro dipendente in Italia sono tornati a diminuire anche nel 2011. Il bilancio negativo ha colpito soprattutto la manodopera maschile, ma non i lavoratori stranieri. Le perdite riguardano in particolare l’industria manifatturiera e le costruzioni. E per tipologia di contratto sono concentrate in quelli a termine e di apprendistato. Crescono le trasformazioni di contratti a tempo determinato in indeterminato, mentre i licenziamenti si mantengono su un livello superiore del 50 per cento rispetto a quello medio degli anni pre-crisi.

I dati resi disponibili dalle Regioni e province autonome che aderiscono al gruppo di lavoro multiregionale Seco – Statistiche e comunicazioni obbligatorie – consentono di disporre, per un’ampia area del paese, di informazioni di dettaglio sull’andamento mensile delle posizioni di lavoro dipendente. (1) Si può dunque trarre un bilancio di quanto accaduto nel 2011.

MENO POSTI DI LAVORO

Nel primo semestre i dati avevano segnalato una tendenziale riduzione dei saldi negativi tra assunzioni e cessazioni su base annuale, tanto da poter ritenere prossima la conclusione della lunga fase di continuo ridimensionamento del numero di posti di lavoro, apertasi nell’autunno del 2008.
A partire dall’estate la speranza è evaporata e i dati dell’autunno-inverno non lasciano spazio a equivoci: i posti di lavoro dipendente sono ancora diminuiti, per effetto soprattutto di una nuova riduzione delle assunzioni, tanto che negli ultimi mesi dell’anno sono risultate inferiori a quelle dei corrispondenti mesi del 2010. (2)
Le perdite di posti di lavoro nel 2011 – misurate dal saldo tra assunzioni e cessazioni – sono del medesimo ordine di grandezza di quelle registrate nel 2010: quasi 20mila posti in Piemonte, oltre 15mila in Veneto, circa 12mila nelle Marche e oltre 8mila in Emilia Romagna, per citare alcune tra le Regioni maggiori.
Il bilancio negativo, che non ha colpito la manodopera straniera, ha interessato soprattutto la manodopera maschile.
Il profilo settoriale della riduzione dei posti di lavoro è quello atteso: le perdite si sono concentrate nell’industria manifatturiera e nelle costruzioni; in misura più modesta è stato coinvolto pure il terziario.

ANALISI PER CONTRATTO

L’analisi per le quattro tipologie contrattuali con le quali è regolato il lavoro dipendente (tempo indeterminato, apprendistato, tempo determinato, somministrazione) porta ad attribuire la contrazione esclusivamente all’apprendistato e ai contratti a termine, in modo analogo a quanto si era osservato nella prima fase della crisi tra il 2008 e il 2009. Per quanto riguarda i posti di lavoro a tempo indeterminato a fine 2011 si segnala addirittura una dinamica tendenziale di crescita: ciò è interamente attribuibile a quanto accaduto a dicembre, con il blocco delle cessazioni degli over 55 per effetto delle nuove normative in materia di pensionamento. Infatti per l’insieme delle Regioni analizzate le cessazioni a dicembre di contratti a tempo indeterminato, sempre attorno alle 95mila unità nel triennio 2008-2010, sono scese a 76mila nel 2011. Inoltre, sempre con riferimento ai movimenti dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, altri due aspetti meritano di essere segnalati:
a) l’incidenza crescente delle trasformazioni da tempo determinato e da apprendistato come modalità di accesso al contratto a tempo indeterminato: nell’insieme delle Regioni considerate accanto a poco più di 400mila assunzioni a tempo   indeterminato si sono registrate 200mila trasformazioni. Queste ultime, tra l’altro, hanno una maggior probabilità di durata perché, a differenza delle assunzioni dirette, implicano come già superato il periodo giuridico di prova o comunque il periodo di “rodaggio”;
b) la dinamica dei licenziamenti sia collettivi che individuali con conseguente inserimento in lista di mobilità: a partire dal 2009 i licenziamenti si mantengono su un livello superiore del 50 per cento rispetto a quello medio degli anni pre-crisi e rappresentano una quota pari al 20 per cento del totale delle cessazioni a tempo indeterminato (era inferiore al 10 per cento negli anni pre-crisi, quando i movimenti volontari di dimissioni erano decisamente più consistenti sia in valore assoluto che in valore relativo).
Oltre a quanto accaduto a queste tipologie di lavoro dipendente, il rapporto Seco consente di monitorare le tendenze che interessano due altri rilevanti contratti: i contratti a chiamata e i contratti parasubordinati (a progetto, occasionali, eccetera). Mentre la domanda di lavoro parasubordinato risulta notevolmente stabile, quella del lavoro a chiamata cresce senza sosta: da quasi 200mila assunzioni nel 2009 si è passati a 275mila nel 2010 a 350mila nel 2011. Diversi osservatori indicano nella crescita di questo tipo di contratto – a causa della facilità di elusione contributiva – la ragione della riduzione del ricorso ai contratti a tempo determinato: in altre parole, i contratti si fanno (anche) concorrenza tra loro.

(1) Nei rispettivi siti delle Regioni e province autonome aderenti (Piemonte, Liguria, Lombardia, Trento, Bolzano, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Marche, Umbria, Sardegna) è disponibile sia il report con i dati statistici di sintesi per il periodo 2008-2011 sia, per la prima volta, un file allegato con i dati mensili a partire dal luglio 2008 fino al dicembre 2011 (vedi www.venetolavoro.it). Il report attualmente disponibile è aggiornato con i dati di tutti i territori aderenti, con l’eccezione della Lombardia, i cui dati saranno integrati entro breve tempo.

(2) Posti di lavoro dipendente al netto del lavoro domestico

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I LIMITI DI UN BAZOOKA COL SILENZIATORE

  1. marco

    Manca un piano industriale bisognerebbe riconvertire manodopera dai settori saturi a quelli con forte possibilità di crescita in cui bisognerebbe investire per fare occupazione- Un esempio; si è costruito troppo in edilizia, l’Italia non ha più bisogno di case e di consumare suolo,anzi!Per fare manodopera basterebbe fare una legge che obblighi a investire sulla classe energetica e sull’efficienza della case già fatte oltre che sulla produzione di energia pulita- La stessa andrebbe fatta per le auto; mettere sul mercato auto pulite e più economiche significherebbe incentivare gli acquisti di auto nuove per anni (vedi FIAT Philla)! Gli altri dati riportati testimoniano verità ampiamente dibattute su cui bisognerebbe intervenire: investire di più in ricerca e in tecnologia per mettere a profitto i nostri giovani e creare richiesta di manodopera qualificata- riqualificare e insegnare ai giovani i mestieri artigianali del made in Itali(gelatai, gioielleri ecc.) attraverso cammini scolastisci misti e nuovi (metà scuola metà in azienda)- creare un sistema meritocratico e non fondato sull’anzianità-i più vecchi sono intoccabili e con stipendi esosi a scapito dei giovani precari e mal paga

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