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LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringrazio tutti i lettori e cerco di rispondere ai quesiti sull’analisi proposta nell’articolo.

1) Luca Falciasecca, HK e Arnaldo Mauri notano come l’intermediazione informale ci sia in tutto il mondo e che spesso svolga una funzione positiva – una sorta di passa parola – circa le qualità (il  talento) di un soggetto. Sono assolutamente d’accordo, infatti nella tabelle e nel grafico, ho indicato a parte  questo dato relativo all’“informale professionale”. L’etichetta applicata non è delle più felici “Attraverso ambiente” [lavorativo], pertanto invito alla lettura dell’articolo completo dove questi passaggi sono chiariti in maniera (spero) esaustiva. Quello che rimane, al netto di coloro che trovano lavoro informalmente in virtù della loro (buona) reputazione, è proprio la quota di posti di lavoro gestiti fuori dal mercato: o attribuiti per trasmissione parentale (il posto nello studio, nell’impresa, nel negozio di famiglia) o perché dati su segnalazione o raccomandazione.
2) Simone Caroli e Luigi Oliveri si chiedono se la riforma in corso modificherà le cose, e suggeriscono anche in che direzione si potrebbe agire, rimarcando soluzioni anche da noi proposte e sostenute. Faccio notare nel documento licenziato dal CdM, e quindi ancora provvisorio, alcuni passaggi: “Per i centri per l’impiego, è necessario individuare Livelli Essenziali di Servizio omogenei … [erogati] direttamente o da agenzie private … Vanno definite premialità e sanzioni per incentivare l’efficienza dei servizi per il lavoro e per spingere a comportamenti virtuosi sia i soggetti che erogano i servizi, sia le persone/lavoratori che beneficiano dei servizi e dei sussidi. Occorre prevedere … una dorsale informativa unica e l’utilizzo dei flussi congiunti … caratterizzato da codifiche uniformi … condizione essenziale … per realizzare la convergenza tra politiche passive e attive [ovvero l’ASpI]…”
3) Cristina Gardani e Savino invece mettono l’accento sul costo opportunità che la pratica diffusa della raccomandazione crea in termini di riduzione delle posizioni libere sul mercato (quelle per cui concorrere) per chi è sprovvisto di una rete personale. In particolare se le persone migliori non sono nei posti migliori la produttività ne risente e, visto il livello medio della crescita economica del nostro paese negli ultimi anni, parrebbe che il fenomeno sia diventato eccessivo, anzi patologico. Come per molti altri aspetti della vita economica, l’inefficienza, non è più sostenibile. Quando le cose vanno male, si deve risparmiare su tutto e anche il raccomandato diventa un lusso non tollerabile. Inoltre la raccomandazione potrebbe creare cattiva produzione ovvero servizi erogati sotto gli standard tradizionali (banalizzando: il padre bravo avvocato difendeva meglio del figlio cattivo avvocato. Ciò vale per il dentista come per il fornitore di componenti, per l’idraulico come per il ristorante, ecc.) e quindi per l’utente la raccomandazione diventa un danno economico (e a volte fisico) e non solo una recriminazione personale.
4) Marco Ascari e Roberta d’Arcangelo parlano di politici. Anche altri notano come nel privato alcuni  comportamenti siano semplicemente deprecabili mentre nel pubblico diventano penalmente rilevanti. Ovviamente sono d’accordo con questa lettura, ma attenti ad una generalizzazione: combattere chi ha inserito (o si è fatto inserire) nella PA impropriamente è un bello sport che va praticato intensamente, invece dire che chi è nella PA è, necessariamente, un raccomandato è una offesa gratuita. Eccellenze e persone per bene e preparate nella Sanità, nell’Istruzione, nelle Aziende Pubbliche, nella Amministrazione Centrale e Periferica non sono una eccezione e spesso suppliscono a fallimenti della politica e del mercato, generano progresso e profitti. Generalizzare vuol dire umiliare chi lavora in condizioni difficili e fare il gioco di chi non lavora. Scendere nel dettaglio e fare i nomi è la strategia più indicata, a mio avviso, per non scadere nel populismo.
5) Invito Roberta d’Arcangelo a leggere il  testo completo in cui il raffronto tra l’intermediazione lato offerta e lato domanda viene fatto per sotto-popolazioni omogenee (per esempio i giovani nel privato) e i risultati convergono in maniera sorprendente.

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UNA RAI SENZA STRATEGIE

  1. roberta d'arcangelo

    Gent. dott. Mandrone, la ringrazio dell’attenzione. Se permette, vorrei precisare che non ho scritto io di politici, né intendevo deprecare chi lavora nella PA, tutt’altro. Semmai auspico per l’Italia, ma anche un po’ per me lo confesso (in quanto vincitrice non assunta di concorso pubblico), una PA “eccellente” che nel rispetto della Costituzione si “armi” di forze giovani e preparate per svolgere al meglio un servizio pubblico che finalmente sia elemento di competitività per il Paese e non svantaggio comparato. Che il pubblico impiego torni a essere un vanto e non una vergogna…(la re-invio ai commenti su questo post: nuvola.corriere.it/2012/03/10/io-vincitore-di-concorso-nellente-che-non-ce-piu/). E che il privato faccia la sua parte, anche a sostegno dell’occupazione. La ringrazio per avermi segnalato il suo lavoro, noto (con piacere!) che il mio riferimento ai dati Excelsior non era originale…Se interpreto bene il suo suggerimento, comunque, trovo frustrante il confronto tra le percentuali di giovani (e donne e laureati) che (con speranza io credo) cercano lavoro in modo trasparente tramite CPI, autocandidature, annunci, con quelle relative a “chi ce l’ha fatta”.

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